Federico Mana è uno degli apneisti più conosciuti e apprezzati, grande specialista nell’insegnamento della compensazione. Gli inizi, la partenza per l’Egitto e gli attuali impegni
Filippo Carletti
Ciao Federico, da istruttore di yoga e respirazione, di apnea e compensazione, quale ruolo credi che debba avere un istruttore?
«Credo che il ruolo dell’istruttore sia più complesso di quanto si possa pensare. Un buon istruttore, oltre a essere un buon apneista, dovrebbe saper trasferire conoscenze e abilità in modo adeguato semplice e graduale. Ritengo che gli aspetti introspettivi legati a questa disciplina non possano essere il punto di partenza nell’insegnamento, sono convinto che la filosofia dell’apnea te la insegna il mare, non l’istruttore. Io stesso mi vedo come uno strumento al servizio del liquido elemento. Il nostro lavoro è creare conoscenza, consapevolezza e competenza. Saper ascoltare, capire come la persona apprende e insegnare nel modo giusto. Solo così si potrà imparare la tecnica, che è fatta di controllo e coordinazione. Il rilassamento è la conseguenza, arriva solo alla fine, quando sappiamo cosa fare e su cosa concentrarci.
«L’apprendimento avviene su 4 livelli: il primo (Inconsapevolmente - Incompetente) è quello in cui si trovano i neofiti, ovvero non sanno fare e non ne sono consapevoli. Grazie alla teoria e al sapere si passa al secondo (Consapevolmente - Incompetente) grazie al quale, anche se il saper fare non è ancora efficace, si apprende come andrebbe fatto. Il terzo livello (Consapevolmente - Competente) è quello in cui, attraverso l’esercizio, si inizia a lavorare sugli schemi motori e tecnici; in questa fase mancano ancora gli automatismi, pertanto a questo livello il rilassamento non è ancora possibile perché l’attenzione è tutta rivolta al gesto tecnico. Quando, grazie alla ripetizione, la tecnica è appresa e i movimenti sono automatici, posso finalmente essere fluido e rilassato godendo del quarto livello (Inconsapevolmente - Competente). Per questo sono convinto che il concetto di rilassamento debba essere inserito in una fase adeguata, richiedere o addirittura pretendere rilassamento in una fase 2 o 3 produrrebbe frustrazione nell’allievo perché difficilmente riuscirebbe a raggiungere quanto richiesto. Prendiamo, ad esempio, l’esame di scuola guida: in questa occasione di valutazione prendendo la patente sarete stati sicuramente valutati Consapevolmente - Competenti. Ma ricordate quanto eravate rilassati?
Ecco perché credo fermamente che per insegnare bene apnea, bisogna comprendere come le persone apprendono».
Cosa ne pensi delle tante didattiche di oggi?
«Credo ci siano due modi di interpretare le didattiche, quella da utente e quella da istruttore. La scelta della didattica non cambia molto per un principiante. All'inizio ciò che conta davvero è la comodità: la piscina più vicina a casa, ad esempio. Le statistiche dimostrano che un candidato ai corsi di apnea non cerca il nome della didattica sui motori di ricerca, ma cerca i corsi nelle piscine che distano al massimo 20/30 minuti da dove abita. Nel panorama italiano, anche diventare istruttore solitamente dipende dalla scelta precedente, crescendo in un club, infatti, si tende a diventare istruttore dell’agenzia promossa dal club stesso. Per quanto riguarda la bontà del livello di formazione, ritengo che le didattiche siano abbastanza equivalenti, è il lavoro dell'istruttore che fa la differenza. Ho conosciuto istruttori molto validi e capaci in ogni didattica, e viceversa. Ecco perché credo che la collaborazione tra persone sia la caratteristica vincente di gruppo.
«Il panorama internazionale e quello italiano sono mondi a sé. L’Italia e la Francia sono le culle dell’apnea e siamo stati tra i primi a diffondere questo sport nel mondo. In questi due Paesi prevale l’organizzazione associativa e fa fatica a decollare la cultura dell'istruttore di apnea come lavoro principale. Ci sono candidati istruttori che insegnano per diletto una o due sere a settimana, sono istruttori più per passione che per scelta lavorativa, non vi è nulla di sbagliato in questo, è una scelta lodevole. Parallelamente lo sviluppo del mercato non può essere in linea con coloro che mettono la stessa passione, ma lo fanno come lavoro insegnando 8 ore al giorno per 6 o 7 giorni. In Asia, conosco Freediving Center e istruttori che riescono a rilasciare dai 1000 ai 1200 brevetti all’anno, il che dimostra come da quelle parti l’apnea sia una professione. In Italia siamo circondati dal mare e onestamente non so se esistono almeno dieci centri freediving aperti tutto l’anno. Io stesso avrei il sogno di possedere un centro in Italia, ma devo ammettere che non è facile immaginare di poterlo far funzionare bene per 12 mesi!».
A oggi sei un professionista in questo mondo. Ci racconti un po’ della tua storia? Come sei diventato quello che sei?
«Sono da sempre un sognatore e il mio grande sogno era vivere di mare. Ero optometrista e lavoravo nella formazione e al San Raffaele di Milano. Era un mondo che mi piaceva, ma in cui non mi riconoscevo al 100%. Perciò avevo una doppia vita. Da lunedì a venerdì lavoravo, e ogni mattina mi allenavo in piscina dalle 7 alle 8,15 prima che aprisse al pubblico. Eravamo io, il mio compagno di allenamento e il robottino subacqueo. La sera o facevo yoga o aiutavo in un club di apnea di Milano. Poi il venerdì partivo e andavo al porto vecchio di Genova, dove facevo la gavetta per provare a capire se sarei mai riuscito a vivere quel tipo di vita. Ho iniziato su un vecchio peschereccio riadattato a barca per sub, sotto la guida di una figura storica come Paolo Pastorino. Ho aiutato come cuoco, carteggiando la barca, poi come Dive master e poi ho anche preso la patente nautica. Mi sono pagato anche i corsi di apnea e, finalmente, nel 2002 sono diventato istruttore. A fine 2003 decido di mollare tutto per provare questa avventura e parto per l’Egitto. Mi ero concesso un anno per vedere se sarei riuscito a trasformare in un sogno la mia vita. Ne sono passati 22, forse ci sono riuscito!».
Come è andata all’inizio la tua carriera da istruttore?
«Come dicevo, sono un sognatore, ma sono anche consapevole, non ero un talento, anzi, avevo difficoltà nella compensazione e spesso mi schiacciavo quando provavo a scendere profondo. Ma sono determinato e ostinato. Credo di essere uno degli esempi in cui l’ossessione batte il talento. Quando ho iniziato, ho cercato di capire se quella vita mi avrebbe dato piacere e soldi. Piacere tantissimo, soldi pochi. Ma dovevo provarci. Sono finito in Egitto, lì sono rimasto quattro anni; ho iniziato da Fabio Brucini, al Freestyle Water Sport center, dove insegnavo apnea e scuba, ma per fortuna l’apnea cresceva sempre di più. Dopo un anno e mezzo ho aperto il mio piccolo centro e ho anche iniziato ad allenarmi con l’idea di provare a fare l’atleta; ho ottenuto 8 record nazionali e nel 2009 ho coronato il mio sogno: essere il primo italiano a toccare i 100 metri di profondità. Nel 2008 sono tornato in Italia per fondare Moving Limits. Da allora ho investito molto nell’insegnamento, soprattutto nei punti che secondo me necessitavano di miglioramento. Mi sono specializzato nella compensazione e nel 2017, insieme con Giacomo Corda e Giovanni Bianco, ho fondato Share Equalization. Siamo contenti di questo progetto e oggi contiamo 120 istruttori in tutto il mondo che insegnano la compensazione seguendo la nostra metodologia. Se dovessi riassumere, la mia è una storia di ossessione. Non è lavoro, è vita, non ho un confine tra ciò che sono e ciò che faccio, se ogni mattina mi sveglio con il sorriso forse è proprio grazie a questo. Caparbietà e determinazione mi hanno sicuramente aiutato in questo percorso stupendo, ma tutt’altro che facile. Mio figlio Tommaso ha descritto perfettamente il mio essere quando ha detto che il mio lavoro è “gonfiare i palloncini con il naso”. Mi sento fortunato».
Come è, invece, la tua vita da coach invece?
«La passione che ho per questo sport mi porta a restare in contatto costante con gli atleti, che mi chiedono di seguirli. Tra questi c’è Fabio Tunno, apneista tedesco con papà italiano. Simpaticissimo tra l’altro! Lui si allena 11 volte a settimana, lo ammiro, soprattutto perché amo gli atleti in cui rivedo determinazione, desiderio di farcela, e danno il 100%. Se decido di seguire un atleta è perché vedo la passione smisurata, guardo molto meno il profilo tecnico oppure il talento. Anche io, come dico sempre, sono sempre stato tra i più sfigatini! Però ho sempre voluto capire, approfondire, imparare! Ho seguito diversi progetti di allenamento essendo parte di un team e occupandomi della parte di compensazione e allenamento in profondità. Ho preso parte a un progetto francese con il Blue Addiction Pro team, ho seguito Alice Modolo. Mi piace confrontarmi con chi ha opinioni diverse, come dico sempre, “dove tutti pensano allo stesso modo, nessuno pensa un gran che”. Capita di litigare con i miei soci, ma non è mai per trovare chi ha ragione, quanto per scoprire la verità. Sono momenti di grande crescita».
Pensi che il Mouthfill, che è il trend topic dell’apnea moderna, sia la compensazione definitiva che si utilizzerà anche nel futuro?
«Ho imparato che di definitivo non c’è mai nulla. Quando scrissi La compensazione evoluta, nel 2013, ero certo che sarebbe stato il miglior lavoro che potessi fare. Quattro anni dopo abbiamo creato Share Equalization, che era diversa, più approfondita e lineare. Anche lì, nel 2017, mi dissi che meglio di così non potevo ottenere. A oggi siamo vicini al lancio di Share 2.0. Da eterno curioso più approfondisco, più cose mi balzano alla mente. Non vedo il mouthfill come un trend, piuttosto come una tecnica che incontra i bisogni di tanti apneisti. Se non compensi non scendi! Con la metodica Share Equalization la grande intuizione è stata quella di portare l’allenamento fuori dall’acqua, a secco. Dicevano che sarebbe stata un’idea fallimentare, ma i numeri ci dimostrano il contrario. Si pensi che in media un apneista faceva profondità circa 10 volte all’anno; correva il 2015. Successivamente, quando sono nate le piscine profonde, le sessioni sono passate a 18. Pensa quanto miglioreresti se da calciatore ti allenassi 18 volte in un anno. Non molto! Allenarsi a secco ha il grandissimo vantaggio di aumentare il numero di sessioni e di fare acqua con la consapevolezza di chi ha già chiaro i gesti e i principi su cui concentrarsi. Inoltre, mettici che la compensazione è una manovra estremamente complessa, nella quale si devono coordinare glottide, lingua, palato molle, guance e mandibola. Sono 5 palline che un giocoliere alle prime armi non riuscirebbe mai a gestire tutte insieme. Nel nostro metodo di insegnamento, entrare in acqua quando si è in grado di gestire queste variabili, permette una velocità di apprendimento nettamente superiore.
«Con questi protocolli sono certo di riuscire a insegnare i Frenzel evoluti a chiunque, permettendo loro di scendere in modo efficace e sicuro, la profondità sarà solo una conseguenza al comfort ottenuto grazie alla tecnica efficace. Penso che la compensazione resterà un luogo di crescita. Il mouthfill, certe volte, è visto come una scorciatoia per andare fondo, ma quello è un errore di interpretazione. Il mouthfill permette una gestione della compensazione decisamente più rilassata e sicura. La conseguenza è che vai fondo.
«Il grosso pregio del Frenzel Fattah, chiamiamolo con il suo nome e rendiamo omaggio a chi lo ha inventato, è quello di traslare aria in totale comfort (il famoso carico), senza farsi male (perché lo si fa a quote entro i 15 metri). Questo processo, imparato bene, evita lo squeeze come conseguenza di traslazioni di aria in profondità. Le tecniche sono strumenti, e come tali sono tutte neutre. È l’interpretazione dell’apneista a renderla efficace o potenzialmente nefasta».
Ci sono nuove frontiere dell’apnea che secondo te aspettano di essere esplorate?
«L’apnea negli ultimi anni è cresciuta moltissimo in termini di numeri. Sta seguendo il boom che fece la subacquea negli anni ‘80. Quando questo accade, si verifica una “volgarizzazione” della disciplina e cambiano anche i bisogni. Fenomeno che fa impazzire i puristi. Se prima si frequentava un corso per disincagliare l'ancora, pescare più profondi, sentirsi più sicuri con le onde alte, adesso può accadere che a seguire un corso arrivi anche chi con l’elemento acqua a poco se non nulla a che fare. Perciò, magari, si dovrà partire con l’acquaticità. Poi dovremmo guardare anche oltre frontiera e comprendere come i bisogni possano essere completamente diversi. Basti pensare che in Asia, ad esempio, vanno molto di moda i corsi di mermaiding. Forse un giorno anche l’istruttore italiano si ritroverà con la coda da sirena! Se, invece, intendi l’agonismo, pensa che questo rappresenta appena una piccola percentuale dei praticanti.
Se vogliamo che questo settore cresca, bisognerebbe lavorare su diversi aspetti, sia di diffusione che di regolamentazione. Per far diventare l’apnea uno sport e non una disciplina ricreativa, bisognerebbe partire dalla base, ovvero dal far praticare i giovani 2 o 3 volte a settimana. Per farlo incontriamo i primi due grandi scogli, ovvero avere istruttori che possano insegnare ai giovani durante le ore pomeridiane e avere spazi acqua per l’apnea nel pomeriggio. Per ora mi sa che siamo abbastanza lontani da questo traguardo!
Quali sono i tuoi prossimi appuntamenti?
«Continuerò a fare formazione e allenare perché questi due mondi mi tengono legato sia alle esigenze ricreative sia a quelle degli atleti. Comprendere i bisogni ti permette di studiare in modo adeguato e mirato, sviluppando servizi che possano aiutare nel concreto gli apneisti. Allenare atleti, inoltre, agevola l’instaurarsi di bellissime amicizie. Sentire la passione, poter aiutare e confrontarmi con l’eccellenza è una forte motivazione per me. Come Formatore sicuramente sarò alle prese con corsi di aggiornamento e corsi istruttore Share Equalization. In più stiamo rinnovando la didattica. Partiremo con i nuovi corsi Start, Deep, Coordination e Fly. I nostri istruttori avranno poi 2 livelli di formazione e tradurremo la didattica in altre lingue ancora.
«Ma non finisce qui. Ho coinvolto altri apneisti motivati e sognatori come me in un nuovo progetto, quindi preparatevi, non posso spoilerare nulla, ma voi segnatevi il nome Bee Part».
Ultima domanda! L’apnea diventerà mai popolare? Insegnata anche nelle scuole, per esempio.
«L’apnea può sicuramente essere pop. Ma finché essere istruttore non verrà considerato un mestiere, allora non sarà mai una professione. Per insegnare ai bambini è necessario farlo a tempo pieno, anche durante il pomeriggio o la mattinata. In più, sono veramente poche le piscine propense a mettere a disposizione spazi acqua negli orari diurni. Una strada sarebbe percorribile se le agenzie stilassero dei programmi di formazione rivolti agli istruttori di nuoto per insegnare anche l’apnea. Sarebbe un primo passo per sdoganare l’apnea in orari fruibili a tutti. Attualmente però, in questo sistema di cose, lo trovo parecchio difficile».