
Da questo mese inizia una collaborazione tra la nostra rivista e Simona, tra le più forti ed eclettiche atlete esistenti. Una sorta di diario nel quale racconterà di lei, del suo approccio all’apnea, dei suoi viaggi, dei suoi progetti. Il nome della rubrica? Fin & Tonic
Simona Auteri
Se dieci anni fa qualcuno mi avesse detto che avrei lasciato Londra a causa di una pandemia e che mi sarei trasferita in un villaggio hippy e polveroso sul Mar Rosso, e lì avrei iniziato a praticare apnea profonda e fare record, sarei scoppiata a ridere. Ma la vita è imprevedibile e creativa. Quando scoprii l’apnea per caso nel 2018, in qualche modo capii che la vita come l’avevo conosciuta prima, fatta di scelte razionali, sarebbe cambiata. Sentivo di dover seguire quella corrente invisibile che mi tirava lontano.
L’autunno del 2020 cadde pesante a Londra, l’aria tagliente e le nuvole spesse come lana. Sognavo solo di andare in acqua. A novembre, gli amici del mio club, Apnea Revolution UK, organizzarono un viaggio a Dahab, 10 giorni di workshop di apnea con Gus Kreivenas, coach, atleta e fondatore della nuova scuola Touchdown. La storia di Gus era leggendaria nel nostro club: un saldatore Lituano, abituato alla polvere dei cantieri Londinesi, scoprì l’apnea nel nostro club e decise così di lasciare tutto per andare a insegnare a Sharm- El- Sheikh, a fianco di Marco Nones. Iniziò ad allenarsi e a fare gare, fino ad arrivare a 130 metri in VWT. Poi, decise di competere al Vertical Blue, alle Bahamas, il cosiddetto Wimbledon del freediving e raggiunse 105 metri in monopinna. Al ritorno a Dahab, si ricostruì come coach a tempo pieno. I miei amici erano ossessionati da lui - io guardai le sue foto sui social e chiesi perplessa: “Siete sicuri che sia così bravo?” - erano 100% positivi.
Dal finestrino dell’aereo il Sinai risplendeva come un invito; non avevo aspettative, ma ero pronta.
Dahab era selvaggia, dorata e il vento spazzava via Londra e la pandemia. Il Blue Hole era il suo terreno sacro: era diventato la mecca dell’apnea, un mix stranissimo e magnetico di Beduini in galabeya bianche, ragazze europee in bikini, ragazzi scolpiti in mute nere attillate, voci Egiziane e caprette rumorose. Era caotica, romantica e incredibilmente vivace.
Touchdown, la scuola di Gus, era appena nata sul tetto di un ristorante sul mare, tra polvere e sogni. Gus, pieno di energia, era amichevole con i miei compagni, ma io ero nuova e mi osservava da lontano. Una mattina, durante un tuffo di riscaldamento, mi chiese di andare a 30 metri ed espellere tutta l’aria che potevo. Eseguii senza sapere il perché; quando tornai in superficie, Gus gridava con emozione: avevo appena dimostrato un’espirazione oltre al volume residuo. Da quel momento, l’energia esplose, mi sentivo forte, connessa e pronta. E gli allenamenti decollarono.
Poi, un incidente e tutto cambiò in un lampo: dato il periodo, eravamo soliti pulire gli strumenti di compensazione condivisi con spray disinfettante e io, senza pensarci, lo portai al naso per fare esercizi prima che si fosse asciugato. Poco dopo, entrai nel Blue Hole e dopo il primo tuffo uscii dall’acqua in affanno: lo spray disinfettante mi era entrato nel sistema, i miei seni nasali bruciavano, non riuscivo a respirare, uscii dall’acqua tossendo, disorientata. Il malessere acuto durò 5 giorni, la durata intera del workshop. Gus mi disse di non preoccuparmi, che avrei potuto tornare quando volevo e completare il mio corso. Rientrai a Londra sconfitta.
A Natale 2020, in Europa, annunciarono un altro lockdown. Appena prima della chiusura dei confini, riuscii a prendere un aereo last minute e partii per Dahab, con l’intenzione di rimanere due settimane. Ripresi ad allenarmi con Gus al Blue Hole: il silenzio del blu profondo, il ruvido della corda sulle mani, i pesci colorati della barriera corallina e le risate di Gus mi aspettavano. Dopo pochi giorni, toccai i miei primi 60 metri. Poi arrivò gennaio con il mio volo di ritorno, che lasciai partire senza di me.
Mi allenai quasi ogni giorno e comprai una vecchia monopinna, i piedini allargati, la pala un po’ crepata, ma portava con sé ancora tanta magia. A fine febbraio 2021 raggiunsi i miei primi 73 metri, ridendo e chiedendomi come una pinna così usata potesse portarmi così profonda.
in seguito annunciarono una gara locale a Dahab per aprile 2021. Così, curiosa, emozionata e anche un po’ imprudente, annullai un altro volo e mi iscrissi a quella gara. Tuffai a 67, 68 e 69 metri in monopinna, arrivando seconda, dopo la Francese Alice Modolo. Era surreale, due settimane erano diventate quattro mesi e mi trovavo a gareggiare a fianco a persone che avevo visto solo sui social, le cui performance mi avevano ispirato ben prima di aver mai immaginato di poter condividere un podio.
Così rimasi e lasciai che la vita si sviluppasse da sola, trovai una casa e degli amici, condividemmo storie e allenamenti, serate sotto le stelle nelle oasi del deserto, albe e tramonti sul mare. Mi innamorai: delle persone, dei momenti, di un ritmo di vita che solo Dahab sembrava offrire. Sapevo di poter partire, avrei potuto tornare a casa e sentirmi piena, completa. Ma non ero pronta, c’erano tanti tramonti da salutare, nuove profondità da esplorare e storie da vivere.

