Il racconto di un’uscita con il forte atleta del team Cressi nel mare di Porto Pino, in Sardegna. Obiettivo: una cernia bianca da mangiare a cena con gli amici. Detto fatto…
Emiliano Brasini
Stefano Konjedic, 27 anni, nato a Torino, è un agonista di nuoto pinnato e apnea e fa parte della Nazionale Italiana, prima giovanile e in seguito assoluta, in entrambe le discipline, dal 2013 al 2019. E’ stato Campione Europeo con record del mondo nei 100 metri speed, vice Campione del mondo della medesima disciplina, più volte Campione Italiano nei 50, 100, 200 e 400 metri di pinnato, siglando alcuni record nazionali sia giovanili che assoluti, alcuni dei quali ancora imbattuti. Inoltre, ha conquistato argento e bronzo mondiali nelle staffette 4x100 e 4x50 sempre di pinnato. E’ laureato in scienze motorie ed è istruttore di pesca, di nuoto pinnato e di apnea. Ex Palombaro della Marina Militare, attualmente fa parte del corpo dei Vigili del Fuoco.
Lo abbiamo incontrato scambiandoci quattro chiacchiere su presente e futuro.
«Fin da piccolo, assieme alla passione per gli sport in vasca, avevo quella per la pesca, che praticavo in Sardegna durante le vacanze estive - esordisce Stefano -. Mi sono avvicinato a questa disciplina da giovane; a circa 10 anni già mi immergevo con la maschera per cercare qualche polpo vicino al molo di Porto Pino, dove si ormeggiano le barche dei pescatori, in compagnia di mio papà, mio fratello e i miei cugini. A 14 anni ho avuto l’opportunità di condividere la passione per il mare con Silvio, un amico dei miei genitori. E’ stato il nostro primo maestro. Da lui abbiamo appreso tanto sul mare e sulla pesca, principalmente sull’aspetto. Sempre sotto la sua supervisione, all’età di 16 anni, è arrivato il primo fucile e i primi pesci degni di nota».
A quando la svolta?
«La svolta che ha lasciato l’impronta più grande su di me è arrivata il 4 gennaio del 2018, quando ho avuto l’opportunità di far parte dell’equipaggio di Bruno De Silvestri. Bruno vanta tra il suo palmares sportivo quattro titoli di Campione italiano; insomma, uno dei migliori di sempre. Oltre a ciò, era anche un eccellente sommozzatore dei Vigili del Fuoco. Mi avevano colpito la sua intelligenza, la sua apertura mentale e la sua preparazione a tutto tondo sull’ambiente marino e sulle tecniche. Tra me e Bruno c’è noto fin da subito un bel feeling. Ricordo bene la nostra prima uscita in mare, a Tertenia. Provai emozioni incredibili, che hanno letteralmente stravolto le mie passioni e i miei obiettivi i quali, fino a quel giorno, erano improntati verso le discipline in vasca. Da Bruno ho potuto apprendere l’arte della pesca in tana e la mia indole competitiva, a poco a poco, mi ha fatto avvicinare all’agonismo anche in questa disciplina. Nel giro di due anni sono passato dalle Selettive al Campionato di qualificazione e, in seguito, al Campionato assoluto. Dal 2023 faccio parte del team Cressi e recentemente sono entrato a far parte del Club Azzurro per il 2025».
Hai bruciato le tappe. A cosa devi una crescita così veloce!
«Direi principalmente a due fattori: l’allenamento pregresso, costruito negli anni di piscina e la tecnica, che ho potuto apprendere grazie agli insegnamenti di Bruno. Il 12 giugno del 2019 purtroppo, come dice il nostro amico Matteo Scano, la nostra stella polare si è spenta. Dopo la sua tragica scomparsa sono iniziati mesi molto tristi e una delle cose che più mi ha dato forza è stata l’amicizia con il fratello Angelo, che mi ha permesso di continuare ad andare in mare portando avanti la nostra più grande passione. Come con Bruno, anche con Angelo c’è stata fin da subito intesa e sintonia. Angelo è una persona d’oro, altruista, amichevole e sensibile… quasi come un papà!».
Raccontaci di una giornata di pesca nei tuoi posti preferiti…
«Vorrei parlare di Porto Pino, il tratto di mare a cui sono più affezionato perché, come accennato in precedenza, è proprio in quel luogo che ho iniziato da piccolo a catturare i primi pesci. Sono passati diversi mesi dall’ultima volta che sono venuto da queste parti perché, oltre a essere spesso fuori casa per lavoro, Porto Pino dista un centinaio di chilometri da Cagliari ed è possibile organizzare uscite solo quando le condizioni meteo marine sono favorevoli.
«Siamo alla sera prima, è settembre e il meteo sembra essere dalla nostra parte. I siti danno onda quasi inesistente per l’intera giornata, dovrebbe solamente alzarsi una leggera brezza di maestrale nelle prime ore del pomeriggio. Appuntamento ai ragazzi alle 6 al rimessaggio nautico e si va a dormire. La mattina riguardo velocemente il meteo, carico l’attrezzatura e mi avvicino al gommone. Appena arrivano Angelo ed Emiliano ci mettiamo in viaggio. Ci attendono due ore di macchina e ci fermiamo a fare colazione. Davanti al caffè accenno ai ragazzi che desidero gustare una cena a base di cernia bianca, uno dei miei pesci preferiti in cucina. La ricerca di questa prelibata specie diventa l’obiettivo di giornata, nella speranza di poterla mangiare la sera stessa tutti assieme! Sono le 8.30, arrivati al porto canale aliamo il gommone, indossiamo le mute, accendiamo il motore e iniziamo a navigare. Decido di effettuare i primi tuffi su alcune zone entro i 15 metri per rompere il fiato e adattare gradualmente l'organismo alla profondità. L’acqua è limpida, non c’è nè corrente, nè termoclino e del vento non avvertiamo ancora traccia. Alterniamo tuffi su punti mirati con qualche pinneggiata a mezz’acqua alla ricerca di posti nuovi. Nelle prime due ore Angelo e io riusciamo a prendere uno scorfano rosso e un sarago, ma di cernie bianche nemmeno l’ombra! Salgo in gommone e dico al barcaiolo che mi sento pronto per scendere più in profondità e aumentare così le possibilità di vedere questo serranide che, ahimè, con il passare degli anni è sempre più difficile da scovare.
«Decido di visitare qualche zona sui 30 metri ma, dopo una buona mezz’ora, riesco a catturare solamente un marvizzo. Risalgo in gommone e decido di spostarmi di qualche centinaio di metri; in navigazione osservo l’ecoscandaglio per cercare di capire quali possano essere le zone più “vive” dove effettuare il tuffo. A un certo punto sento Angelo che mi chiama, dicendomi: Ste! Ricordi che l’anno scorso avevi intravvisto una cernia sparire nel grotto, che non eri riuscito a prendere? Quelle parole mi hanno fatto subito ricordare ciò che Angelo mi stava dicendo; era successo diversi mesi prima. Era il tardo pomeriggio di una giornata nuvolosa di aprile, l’acqua verdastra e la corrente sostenuta. Per questi motivi avevamo deciso di non insistere, rimandando l’appuntamento in un altro giorno, possibilmente con un meteo più estivo.
Sono le 12.30 e tra me e me penso: quale giornata meglio di oggi!? Lancio uno sguardo al barcaiolo e, senza bisogno di parlare, ingrana la marcia in direzione dello spot, lontano poche centinaia di metri. Arriviamo sulla verticale, entro in acqua e inizio a ventilarmi. Ci sono 31 metri di fondo, un ultimo respiro, capovolta e giù. Neli ultimi 10 metri alzo la testa per orientarmi in base al ricordo offuscato dell’azione svolta qualche mese prima. Pinneggiando mi guardo intorno, con la vana speranza di scorgere qualche movimento. E’ ora di risalire, mi giro verso l’alto e inizio la pianeggiata. Nel mentre scorgo una fossa sulla sabbia, vicina a una porzione di roccia, a una decina di metri di distanza. Lascio cadere il pedagno e continuo la risalita. «Mentre respiro in superficie, conoscendo il comportamento delle cernie bianche, penso che, con buone probabilità, quella potrebbe essere la tana che stavo cercando. Preparo bene il tuffo e inizio la discesa. Durante l’avvicinamento seguo il filo del pedagno e, negli ultimi 5 metri che mi separano dalla roccia scavata, predispongo fucile e torcia allineati, pronto a scoccare il tiro. Sto effettuando una lenta caduta, mancano pochi centimetri al fondo sabbioso, quando illumino l’entrata dello spacco e scorgo il pescione in posizione laterale, pronto a scodare verso la parte a gomito della tana. Sparo immediatamente e l’asta, fortunatamente, va a fulminare il pesce. Da subito mi accorgo delle notevoli dimensioni. Estraggo la cernia, apro il mulinello e risalgo. Ripreso a respirare inizio a raccontare l’azione ai miei compagni intanto che recupero il serranide. Appena la cernia raggiunge il pelo dell’acqua, mi accorgo che è la mia più grossa di sempre: oltre i 15 chili!
«La felicità è alle stelle e, vista l’importanza della cattura, concludiamo qui la pescata, dopo aver scattato qualche foto ricordo. Arrivati al porto aliamo il gommone e e torniamo verso casa, dove ci attende una deliziosa cena fra amici, naturalmente a base di filetti di cernia bianca!».