Parliamo dei dentici invernali, un argomento che mi affascina da sempre, fin da quando ero ragazzino. Veder comparire nel torbido il testone di questo stupendo predone è un’emozione incredibile. E tenete presente che, a volte, accade a quote non proibitive, diciamo sui 15, 18 metri, magari anche meno
Luigi Puretti
Eccomi da voi con un nuovo argomento: i dentici invernali. Quando ormai 25 anni fa ho iniziato a pescare con una certa costanza, si diceva che prendere un dentice equivaleva a una sorta di laurea del pescatore. Erano gli anni in cui la pesca l’aspetto aveva preso il sopravvento sulle altre tecniche, come la ricerca in tana. E come tanti altri, ero affascinato da questo fantastico predone, al punto che cercavo qualsiasi tipo di informazione che potesse aiutarmi prima di tutto nella ricerca nelle zone giuste.
Nei miei stage e nei corsi cerco sempre di insegnare agli allievi che il primo passo per riuscire a catturare una preda è quello di poterla avvistare con una certa costanza. Sembrerà banale, ma è la parte più difficile e vale per qualsiasi tipo di specie. Le informazioni non erano diffuse come oggi, internet stava lentamente iniziando a diffondersi e ricordo che andai a casa di un amico per stampare una serie di racconti di un noto pescatore di dentici che oggi è diventato mio amico, Pierfrancesco Salvatori, meglio conosciuto come il Matto!
Nelle mie zone capitava di avvistare qualche cernia di discrete dimensioni, ma nonostante l’acqua limpida e nonostante fossi avessi già una buona apnea, non riuscii ad avvistare neanche un dentice. E ce la mettevo tutta, andando in mare sia all’alba che al tramonto. L’estate passò abbastanza in fretta, catturai la mia prima cernia di 3,5 chili e mi appassionai completamente della pesca. A settembre ricomincio la scuola e sognavo continuamente di riuscire a catturare uno di questi fantastici predoni.
RIcordo che un pomeriggio di fine ottobre mi precipitai in mare dopo la scuola per un tramonto. Le condizioni erano cambiate, l’acqua era molto più sporca e a 12 13 metri era già presente un forte termoclino. Indossavo una muta da soli 3 millimetri perchè all’epoca ciò mi facilitava nella discesa e nelle risalita grazie a una cintura più leggera, ma avevo fatto male i conti con l’acqua ghiacciata.
In quella giornata scoprii per la prima volta cose fosse il termoclino e quanto condizionasse il comportamento dei pesci. Le punte che frequentavo solitamente erano ricoperte di mangianza appallata e quasi a ogni aspetto vedevo qualche gruppetto di dentici: i pesci facevano aprire la mangianza e il cuore batteva forte…
Il freddo, unito a una lunga serie di altre mie problematiche, mi impedì di portare a termine la cattura che tanto desideravo. Impugnavo un arbalete da 90 con asta da 6 millimetri e ricordo ancora oggi un paio di padelle e un dentice colpito basso e poi strappato. Uscii dall’acqua profondamente deluso, mi scappo addirittura qualche lacrima mentre me ne tornavo a casa con il motorino. Sapevo che sarebbe stata una delle mie ultime opportunità prima dell’inverno.
Terminata la scuola a giugno tornai subito in mare con un unico obiettivo, quello di catturare finalmente un dentice e ''laurearmi''. Senza saperlo mi trovai in una nuova situazione favorevole grazie a un marcato termoclino a circa 15 metri. Su una punta che ancora ora mi regala qualche soddisfazione, catturai il mio primo esemplare, di circa 2.5 chili, in maniera molto semplice, direi quasi naturale. Lo appesi sotto il pallone e mi fermai ad ammirare i suoi incredibili colori e i classici puntini sul muso. Capii in breve tempo che era un pesce abbastanza abitudinario sia dal punto di vista territoriale che dal punto di vista dei comportamenti. Ma capii anche che non bastava certamente la cattura di qualche dentice per sentirmi ''laureato''. In base al tratto di costa interessato esistono periodi in cui questi pesci sono più o meno semplici da portare a tiro e la loro presenza è abbastanza importante senza andare troppo profondi. In altri, invece, sembrano sprofondare nell’abisso, risultando imprendibili anche per i pescatori più scafati.
Nelle mie zone, ma direi in tutto il basso Adriatico, da questo momento in poi la cattura di grossi dentici a profondità accessibile non è così improbabile, anzi. Probabilmente dipende da diversi fattori, come quelli alimentari o riproduttivi. Il dentice è un animale carnivoro e ha un apparato digerente molto piccolo e veloce. Difficilmente mi è capitato di trovare il suo stomaco pieno di cibo in digestione, come ad esempio accade con le cernie. Presumo, ma non ne ho la certezza, che sia un animale che necessita di alimentarsi poco ma spesso, a intervalli abbastanza ravvicinati tra loro.
In questo periodo, l’inverno, si avvicinano a terra vari cefalopodi per la riproduzione, calamari e seppie in primis, di cui i dentici vanno ghiotti. Verso la fine di marzo, inizio aprile cominciano a formarsi grossi branchi per la fase riproduttiva. Il periodo coincide solitamente con il giorno di San Giuseppe e tra i pescatori del basso Adriatico si è ormai diffusa la dicitura dei ''dentici di San Giuseppe'' quando si parla di questi montoni. Purtroppo, ogni anno, soprattutto dopo le forti mareggiate che rendono l’acqua torbidissima, i professionisti si sono attrezzati per chiudere questi branchi con apposite reti da posta ed effettuare vere e proprie mattanze, con la conseguenza di ridurre stagione dopo stagione sia il numero di esemplari che la taglia media. Un tempo non era difficile avvistare pesci mastodontici, vicini ai 10 chili, mentre negli ultimi anni la taglia media si è attestata attorno ai 2 chili.
Per noi subacquei si tratta di una bella opportunità per riuscire a fare qualche cattura a quote più modeste, intendo entro i 15, 18 metri. La soglia di attenzione deve comunque essere alta perché, anche a causa dell’acqua molto torbida, fredda e delle mute pesanti, si tratta di profondità non adatte a tutti. Come potete immaginare, non si tratta di pesci facili, tranne rarissimi casi in cui il branco è molto tranquillo e probabilmente ''drogato'' dalle fasi riproduttive e ci permette addirittura di effettuare più di un tiro. Ma sono casi davvero rari. Se dovessimo avere la fortuna di trovarci in una situazione del genere, è inutili ribadire che sarebbe il caso di limitare le catture magari a un solo esemplare di grosse dimensioni e poi lasciar riposare il branco.
Gli spot sono i soliti, i piccoli cigli nella posidonia, le cadute delle secche o le punte spazzate da corrente e ricche di mangianza. Tranne rarissime giornate particolari, l’acqua è quasi sempre molto torbida. Nelle mie zone i primi 4 o 5 metri sono abbastanza limpidi, però superata tale quota c’è sempre una forte sospensione proveniente dal Nord Adriatico, spinta dalla costanti correnti di tramontana e maestrale. L’acqua cosi torbida da un lato può essere ritenuta uno svantaggio, ma dall’altro potrebbe darci qualche opportunita in più.
Come detto prima, a esclusione di alcune situazioni particolari, i dentici sono pesci estremamente diffidenti. La discesa dovrà essere non troppo veloce, con una planata controllata negli ultimi 5 metri circa, così da permettere al sub di trovare l’appostamento migliore e di iniziare a studiare il comportamento della mangianza, la quale, in queste condizioni di torbido, è molto più nervosa. Una volta appostati dovremo rimanere perfettamente immobili. Ci guarderemo attorno muovendo soltanto gli occhi ed eventuali spostamenti della testa dovranno essere impercettibili e lenti. Con l’acqua torbida tutti i pesci faranno affidamento non tanto sulla vista ma soprattutto sulla linea laterale.
Il fucile andrà appoggiato sul fondo e puntato nellaiu probabile direzione di provenienza dei dentici. Mai come in queste occasioni la mangianza sarà la nostra più grande alleata poiché ci rivelerà esattamente la direzione dalla quale vedremo spuntare il testone. Attualmente sto utilizzando un fucile non esasperato, un Victory 110 con doppio elastico da 15 millimetri e asta da 7. Il tiro dovrà essere veloce e preciso perchè quasi sempre avremo una sola opportunità per premere il grilletto prima di vedere la nostra preda scodare e portarsi appresso l’intero branco. Una frazione di secondo e davanti ai nostri occhi ci sarà solo torbido…
Come sempre accade, il primo tuffo sarà quello più importante. Se dovessimo vedere i pesci senza riuscire a concludere la cattura nei primi due o tre tentativi, trovo che sia inutile insistere sullo stesso posto, molto meglio lasciarlo riposare e tornarci magari al tramonto.
Stiamo parlando di un tipo di pesca molto tecnico, spesso le condizioni non sono piacevoli poiché fa freddo e si vede poco e dopo un paio d’ore senza alcun segnale positivo la nostra voglia calerà inevitabilmente. Però, basterà intravvedere una sagoma sfuggente nel torbidone oppure la mangianza aprirsi impaurita per risvegliare il nostro istinto venatorio e concentrarci su una cattura che, accade sempre, ci darà una soddisfazione incredibile.
Alla prossima, ragazzi.