In giro per l'Italia alla ricerca di spot ove, se si creasse l'occasione, poter scendere comodamente in acqua per una fugace pescata (in barba a famiglia, lavoro e altri impegni “sociali”...). Questo mese andiamo a Tellaro, in Liguria, a Portonovo, nelle Marche e a Balata dei Turchi, a Pantelleria
Alberto Martignani
I 3 posti di questo mese, ancora equamente distribuiti tra nord, centro ed (estremo) sud, non sono così semplici da gestire, anche se per motivi diversi. E tuttavia si tratta di autentici gioielli che, trovandoci da quelle parti, vale sicuramente la pena di visitare, indipendentemente dalle catture che potremo effettuarvi.
Tellaro
Recensito pochi anni fa come uno dei borghi più belli d' Italia, assieme a Fiascherino e alla costa che si dipana a Levante sino a Punta Bianca, sono di una struggente bellezza e anche, se vogliamo, discretamente pescosi, ma i problemi, per potersi immergere, specie da terra, non mancano.
Il primo è la carenza di parcheggi in prossimità dei punti d'ingresso, soprattutto nella stagione balneare, che può costringere a lunghe camminate oppure a lasciare l'auto in posizione precaria. Questa almeno la mia esperienza (anch'io, come quasi tutti i padani, trovo la Liguria un po' "claustrofobica", così strettamente incassata tra mare e montagna.).
Il secondo problema è il traffico nautico che, per la bellezza intrinseca della costa, la vicinanza di zone di elevatissimo interesse turistico, come Porto Venere e l'arcipelago di Palmaria, la prossimità di zone portuali come quelle di La Spezia e di Bocche di Magra, è sempre intensissimo.
Per i suddetti due motivi sarebbe bene frequentare la zona fuori stagione, in settimana e all'alba, anche se, a dire il vero, ci sono stato diverse volte sia a giugno che a settembre e, con qualche accorgimento, sono sempre riuscito a disimpegnarmi discretamente bene.
L'ultimo motivo di difficoltà (ma che contribuisce anche alla pescosità della zona) è rappresentato dalla torbidità mediamente molto elevata delle acque, per la vicinanza delle foci del Magra e per la presenza, sul fondo, di un sedimento finissimo, per cui basta qualche pioggia che ingrossi il fiume, oppure una mareggiata, per rendere la zona pressochè impescabile anche per giorni.
Procedendo in senso ovest-est il primo punto d'accesso alla zona che oggi descriveremo è dal cosiddetto Seno delle Stelle ("spiaggia del bunker") che ovviamente, in estate, trabocca di bagnanti, per cui valgono, a maggior ragione, le raccomandazioni di cui sopra. In ogni caso, vi è un parcheggio nella retrostante via Byron, da cui scendere, tramite una lunga scalinata, verso la spiaggia. Ci si può dirigere sia a destra, verso la bella e articolata Punta di Mezzana, costituita in realtà da un piccolo arcipelago di scogli affioranti, oppure verso sinistra, ove troviamo la cosiddetta Punta delle Stelle, coronata da una serie di grossi affioranti, detti Stellini. Si tratta di punti, oltre che molto belli paesaggisticamente e come conformazione del fondale, anche già discretamente pescosi, con la possibilità d'insidiare, specie all'alba, le orate che incrociano appena fuori le punte. Le condizioni migliori sono con scirocco di lieve-media intensità, che tende a pulire l'acqua.
Oltrepassato il Seno di Treggiano, ossia la baia che separa Fiascherino da Tellaro, troviamo, tra le punte di Trigliano e di Treggiano, un tratto di scogliera parecchio frastagliato, arricchito da tane e massoni. Vi si arriva a pinne sia dal Seno di Treggiano sia da Tellaro, dopo aver cercato un parcheggio lungo la via Lawrence (appena fuori dalla zona a traffico limitato) e scendendo quindi a piedi sino al mare.
Altra possibilità è quella di entrare in acqua dal porticciolo di Tellaro, che si trova al ridosso della punta di Treggiano. Vi sarebbe così la possibilità, seppur teorica, di immergersi sulla cosiddetta Secca di Tellaro, un agglomerato di scogli e lastroni spaccati a una profondità di 12, 14 metri, un centinaio di metri davanti al porticciolo. Si tratta di uno spot non facile, a onta della modesta profondità, a causa della quasi perenne torbidità che grava sul fondo e delle correnti, anche forti, che lo percorrono. E' comunque sconsigliabile raggiungerla e pescarvi a nuoto, in assenza di una barca appoggio sulla verticale, a causa del traffico nautico e delle possibili, forti correnti.
Superata la Punta di Treggiano e l'abitato di Tellaro si può arrivare, sempre pescando, su un fondale interessante per la ricchezza di tane, massi e spaccature, al cosiddetto Seno di Tellaro, un'ampia insenatura ubicata sotto una stupenda parete a picco, con una caverna emersa, una spiaggetta di ghiaia e una bellissima franata.
Ci troviamo ora in località Groppina, un tratto di costa particolarmente interessante e da interpretare con attenzione. I risultati migliori si ottengono in condizioni di mare leggermente mosso, con una tecnica mista di agguato e aspetto, che consente di portare a tiro prede come saraghi, orate, spigole e serra. Bisogna prestare attenzione alla corrente, che tuttavia viaggia quasi sempre in direzione est-ovest per cui, provenendo a pinne da Tellaro, è più facile che ostacoli l'avanzamento piuttosto che il rientro.
Considerando le distanze da percorrere, per chi scende in acqua a pinne da Tellar, è difficile riuscire a spingersi oltre Groppina. Per chi potesse invece avvalersi di un'imbarcazione sarebbe possibile sfruttare un tratto di costa ancora parecchi esteso, con tratti di scogliera alti che si alternano a zone di franata e a spiaggette, con una profondità di esercizio che non supera i 7, 9 metri.
Tra le zone più interessanti troviamo Punta Corvo con lo scoglio del Corvaccino, contornato da un agglomerato di scoglietti affioranti e massoni sommersi e, ovviamente, la rinomata Punta Bianca, con la sua candida falesia, che per posizione, conformazione del fondale e sostanziale impossibilità di accedervi da terra è da considerarsi il "top spot" della zona.
Portonovo
Da Portonovo, lungo la Riviera del Conero, si potrebbe scendere già direttamente a pescare, ad esempio verso l'interessante bassofondo roccioso che gravita attorno all’ iconico faraglione detto “Scoglio della Vela” a cui accedere dall’omonima spiaggia ciottolosa appena a sud dell'abitato.
Tuttavia, lo spot che illustreremo oggi è ancor più particolare e "sfizioso", sia per la sua stranissima conformazione sia perchè raggiungerlo a piedi ci costringerà a una sessione di trekking, in andata e ritorno, che, se certo non comodissima, ci consentirà tuttavia di godere di panorami, profumi, atmosfere davvero suggestive.
Il cosiddetto "Trave di Ancona", circa 2 chilometri e mezzo in linea d’aria a nord-ovest di Portonovo, è un’incredibile formazione rocciosa rettilinea, che si protende trasversalmente in mare per oltre un chilometro simulando perfettamente un frangiflutto artificiale. Si tratta in realtà di una barriera di roccia marnoso-arenacea naturale, risalente al Miocene. Larga circa 5 metri, è quanto rimane di una vera e propria parete di roccia, la cui componente friabile è stata progressivamente erosa dal mare. Ne resta la parte in calcarenite (una roccia più resistente) che affiora appena dalle acque, risultando completamente sommersa solo nel tratto più al largo. Delimita a nord il lungo spiaggione di Mezzavalle, tramite il quale vi si può accedere a piedi, non prima tuttavia di aver percorso un ardito sentiero.
Vi arriveremo dalla strada provinciale del Conero SP1, la litoranea che costeggia il monte. Proprio all’altezza del Trave presenta una doppia curva a S, oltrepassata la quale di circa 800 metri in direzione nord-sud, dovremo fare attenzione alla presenza, sulla sinistra, di una cancellata, a lato della quale si apre uno stretto passaggio pedonale. Questo consente di accedere a uno stradello che scende sino alla sottostante spiaggia di Mezzavalle, rasentando canneti, attraversando vallecole e godendo di una vista stupenda sull'Adriatico.
Dalla spiaggia potremo raggiungere, sempre camminando, la base del Trave. L’ intero percorso è di circa 1.3 chilometri. Personalmente consiglio, tranne d’estate, di effettuare la vestizione dove si è parcheggiato (vi sono alcuni posti macchina sul lato della strada opposto a quello ove si trova la cancellata) avendo cura d’indossare sopra i calzari un paio di scarpe sportive o da trekking. Dalla base dello scoglio, ove una volta sorgeva il Casotto Fattorini, una postazione fissa da pesca degli anni ’50 poi rimossa nel 2019 in quanto fatiscente, si può entrare in acqua e procedere pescando in direzione della punta, a destra oppure a sinistra della barriera di roccia.
Potremo utilizzare come riferimento la Madonna del Trave, che sovrasta una meda posizionata proprio all’apice della formazione rocciosa. Pescheremo su un bassofondo argilloso, coperta da concrezioni, “lattuga di mare” e, una volta, da estese colonie di mitili. Dico questo perché purtroppo la caldissima estate del 2024, con la temperatura dell’acqua che ha superato a lungo i 30 gradi, ha provocato in tutto l’ Alto Adriatico una moria diffusa delle cozze, che ha raggiunto anche la zona di Ancona. Siccome i molluschi (che qui chiamano “moscioli”, e rappresentano un’eccellenza culinaria del luogo) sono anche una componente non banale della pescosità di queste acque, costituendo un’importante fonte di cibo per i pesci, sia direttamente (per le orate soprattutto) che indirettamente (grazie al cosiddetto “gamberetto delle cozze”, che le colonizza), non so onestamente cosa aspettarmi per il prossimo anno.
In ogni caso le prede sono quelle tipiche di questo mare: seppie, mormore, orate, cefali, spigole e serra. Più rari, ma possibili, gronghi, pesci piatti (passere e rombi) e lecce (anche grosse!). La stagionalità riveste, come ovunque in Alto Adriatico, un ruolo importante, in quanto ogni specie, come narrato in più occasioni, è diversamente rappresentata nei vari periodi dell’anno.
La profondità non supera mai i 4 o 5 metri, e la persistente velatura dell’acqua consiglia di non scendere con armi di lunghezza superiore ai 75 centimetri. Il vero problema è rappresentato dalle correnti che, non sempre ma abbastanza spesso, possono risultare così intense da impedire addirittura di scendere in mare, considerando anche che verremo, a un certo punto, a trovarci a discreta distanza da riva e privi di una barca appoggio.
Balata dei Turchi
L’ etimologia di questa località, come di tante altre a Pantelleria, è chiaramente araba (Balàt= lastrone di pietra). Questa piattaforma di roccia veniva infatti anticamente utilizzata dai pirati barbareschi come approdo sull’isola per rifornirsi d’acqua o per effettuare scorrerie ai danni della popolazione locale. Si tramanda, in particolare, un fatto d’arme accaduto nella seconda metà del ‘700, allorchè 3 galere algerine tentarono una razzia a sorpresa ma gli abitanti, rapidamente mobilitatisi, riuscirono nella circostanza a respingere l’incursione e a catturare un certo numero di pirati.
L’origine lavica della località è denunciata dall’aspetto levigato del lastrone di roccia che scende al mare e dalla ricchezza di ossidiana i cui cristalli emergono un po’ ovunque dal terreno.
Il panorama è quello, splendido, della costa pantesca, con imponenti scogliere a strapiombo, alte sino a 300 metri. In effetti, la “balata” è uno dei pochi accessi al mare di questa parte dall’isola. Non ve ne sono altri nel tratto di costa compreso tra la Martingana e il porticciolo di Nikà. Ci troviamo in corrispondenza del vertice meridionale di Pantelleria.
L’ accesso alla “balata” è individuabile dalla contorta stradina, tutta curve e tornanti, che percorre la circonferenza dell’isola, offrendo scorci spettacolari. Si tratta di un sentierino con fondo ghiaioso che parte in località Martingana, ha una lunghezza di poco meno di 3 chilometri e percorre le pendici scoscese dell’isola in direzione est-ovest. Va percorso a bassa velocità e con una certa cautela per dribblare le buche ed evitare di finire fuori strada!
Raggiunta la base del pendio, lo spettacolo ripagherà ampiamente il disagio: un esteso terrazzamento roccioso si protende verso il mare sino a lambirne la superficie. A destra, una baietta oltre la quale svetta un’altissima falesia; a sinistra, i cosiddetti Scoglietti, un miniarcipelgo di rocce affioranti poco al largo di un’alta scogliera.
Completata la vestizione nei pressi dell’auto, dobbiamo scendere a piedi ancora un centinaio di metri prima di raggiungere una specie di vasca naturale dalla quale guadagnare l’acqua con relativa facilità anche in presenza di mare formato.
Dobbiamo per prima cosa decidere se andare verso destra o verso sinistra. Se si va a destra, dopo una prima baietta la parete si alzerà e sott’acqua troveremo una franata destinata a morire sulla sabbia o sulla posidonia a 20, 30 metri di distanza dalla costa, su una batimetrica mai superiore ai 10, 12 metri.
Agguatando rasente il fondale e mantenendo sempre la copertura dietro le rocce, è possibile insidiare i grossi saraghi maggiori che frequentano la zona, sfruttando come tana i numerosi anfratti.
Proseguendo alla base della falesia, il fondale si modifica, perdendo qualcosa in termini di complessità: diviene maggiormante piatto, ciottoloso, con pochi grandi massi che non fanno tana. In questo tratto pascolano sovente branchi di cefali, i saraghi invece diventano più rari. Può pertanto convenire allargarsi progressivamente, sino a capitare su una zona di franata caratterizzata da una distesa di grossi sassi arrotondati ricoperti da un’alga verdina: la sembianza è quella di gigantesche uova “aliene” accatastate le une sulle altre. Dagli anfratti tra l’una e l’altra vedremo entrare e uscire i saraghi.
Possiamo giocare allora la carta dell’aspetto, adagiandoci sul fondo, a non più di 7, 8 metri, cercando di farli avvicinare o di attirare qualche pesce di passo (abbastanza frequenti sono i barracuda e i piccoli carangidi mediterranei). Volendo, si può continuare così sino a raggiungere, se abbiamo fiato e gambe, un grande arco di roccia che si vede in lontananza (Punta di Sciarcazza).
Se si decide di andare a sinistra, il clou è rappresentato dagli Scoglietti: troveremo una grande ricchezza di massoni, cunette, franatine, ideali per l’agguato al pesce bianco, con qualche possibile sorpresa, rappresentata, nelle zone d’ombra, da cernie e mostelle.
Nel complesso i fondali accessibili da balata dei Turchi, pur se discretamente sfruttati dai sub locali, possono ancora riservare splendide sorprese grazie al ricambio di pesce che la loro posizione, verso il mare aperto ed esposta alle correnti, consente. In generale è uno spot da visitare preferibilmente con mare formato (che induce il pesce ad avvicinarsi a riva e ad abbassare le difese) tenendo conto che le correnti fredde che ricorrentemente investono la zona sono in grado di trasformarlo in un deserto quando, magari il giorno prima, brulicava di pesce.