#tide ha sviluppato un metodo per trasformare i rifiuti di plastica dell'oceano in granuli e filati di qualità che possono essere utilizzati per la creazione di nuovi prodotti. E l’azienda lombarda ha deciso di usarli per realizzare le pinne UP Black, UP Aurea, UP Sideral, Storm e Predator per il marchio C4 e Maxx per il marchio H.Dessault. il tutto senza aggravi di costi per chi le acquista e con una qualità e un’estetica immutata rispetto a prima
Gherardo Zei
Quando si parla di sostenibilità spesso non è più molto chiaro a cosa ci si riferisca. Infatti, questa bellissima parola negli ultimi anni è stata purtroppo fatta diventare da alcuni una specie di brand commerciale sotto il cui cappello si fa rientrare quasi qualsiasi genere di iniziativa in cerca di finanziamenti. Non vi faccio esempi perché mi pare inutile visto che siamo tutti sommersi dalla marea montante di “scienziati” della sostenibilità che si propongono chiedendoci un sostegno.
Il fatto più grave causato da questa banalizzazione è il rischio di “buttare il bambino con l’acqua sporca”. Intendo che certi eccessi portano le brave persone a non credere più a nulla e finire per ignorare o, perlomeno, sottovalutare i veri grandi problemi di sostenibilità come, ad esempio, quello della plastica in mare.
Ma facciamo un passo indietro
Io c’ero quando negli anni Sessanta passeggiare sulla spiaggia era un’esperienza bella quasi come immergersi con maschera e pinne. A Pineto degli Abruzzi il bagnasciuga era letteralmente tappezzato di gusci di telline, vongole e cannolicchi. Gli ossi di seppia non mancavano mai e ogni tanto capitava addirittura di trovare un cavalluccio marino ma, soprattutto, c’era qualcosa che mancava. Non c’era plastica sulla spiaggia e, addirittura, una quasi totale assenza di rifiuti.
E quando Franco I e Franco IV cantavano “ho scritto t’amo sulla sabbia” non correvano il rischio di dover scansare un pezzo di bicchiere di plastica, uno spazzolino per i denti o un Cotton fioc, come invece avverrebbe oggi.
Ormai è tanto normale trovare in mare rifiuti del più diverso genere che ci sono perfino artisti che si cimentano nell’usare qualsiasi tipo di scarto trovato in acqua per produrre sculture raffiguranti pesci e altri animali marini. Viene da piangere perché un tempo questo tipo di sculture si facevano con i pezzi di legno e le conchiglie portati dalle onde, oggi talvolta si realizzano con spazzolini da denti o vasetti di yogurt. Onestamente e senza offesa per nessuno, non posso nascondere che ho sempre trovato quelle sculture di soggetti marini fatte con i rifiuti particolarmente brutte e segno della involuzione dei nostri tempi.
Come sono andate le cose
Come tutti gli avvenimenti epocali anche questo della plastificazione del mare è stato un fenomeno lento dal punto di vista della percezione. Diciamo che la presenza dei rifiuti (specie di plastica) portati dalle mareggiate è aumentata di pari passo con la diminuzione delle conchiglie e degli altri elementi naturali.
Ricordo che una ventina d’anni fa per la prima volta ho avuto difficoltà a trovare sulla battigia un osso di seppia per la mia tartaruga. Un’altra volta sono rimasto scioccato dalla quantità di oggetti di plastica portati sulla spiaggia principale di Santa Marinella da una grossa mareggiata di scirocco che li aveva ammucchiati fino quasi a ridosso delle cabine. Ma all’epoca quando ero in pesca non vedevo ancora in mare tanta plastica. Un certo giorno cominciai a leggere di queste famose “isole di plastica” presenti in mezzo all’oceano. Rimasi di sasso. Oggi sembra che ci siano cinque isole di cui la più estesa sarebbe grande come il Canada. Non so se vi rendete conto di cosa parliamo!
Poi, negli ultimi anni ho cominciato a vedere direttamente la plastica in acqua nei posti dove sono solito pescare. Faccio base nel Lazio del nord e sempre più spesso mi è capitato, specialmente dopo un paio di giorni di scirocco, di vedere in risalita la superficie letteralmente punteggiata di oggetti di plastica galleggianti. Ma la cosa più grave è che anche la “colonna d’acqua” l’ho vista talvolta piena di microspecchiate di pezzettini di plastica, con i saraghetti che li attaccavano per mangiarli. Non so se tecnicamente fossero microplastiche, ma certamente erano uno spettacolo raccapricciante.
Forse invertire la tendenza e cominciare a smaltire la plastica si può ancora, però è indispensabile andare oltre la buona volontà e fare in modo che sia qualcosa di obbligatorio o, meglio ancora, conveniente. Ed è su questa strada che sta avviandosi la C4 con questa iniziativa insieme a #TIDE OCEAN MATERIAL.
Di cosa si tratta
Grazie a un avanzato processo di upcycling sviluppato in collaborazione con l’Università Svizzera di Scienze Applicate, #tide ha sviluppato un metodo per trasformare i rifiuti di plastica dell'oceano in granuli e filati di qualità che possono essere utilizzati per la creazione di nuovi prodotti. In pratica, #tide ocean material® è una risorsa pluripremiata che si presenta sotto forma di granuli per l'iniezione di plastica, filati per i tessuti e filamenti per la stampa 3D.
Come abbiamo detto, tutto nasce dal riciclaggio dei rifiuti plastici recuperati dall’oceano. Il risultato è una materia prima non solo 100% riciclata, ma anche dotata di eccezionali proprietà meccaniche, perfetta per prodotti ad alte prestazioni. Tutti i membri della catena di approvvigionamento beneficiano del valore aggiunto: i pescatori vengono pagati per chilo di plastica come per chilo di pesce. Quindi #tide crea nuovi posti di occupazione nei Paesi in via di sviluppo per i lavoratori delle imprese sociali che contribuiscono a recuperare i rifiuti.
C4 entra in partita
Ho conosciuto Marco Bonfanti circa trenta anni orsono. Di lui si può pensare quello che si vuole, ma nessuno può negare che abbia fatto la storia delle attrezzature subacquee e che sia sempre stato un pescatore etico. Da lui e dalla sua figlia Natalia mi aspettavo certamente, conoscendoli bene, una grande sensibilità nel fare qualcosa di importante per questa tragedia della plastica in mare. Lo stesso posso dire di Marco Ciceri, grande imprenditore del nostro settore, da sempre capace di anticipare le tendenze del mercato e anche le tendenze della società civile. E in questo caso se non ci si muove per tamponare le conseguenze più macroscopiche dell’inquinamento, presto non ci sarà più alcun mare dove svolgere attività ricreative come l’immersione e la pesca, e quindi un imprenditore illuminato come lui non poteva non capirlo. Questi sono i manager della C4 e pertanto c’era da aspettarsi che fosse proprio l’azienda lombarda ad aprire la strada di questa battaglia per le imprese italiane.
Nei comunicati di questi giorni, la C4 fa sapere che ha abbracciato questo materiale rivoluzionario integrando i granuli di plastica riciclata di #tide nella produzione di tutte le sue pinne in plastica per l’apnea. C4 garantisce che questa innovazione all’avanguardia non compromette la qualità, anzi la migliora. Grazie infatti all’elasticità e alla resistenza eccezionali del materiale #tide, le pinne offrono una reattività, una durabilità e un’estetica superiori. Io ci credo perché non penso che coloro che hanno inventato le pale in carbonio e i water rail, cambiando la storia delle pinne, si esporrebbero a mettere sul mercato un prodotto meno che eccellente.
E poi il prezzo rimane lo stesso. L’impegno per la sostenibilità di C4 non comporta alcun costo aggiuntivo per i clienti. Scegliendo le nuove pinne eco-friendly della factory lombarda, si ottengono le stesse prestazioni di alto livello al medesimo prezzo, contribuendo al contempo a mantenere i nostri oceani più puliti.
I modelli che utilizzano questo nuovo materiale #tide includono UP Black, UP Aurea, UP Sideral, Storm e Predator per il marchio C4, e Maxx per il marchio H.Dessault by C4 Technology. Queste pinne rappresentano, pertanto, la perfetta combinazione di innovazione, sostenibilità e prestazioni. Inoltre, riciclando la plastica destinata agli oceani si riducono le emissioni di CO2 fino all’80% rispetto alla produzione di plastica vergine.
Personalmente, concordo sul fatto che pinne realizzate con plastica riciclata recuperata dal mare non sono solo attrezzatura, sono il simbolo della resistenza della nostra comunità nei confronti della distruzione del naturale mondo del mare che amiamo da parte del mondo industriale antropizzato. Se gli amici della C4 troveranno il modo di risolvere l’annoso problema delle scarpette per il mio piede difficile, mi candido per primo ad acquistarne un paio…