Quando parliamo di apnea, pensiamo spesso alla realtà italiana. E anche quando chiacchieriamo con italiani all’estero è facile calarsi nei loro panni, comprendendo uno stile di vita più o meno simile che si è dovuto adattare ai grandi punti di riferimento moderni di questo sport. La storia di Catherine Chouinard è invece completamente diversa e per questo raccontarla ne vale decisamente la pena
Filippo Carletti
Ma partiamo dal principio! Cath, come hai iniziato a fare apnea?
«Sono sono franco canadese e in Canada le distanze sono completamente diverse da quelle a cui sono abituati in altre nazioni. Pensa che un mio amico si sorbiva 3 ore di macchina solo per andare a lezione di apnea. Io lo sentivo, mi raccontava, eppure non capivo. Ma la curiosità era tantissima. Perciò, incuriosita da tale dedizione mi convinsi a provare.
«La sensazione che l’acqua regala mi è sempre piaciuta, perciò mi iscrissi anch’io al corso di Aida 2, a Montreal. Non andò benissimo. Sono riuscita a riconoscere da subito quando questo sport fosse bello, eppure l’insegnante non era riuscito a suscitare in me sensazioni positive o così piacevoli da guidare 3 ore! Tempo dopo ho avuto modo di approfondire ulteriormente e di alimentare questo fuoco che, anche se debole, si era acceso. E sono esplosa di passione. Sono andata in in Honduras, dove ci sono 3 isole principali. Utila è quella in cui ho potuto, grazie a un bravissimo istruttore, capire quanto l’apnea mi appassionasse e quanto volessi continuare questo percorso».
È a quel punto che prendi la scelta di trasferirti?
«Ci ho messo circa due anni prima di decidere e andare ad allenarmi in apnea, come facevo prima con le immersioni Ara. La mia idea era di volare in Egitto e fare apnea. Volevo diventare brava. Volevo sentire l’acqua come parte di me e desideravo con tutto me stessa migliorare. Ora sono 7 stagioni che vivo a Dahab! Quando sono arrivata parlavo quasi solo francese, non masticavo molto l’inglese e avevo con me una maschera e delle pinne in plastica e quasi nessun risparmio; giusto i soldi per i mesi di allenamento che avrebbero dovuto essere solo 2, 3 o 4 al massimo».
Come è andato avanti il tuo ambientamento a Dahab?
«Quando insegui qualcosa che è la tua passione, anche la vita cambia. La mia è cambiata di sicuro! Ho conosciuto tantissime persone. Clienti, allievi, certo, ma comunque amici e persone fantastiche che sono rimaste nel mio cuore. Ho avuto anche la fortuna di incontrare Emilia Biala, che a oggi lavora al Deep Spot in Polonia ed è stata la prima a essere assunta nella struttura! Lei più di tutti fu gentile e inclusiva. Mi aiutò ad ambientarmi e mi chiese di assisterla. Venivo dal mondo della formazione e mi chiesi se non fosse anche il mio obiettivo provare a insegnare, trasmettere ad altri a vivere e migliorare il proprio rapporto con l’acqua. Così diventai istruttrice!».
Da allieva canadese a istruttrice a Dahab! Una trasformazione totale. Come sta andando il tuo percorso da istruttore?
«Sono diventata istruttrice nel 2019, appena prima del Covid. Alla fine dell’anno avevo molti allievi, tutti super gentili con me. Il passa parola qui funziona bene e poiché erano tutti soddisfatti, di volta in volta mandavano amici e conoscenti a fare lezione. Per me era importante essere professionale e fare del mio meglio. All’inizio mi appoggiavo alle facility dei bar e ristoranti, però poi volevo qualcosa in più per chi, ad esempio, era timido e non si trovava bene ad assistere alle lezioni in posti affollati. E poi era importante riuscire a organizzare eventi propri, oppure avere uno spazio dedicato dove riposare, insegnare, parlare… diciamo una sede. Parallelamente, ho proposto anche tante lezioni ai beduini locali. Molti di loro sono pescatori e negli incidenti in mare raccontavano semplicemente che il loro amico “si era addormentato in acqua”. Ma le cose non stanno così, ed è importantissimo porre la sicurezza al primo posto. Credo che collaborare con i locali e far capire qual è l’utilità di un istruttore di apnea sia fondamentale. Sono riuscita a lavorare con i locali e nel periodo del Covid, quando comunque in Egitto si godeva di una certa libertà, è stato davvero utile. Sette Nazioni in tutta l’Africa sono rimaste aperte durante la pandemia e i confini non sono mai stati chiusi».
Quindi a oggi hai una scuola di apnea? Qual è il tuo approccio e come hai organizzato i tuoi corsi?
«A oggi sono anche mamma di un maschietto che ha quasi 2 anni! La scuola di chiama Freediving Tribe Dahab e insieme agli altri istruttori proponiamo un’apnea che sia comprensibile e aperta a tutti coloro che desiderano imparare e migliorarsi attraverso coaching e allenamenti. Ci si allena, ma ci divertiamo anche un sacco condividendo i momenti in mare! Abbiamo molti beginner e potremmo dire che accompagniamo gli apneisti fino a raggiungere i 50 metri di profondità. Mi piace fare cavo, ma amo anche le sensazioni che ti regala l’elemento acqua quando si è padroni del corretto movimento! Un’altra cosa che mi piace sono gli shooting fotografici. La bellezza di essere ritratti sott’acqua per me è senza eguali. Proponiamo anche viaggi, non a Dahab ma più distanti, dove in barca si fa il bagno con i delfini e si ammira la fauna marina che questi mari custodiscono! Tartarughe, mante, dugonghi sono solo alcune delle specie che si possono ammirare nella costa sud dell’Egitto!».
Ti manca il Canada? Perché, ora che sei stabile in Egitto, pensi di aver intrapreso questo viaggio?
«Posso dirti che mi mancano alcuni aspetti del Canada, come vivere in una società strutturata. Bere senza problemi, avere delle condizioni igieniche di alto livello. Sono tutti aspetti che mi mancano, come il non dover assicurarsi di lavare perfettamente frutta e verdura, anche se qui in Egitto il sapore è tutta un’altra cosa. Devo dire, tuttavia, che il Covid ha cambiato un bel po’ di cose e oggi molte persone, da dove vengo io, sembrano riportare un trauma e delle ferite psicologiche profonde! Però, certo che alcuni aspetti di “casa” mi mancano, come il silenzio. Ma immagino che sia il prezzo per vivere in paradiso! Alla fine dei conti penso di aver fatto tutto questo per l’apnea. Perché è molto più di uno sport o di uno stile di vita. Le persone che incontri diventano amici, i clienti restano affetti che non spariscono mai completamente. E poi questa passione mi ha dato la grande occasione di viaggiare, scoprire, insegnare e fare tantissime cose, non ultima nuotare con i delfini. A nord del Quebec ci sono tantissime balene, puoi perfino sentirle, ma vederle è difficilissimo perché la visibilità è estremamente limitata! Stando qui a Dahab qualche volta subisci un po’ il fatto di parlare sempre, solo e soltanto di apnea. Ti viene voglia di chiedere di raccontarti qualsiasi altra cosa, ma essendo una comunità legata dalla cultura di questo sport lo trovo normale. Ho anche intenzione di riprendere il mondo delle competizioni. La prima l’ho provata a novembre del 2024 e mi sono davvero divertita, facendo safety e giudice di gare per qualche anno. Quindi penso che continuerò!»
L’ultima domanda: da istruttrice e da amante del mondo delle competizioni cosa ne pensi del mermaiding?
«La prima cosa che ho pensato è che quello sarà sicuramente il vestito più costoso che abbia mai indossato! Molte persone giudicano questa disciplina, limitandosi a osservare, senza provare cosa effettivamente significa utilizzare un’attrezzatura del genere. La verità è che è difficile e impegnativo nuotare con una coda così pesante. Devi avere delle ottime basi, saperti muovere bene nell’acqua e allora puoi divertirti! Penso che sia bellissima, e puoi farci delle foto splendide!».