Viene da una famiglia dalle grandi tradizioni sportive e ha lasciato la carriera militare per l’agonismo, ottenendo ottimi risultati. Da tempo è una pedina fondamentale in Cetma Composites, dove si occupa principalmente dello sviluppo dei prodotti
Filippo Carletti
Michele Giurgola non è stato solo uno dei più grandi apneisti italiani, ma anche uno che di attrezzatura se ne intende. Parola di Cetma, azienda con cui collabora allo sviluppo dei prodotti ormai da anni. Nei suoi video che troviamo in rete possiamo anche ascoltare molti “segreti del mestiere”. Tutto questo fa di Michele un personaggio di riferimento nel mondo dell’apnea e della pesca.
Una famiglia di tradizione e cultura sportiva. Se cerchiamo un po’ sul web troviamo nonno Michele e babbo Carlo, entrambi militanti tra le file del gruppo podistico Duemila di Ruffano. La domanda viene spontanea: la tradizione di famiglia è la corsa o il mare?
«La corsa e lo sport in generale rientrano a pieno titolo tra le passioni e le tradizioni di famiglia. Tutti in casa siamo nati con il pallino dello sport. Mio papà è un ex ciclista e mio nonno prima di lui ha vissuto la stessa passione. Entrambi ripetevano sempre che alla base di ogni sport c’è la corsa. Chi non corre non è uno sportivo, proprio perché la corsa rappresenta le fondamenta della maggior parte delle discipline esistenti.
«Anche io, a mia volta, corro fin da quando ero piccolo. Prediligo le mezze maratone e, nonostante la passione, con il tempo ho ridotto le distanze perché, per quanto bella, la corsa è uno sport traumatico, che in molti casi interessa la colonna vertebrale. A oggi corro massimo 10, 12 chilometri. Diciamo che alla fine dei conti mi alleno per l’apnea, e perciò non serve percorrere lunghe distanze. Bastano anche 5 o 6 chilometri corsi bene».
Da ragazzo entri nell’esercito. Come hai deciso da lì che avresti gareggiato nei circuiti apneistici?
«Nell’esercito sono entrato nel 1998. Avevo 20 anni. Ho lasciato circa 10 anni fa. Andrea Salomi mi chiama da Cetma Composites in un momento in cui ero campione. “Non ci conosciamo ma mi piacerebbe incontrarti!”, mi disse. “Siamo una piccola azienda, ma avremmo intenzione di iniziare a produrre pinne per l'apnea di qualità. Ti andrebbe di assisterci in questo processo, tu che sei salentino come noi e conoscitore di questo mondo?”.
«Non me lo feci ripetere due volte e da quel momento continuai a percorrere due strade che andavano parallele. Una era quella dell’esercito, l’altra era quella dell’apnea e di Cetma.
Ma alla fine mi sono dovuto arrendere alla mia passione: il mare. Nell’esercito cominciai anche perché anche mio padre mi suggerì di provare. Ai tempi la paga era di 50mila lire. Poi 300. Sarebbe stata una carriera sicura, ma non ho mai smesso di portarmi il mare dentro.
Ho praticato l’apnea fin da piccolo. Pescavo anche, in tutti i modi, con la canna e con il fucile. Collezionavo i vari numeri di Pescasub e Apnea. Fu su uno di quelli che lessi del record di Tommasi: 130 metri in dinamica. Ma se ne faccio 100 senza allenarmi, pensai, allora forse posso batterlo quel record. Quindi mi iscrissi a un corso a Casoria. Lì presi la mia prima samba e capii che mi mancavano le basi. Il vero apneista non deve essere autodidatta, ma apprendere da chi ha esperienza ed è formato per insegnare. Frequentai un corso con Musella e da quel momento, anche gareggiando, iniziai a percorrere oltre 100 metri in dinamica. Dopo una gara a Caserta mi contattò il Ct della Nazionale. Quello, per chi come me era cresciuto con la leggenda di Pelizzari e Carrera, era un sogno. Da quel momento ho avuto una crescita molto veloce. Ma è stato possibile perché avevo delle basi solide. Oggi, invece, noto parecchi apneisti che saltano le tappe fondamentali, magari affidandosi a mouthfill o tecniche evolute, senza padroneggiare bene i propri volumi aerei e senza saper compensare frenzel in modo corretto. E ciò è sbagliato».
Da quel momento hai collezionato molti record, nazionali ma anche mondiali. Quale ricordi con più affetto?
«Penso che le emozioni di un Mondiale non puoi dimenticarle. Però, ci sono situazioni nelle quali anche arrivare secondo regala sensazioni bellissime, e quelle legate a un tuffo in Cnf proprio non me le scorderò mai! Fu proprio il mio Ct, Tommasi, che mi disse che a rana potevo dire la mia. Però mi sentivo decisamente più pronto con la mono in Cwt. Con una certa esperienza mi mise alle strette, anche perché la mia fiducia in lui era incrollabile. “Facciamo così - suggerì -, se riesci a fare mono e rana nella stessa giornata, poi decidi te in cosa ti senti più preparato”. Così feci 85 con la monopinna e 71 metri a rana.
“Guarda che se la rana la fai da riposato e ci aggiungi solo 5 metri porti medaglia”. In appena 2 settimane ho fatto una crescita per me incredibile e quel risultato per me è motivo di grande orgoglio. Certe volte ci facciamo fregare dall’ego, dal voler essere il numero uno. E invece dovremmo stare più attenti al significato che ha quel risultato personale, oltre che al materiale di cui è fatta una medaglia. A oggi tutte le medaglie le ho regalate. Ad amici. A ragazzi meno fortunati. Quello che resta davvero sono i ricordi, le soddisfazioni e le emozioni che ancora mi porto dietro».
In questo percorso quello che ti ha sempre accompagnato è l’attrezzatura. Quali sono le pinne che hai calzato per più tempo?
«Da allora a oggi i progressi sono stati enormi. I primi record li ho segnati con le Edge. Ma eravamo ancora molto lontani da quello che poteva desiderare un atleta. Non esisteva ancora una cultura vera e propria sull’attrezzatura e nessuno era sicuro di cosa fosse meglio o peggio. Pinne lunghe, larghe, con o senza longheroni. Nessuno ci lavorava davvero.
Sembrava quasi che tutti modelli potessero fare tutto. E invece noi in Cetma abbiamo dato una specializzazione alle pinne. Le abbiamo, per così dire, ramificate. Le Dynami - tech, per esempio, sono sia lunghe che short. Sono differenti a seconda del peso dell’atleta e variano in base all’attività per la quale le si vogliono utilizzare: pesca o apnea pura. Se si parte da terra o se, invece, ci tuffiamo dalla barca. Si pensi invece alla monopinna. Un tempo era la Croazia il Paese leader nella realizzazione. E così abbiamo dato fondo a tutte le nostre energie per trovare la marcia giusta e in 3 anni abbiamo tirato fuori il modello che, a oggi, è forse considerato il migliore al mondo. La nuova monopinna (rigidità 0.5), sentendo anche cosa dicono campioni del calibro di Livia Bregonzio, è eccezionale. Sono tanti gli apneisti che ci danno feedback in base alla propria esperienza e anche questo è un metodo di miglioramento e crescita che ci permette di accontentare tanti atleti come Vincenzo Ferri, Antonio Mogavero e, non ultima, Alessia Zecchini».
Come si passa da provare le pinne e utilizzarle in gara a progettarle? Tu quali usi?
«Prima di tutto ci vuole sensibilità. Sia nel gesto tecnico che nell’esecuzione da atleta di una performance. Su questo sono piuttosto fortunato perché posso vantare un'ottima sensibilità sugli aspetti che riguardano l’apnea. Ma tutto ciò sarebbe impossibile senza ingegneri capaci o un gruppo affiatato con il quale potersi confrontarsi. Utilizzo le Mantra medie per la pesca. Peso 74 chili e per andare in mare mi ci trovo piuttosto bene. A novembre, invece, passo alle hard, specie se sono più zavorrato. Anche se affatico maggiormente la gamba, una pala più rigida mi permette uno stacco più veloce dal fondo. Per l’apnea profonda, infine, scelgo sempre le Lotus. Sto anche pensando di tornare a fare qualche gara di apnea. Quindi, chissà che non mi vediate pure con le Taras ai piedi!».
Ci fai un breve escursus dei modelli che avete a catalogo?
«Certo! Le Edge nascono per chi ama una pinna più rigida, anche nella pesca, che lavora di falcata e con una certa ampiezza. Le Mantra sono pinne la cui rigidità media è pensata per la pesca, ma il modello più morbido può essere impiegato anche in costante. Le Dynamic-Tech sono di fascia medio-alta, per la dinamica e la profondità. Quelle corte vanno bene sia in allenamento che per lo snorkel e per i fisici che sono sotto i 45 chili. Le Lotus in tecnopolimero sono le nostre pinne più convenienti e progettate per fare un po’ tutto. Le Prana sono da medio-basso fondale. L’inclinazione agevola la pinneggiata, che è stretta e perfetta per gli spostamenti veloci. Abbiamo per finire le Lotus, un modello in carbonio di alto livello per allenamenti e performance e le Taras, le pinne da gara per eccellenza. Molti pensano che sia una moda, ma quello che veramente dice chi le prova è che ti regalano davvero quei metri in più».
Delle Taras e delle Louts ne abbiamo parlato sullo scorso numero in modo approfondito. Intanto ti chiedo di salutarci con qualche anticipazione su che cosa state lavorando.
«Oltre alla nuova monopinna che sappiamo già aver superato di gran lunga le aspettative, ci stiamo concentrando su una maschera che sia efficiente per la pesca e per l’apnea. Ma i nostri progetti non si fermano qui. I nostri sforzi sono concentrati nel difendere il made in Italy. E nei prossimi anni sicuramente ne vedremo delle belle!».