Ticinese di Mendrisio, è uno dei giovani emergenti più interessanti e va forte sia in dinamica che in profondità. Come si allena e quali sono i suoi atleti di riferimento
Filippo Carletti
Martino Valsangiacomo è tra i grandi nomi emergenti nel mondo dell’apnea. In carriera vanta anche un podio italiano, ma poco conta in quanto ha passaporto svizzero. L’apneista del Ticino è uno dei pochi che si è saputo distinguere in dinamica e in profondità. Anzi, per essere precisi in profondità sia al lago che al mare.
Nativo di Mendrisio, ha segnato 229 metri in dinamica, 95 sul lago e 91 in CWT (costante) in mare.
Martino, come è nato l’amore per l’apnea dalla Svizzera?
«Tutto è partito da mia madre. A 10 anni ero affascinato dalle storie su Pelizzari, Mayol, Pipin e lei frequentava dei corsi con Gaspare Battaglia. Quando mi portava al lago oppure al mare, indossavo le pinnette in plastica della Cressi e il mutino. Certamente ancora non praticavo, ma mi divertivo a richiamare il diaframma, a provare esercizi di respirazione, anche non sapendo a cosa servissero. Sono sempre stato un amante degli sport acquatici, come nuoto, windsurf e, a 25 anni, ho intrapreso il percorso da agonista, forse proprio perché questa grande passione l’ho sempre condivisa con mia madre. Quando sentii che Fabio Benevelli, ex ct della nazionale italiana, allenava a 30 minuti da casa mia, mi precipitai a conoscerlo. Lui ha subito capito i miei intenti e ci siamo messi d’accordo per creare un movimento apneistico in Svizzera, che a oggi sta continuando a crescere».
Come è il rapporto con l’allenatore?
«C’è un ottimo legame di amicizia, sia con Fabio che con Jun Matsuno, che mi allena per la parte di profondità. Fabio mi dice sempre che ho la testa tra le nuvole e ci ride sù! Da lui ho imparato davvero moltissimo. Sono riuscito a tirare fuori un lato agonistico e “con il coltello tra i denti” che prima pensavo di non avere. Ricordo che la prima volta che ci siamo conosciuti il mio Personal best era poco più di 100 metri. Gli dissi che ne avevo 150. Mi chiese di andare in acqua e provare il massimale e quella fu la volta (vera) in cui raggiunsi i 150. Non potevo fallire! Oggi ne ridiamo insieme con tutta la squadra. Lui si era tolto i vestiti già pronto a recuperarmi dal bordo vasca! Ho imparato tanto, sullo sport e sulla disciplina che lo sport richiede. Compreso ciò che non è direttamente riferito a ciò che accade in vasca. Mi ha insegnato ad alzarmi e portare rispetto durante gli inni nazionali delle altre squadre che conquistano il podio. Fattori che sembrano irrilevanti ma che, invece, hanno un’importanza abissale a livello sportivo e umano».
Raccontaci cosa fai nella vita. Ma partiamo dalla premiazione del Consiglio Cristoforo, che fa parte della Società Svizzera di Salvataggio SSS!
«Una settimana prima del Mondiale a Belgrado stavo lavorando come giardiniere e bagnino in un centro Spa con piscina e sento in radio l’emergenza diramata di un papà uscito con una bambina di 4 anni in grave difficoltà. Le telecamere avevano ripreso che era rimasta sul fondo per 3 minuti. Mi sono precipitato là, iniziando con la rianimazione cardiopolmonare, ho chiesto di portarmi il DAE e ho continuato a prestare soccorso fino a quando la bambina ha iniziato a espellere l’acqua e a piangere. È un ricordo che non potrò mai dimenticare e che posso solo chiamarlo miracolo. A oggi mi sono licenziato per allenarmi 3 mesi in profondità a Dahab, in Egitto. Quando tornerò in Svizzera riprenderò a lavorare come prima, in attesa di nuove opportunità. Prima di questo mi ero diplomato in panetteria e pasticceria e facevo le notti».
Quali sono i tuoi prossimi obiettivi?
«Se prima era un sogno, ora è un obiettivo concreto: arrivare a 100 metri in CWT. Quest’anno sono riuscito ad allenarmi con ottimi risultati, anche grazie a Jun che ha seguito i miei miglioramenti, e anche a Gus e alla scuola di TouchDown, che mi ha affiancato anche durante i tuffi più profondi. Sono riuscito a raggiungere un nuovo Personal best in mare a 91 metri! In una gara 2 anni fa mi ero spinto fino a 88 e sempre al lago ero riuscito a fare 95. Sono particolarmente contento perché questo tuffo l’ho fatto condividendo il cavo con Alexey Molchanov. Lui se li è fatti in CNF (constant no fins). Sono felice di aver toccato il fondo del Blue Hole; è stato un tuffo magico anche se con un pochino di narcosi in risalita».
Un tuffo non da tutti. Ce lo racconti?
«Se mi immergo a poca distanza dalla sveglia spesso non mangio. Il tuffo era alle 10 di mattina, perciò mi porto dietro solo dell’acqua con delle maltodestrine, dei sali minerali e omega 3. Cerco di avere lo stomaco vuoto per una migliore respirazione. Arrivato sul posto mi prendo le cuffie e ascolto musica rilassante, visualizzo la discesa, passo dopo passo, per circa mezz’ora, ripercorrendo tutti i gesti tecnici e i momenti che andrò a ripetere in acqua. Quindi mi vesto e continuo con 2 tuffi di riscaldamento. Il primo a 20 metri per fare un check dell’allarme, così che sia certo che suoni al momento giusto, per caricare il mouthfill. Il secondo non era preventivato in passato, ma mi sono accorto che ho un riflesso di immersione lento e perciò arrivo fino a 40 metri per attivarlo. Esco, mi rilasso e poi, una volta sul cavo, mi faccio dare i 3 minuti. La respirazione che utilizzo pensavo che funzionasse solo in dinamica e invece va benissimo anche per la profondità. Ipoventilo fino a 10 secondi dalla fine, con una respirazione passiva. Da ultimo 3 respiri forti, simili a iperventilazione. In questo modo i battiti restano bassi, ma la sensazione di rilassamento è maggiore. Al termine dell’ultima inspirazione faccio anche la carpa.
«Fino a 20 metri la pinneggiata è sostenuta, da lì carico il mouthfill e tiro indietro le braccia per assumere una posizione più rilassata. La prima parte di compensazione avviene inarcando la testa verso l'alto, poi un ultimo refill. Mi concentro più che altro sulla compensazione e il rilassamento, pinneggiando delicatamente fino ai 40 metri. Sulla parte mandibolare del mouthfill porto anche leggermente avanti la mandibola, favorendo l’apertura delle tube. A 40 metri inizia la freefall e continuo la caduta con un check costante del corpo, controllando e rilassando i vari punti che entrano in tensione. Anche la risalita mi piace molto. Mentre in discesa devo stare attento a tante cose e stare sul pezzo, in risalita, dopo la virata e se tutto è stato gestito al meglio, chiudo gli occhi, mi metto in assetto e inizio a pinneggiare il più sciolto possibile. In quel tuffo a Dahab, in particolare, ho sentito un po’ di narcosi, che tuttavia non è stato affatto sgradevole».
Quanto è durato il tuffo? Gli allenamenti fisici e di dinamica ti sono stati d’aiuto?
«E’ durato 2 minuti e 40 secondi circa. La dinamica penso aiuti molto e gli allenamenti di nuoto pinnato con Cristina Francone e Fabio Benevelli sono stati decisamente utili. La piscina è fondamentale. Quello che ho potuto constatare è che tantissimi atleti forti in costante magari non hanno mai fatto dinamica. Penso che la dinamica sia più atletica, mentre la profondità è più mentale e tecnica. Inoltre, richiede un adattamento che arriva con il tempo. Una buona tecnica e un buono stato di allenamento costruito in piscina rappresentano un vantaggio in più. Se ripenso al tuffo a 91 metri, direi che non è stato dispendioso, forse fisicamente è peggio una dinamica su 100. La vera difficoltà per me è la paura e la gestione dell’ansia del tuffo; penso che a certe quote sia del tutto normale. Dagli 80 metri in poi qualche pensiero subentra. È importante concentrarsi su un mindset focalizzato sul qui e ora. Inoltre, sto allenando lo stretching diaframmatico e toracico. La particolarità della profondità è che fisicamente puoi avere del potenziale, ma se non ti sei adattato alla pressione non riesci ad attaccare 10 metri in più a quella quota. Per ora altri limiti oltre questo non ne vedo! La compensazione va benissimo, così come la parte atletica».
Ci dici i tuoi 2 allenamenti preferiti per dinamica e profondità?
«Ve ne dico 3! In dinamica sono: nuoto pinnato per una questione di allenamento fisico in acqua, con pinne corte o powerfins e snorkel frontale. In questo modo alleni i muscoli e il gesto atletico. Ripetute sui 100 metri con ripartenze serrate, specifiche in monopinna. Ipossico lento: 150 metri lenti o dive time di 3 minuti e allo scadere passo gara. Trovo davvero allenante uno go e stop: stop di 40 secondi, 50 metri, stop di 30 secondi, 100 m, 15 secondi, 150 metri, 5 secondi, ultimi metri ed esco (circa 155, 160 metri in dinamica).
«Un allenamento ipercapnico molto arduo sono anche le ripetute 6 x 100 metri, con ripartenze serrate«.
E in profondità?
«Nei 3 mesi che sono stato a Dahab e a Sharm, il primo mese ho fatto adattamento. In palestra mi sono concentrato soprattutto sugli squat. Nuoto lento, circa 3 chilometri al giorno con pinne corte. Tuffi sui 40, 50 metri senza zavorra per allenare la discesa o con molta zavorra per allenare la risalita. Anche statiche a polmoni vuoti sui 20 metri.
«L’ultimo mese, riscaldamento e poi un solo tuffo profondo. Quando si inizia ad allenare la profondità con tuffi massimali possono subentrare infiammazioni. Infatti, spesso si recupera per 1 o 2 giorni. La mia paura è sulla gara, che ha tanti tuffi fondi per diversi giorni ravvicinati, in quel modo non si dà tempo al corpo di recuperare».
Quali apneisti hai come riferimento e quali ti piacciono?
«Mi piace un casino Alexey Molchanov. Di lui ammiro l’aspetto atletico e competitivo. Anche Davide Carrera è davvero bravo, non ho mai avuto il piacere di conoscerlo bene, ma vorrei! Mi piace ciò che trasmette, il suo essere meditativo, molto naturale. Diciamo un approccio più olistico e spirituale. So che sono 2 nomi che forse sono in contrasto tra loro, ma se la dinamica mi ha fatto apprezzare un lato agonistico e atletico di questo sport, l’outdoor mi ha fatto pensare che più miglioriamo come persone e meglio conosciamo noi stessi, più ci possiamo portare tutte queste cose in profondità. Sono due aspetti che mi piacerebbe poter mettere assieme, perché se con Fabio ho imparato a tirare fuori la grinta agonistica, sto cercando di unire tutto questo a un aspetto più “umile” e non unicamente vincolato al risultato. Tra i tanti apneisti trovo che la storia della Molchanova sia uno stimolo costante, mentre è impossibile non menzionare Alessia Zecchini, un’icona sacra del nostro sport. Anche Chiara Obino mi piace tantissimo!».
Insomma, sei forte in dinamica, sei forte in profondità. Come va con la ricerca di sponsor e la possibilità di praticare questo sport da professionista?
«C4 mi aiuta con l’attrezzatura e Marco Ciceri non mi fa mai mancare il materiale che mi serve per allenarmi e gareggiare, e di questo gliene sono molto grato! Al mio livello attuale non posso sicuramente confrontarmi con i mostri sacri dell’apnea, certo che avere un po’ di sostegno in modo da non lavorare come giardiniere per tutto il giorno e riuscire a riposare un po’ di più invece che tuffare al lago dopo 10 ore di decespugliatore non sarebbe male! Per adesso è un sogno, domani chissà! L’apnea sta cambiando. Ce lo diciamo da anni, ma ora più che mai si stanno affacciando sulla scena mondiale volti nuovi e giovani, portando risultati a un’età che solo fino a qualche tempo fa era del tutto impensabile».
Segnatevi questo nome: Martino Valsangiacomo. Noi continueremo a seguirlo con grande attenzione!