Se passate da Y-40 è probabile che la troviate! Irene Sgarbossa è una delle nuove istruttrici Apnea Academy. Gli abbiamo chiesto di raccontarci la sua storia e come è andato questo esame che ogni due anni vede partecipare un numero limitato e selezionato di candidati
Filippo Carletti
Sei Veneta di origine, oggi Bolognese e passata da Roma per lavoro. Eppure questo viaggio senza mare ti ha portato verso l’apnea. Come è possibile?
«Più che per ragioni lavorative mi sono avvicinata all’apnea per altri motivi. Per diversi anni ho sofferto di attacchi di panico. Non è stato un periodo facile, e uscita da quel tunnel mi sono costantemente messa alla prova. Perciò, mi sono chiesta: “qual è quel posto dove non posso mai permettermi di perdere il controllo?”. La domanda ha trovato risposta nel momento in cui i miei occhi si sono posati sul mare. Lì e tra le sue profondità non ci si può permettere di farsi prendere dal panico. Di farsi dominare dalle emozioni. Un amico istruttore mi porta quindi a provare il corso scuba. L’inizio non fu esattamente come avrei sperato. I primi due tentativi di immersione li passai piangendo e tenendomi alla boa; non volevo proprio scendere in quel mare così blu e profondo. È stato un momento estremamente difficile. Era tutto nuovo, tutto faceva paura. Ma per fortuna il mio istruttore, Andrea Tavoni, che oggi ringrazio ancora, ha avuto la pazienza e la delicatezza di capirmi e di accompagnarmi piano piano in acqua, sempre più giù. Ho così imparato a gestire le emozioni, a trasformarle al punto tale da non vedere l’ora di rientrare ancora in acqua. Inizialmente sarei voluta diventare istruttrice scuba… Ma ancora non conoscevo l’apnea!»
Dopo l’esperienza con le bombole, come hai scoperto che c’era un altro modo di vivere il blu?
«Tra i ricordi più belli della mia infanzia c’è quello di mio papà con delle pinne lunghissime, che scendeva fino a sparire. È un'immagine che ho bene impressa e alla quale ripenso spesso. Lui è sempre stato un super sportivo, volava con il deltaplano e girava con le tavole da skate in furgone. Ha sempre fatto surf, il mare per noi era una meta fissa. Continuavo a pensare che volevo provare a scendere senza erogatore, libera,come mio padre. Nel frattempo fui trasferita a Roma per lavoro. Ho sempre amato un solo sport, prima di iniziare a fare apnea ovviamente: arrampico da 20 anni. Ma proprio a Roma vidi che stavano promuovendo un corso di apnea, nel quale la respirazione veniva trattata in maniera professionale. La cosa mi colpì, abbinare acqua e respirazione mi sembrava una cosa davvero bella e decisi di iscrivermi».
Quello che ti ha incuriosito è stato anche il respiro?
«Vedi, quando si soffre o si è sofferto di attacchi di panico, il rapporto con il proprio respiro è molto particolare. Si ha una sensazione diversa della respirazione, nel body check in situazioni stressanti è la prima cosa che sembra mancare. Questa sensazione ti rimane anche se poi non soffri più di attacchi di panico. Io non ne ho da vent’anni ormai, eppure il ricordo è vivido nella mente. L’idea di migliorare il rilassamento sott’acqua e di curare aspetti della respirazione che mi erano sconosciuti, mi affascinava molto».
E da quel momento ti sei sentita diversa? Cambiata?
«Quello che dico spesso è che io ho iniziato a respirare a 33 anni. Ho frequentato il corso Open, 2 uscite in mare e poi non ho più praticato con continuità per 8 anni. Il lavoro toglieva tanto tempo e scalare richiedeva sicuramente meno organizzazione. Quando iniziai, indossavo una muta della Polo Sub, che ho riutilizzato solo quest’anno! Per un sacco di tempo andavo al mare, mi divertivo ma non scendevo sotto i 10, 15 metri, mi godevo la calma e la pace che sentivo in acqua. Poi l’anno scorso mi sono trasferita a Bologna e la prima cosa che ho fatto è stata cercare un nuovo corso di apnea. Volevo assolutamente ricominciare».
Certi amori non finiscono! E così hai deciso di intraprendere il percorso per diventare istruttore?
«Esattamente! Mi sono iscritta con Apnea Bologna. Ho sempre fatto lo stesso lavoro, si diventa un pò automi, mettiamo una sorta di pilota automatico e si va avanti senza porsi troppe domande. A un certo punto, però, mi sono chiesta: voglio fare questo davvero per tutta la vita? Forse anche questo è merito dell’apnea. Il processo attraverso il quale ci si ascolta e ci si interroga. Si riflette e ci si chiede se quella vita sia giusta per noi. La mia risposta è che volevo stare più tempo in acqua. Volevo darmi una possibilità, mettermi alla prova, sentire che potevo scegliere la direzione verso cui dirigermi. E poiché sono fermamente convinta che il pensiero crea, così come la volontà, ho iniziato a studiare. L’ anno scorso ho assistito a mille workshop e allenamenti, chiesi al mio istruttore se potevo provare le selezioni per il corso istruttori AA, sapevo che in Emilia Romagna c’era una sola istruttrice donna; il mio impegno era ben evidente e i numeri li avevo. Rimaneva solo un piccolo problema per affrontare la sfida di Apnea Academy!»
Il nuoto?
«Esatto. Non avevo mai nuotato, e il nuoto è uno sport difficile. Mi sono fatta seguire da 2 istruttori per 7 mesi. Ogni giorno in acqua per me è stata quasi una tortura. Certe volte piangevo mentre mi allenavo. Ma volevo raggiungere il mio obiettivo a tutti i costi!».
Per tutti coloro che non ne sono a conoscenza, ci ripeti in cosa consistono le prove fisiche?
Certo! Sono 4 minuti di statica. Ma io amo follemente la statica e perciò quello non ha rappresentato un problema. 75 metri in dinamica, 50 rana, ma anche quelli con un po’ di testardaggine sono passati bene. Le prove sono in costume e senza zavorre, è risaputo che l’acqua di Lignano non perdona da quanto è fredda! La parte di profondità richiede 35 metri in mare e 42 a Y-40. Ripetute in dinamica, 8 da 50 metri, con ripartenza a 1’40”. Infine, naturalmente, il nuoto. Meno di 8 minuti sui 400 metri e 100 metri in meno di 1 minuto e 40. Alle prove fisiche si aggiunge poi naturalmente tutta la parte teorica e di studio».
Perciò dopo questi giorni di allenamento è giunto il momento della verità!
«Proprio così! So che i candidati iniziali erano 105. Dopo scremature varie eravamo in 48. Di questi 8 erano donne, un sacco di uomini fisicati e preparatissimi e io che mi portavo dietro l’ansia della competizione e una paura sfacciata di fallire. Però, era una sfida soprattutto con me stessa e non ho mai pensato di tirarmi indietro! Il primo giorno ci sono le prove di dinamica, rana e nuoto, rigorosamente organizzate in batterie molto veloci; le persone vengono chiamate pochi minuti prima della partenza e la tensione è davvero alta. Avevo poco tempo ed ero nervosa, per le prove in acqua mi sono preparata con apnee a secco. A un certo punto urlano il mio cognome. I battiti del cuore si alzano. Entro in acqua. Alla fine sono riuscita a superare tutte le prove e tutta la prima settimana di corso. Umberto Pelizzari e lo staff mirano a mettere il candidato sotto pressione, sempre. E’ giusto così, un candidato dovrà diventare un istruttore e in quanto tale deve essere in grado di gestire qualsiasi tipo di stress, ha la responsabilità di portare in acqua delle persone. Apnea Academy organizza una parte di lezioni in aula, ho avuto la fortuna di ascoltare dei grandi professionisti. Le lezioni iniziano verso le 8 e finiscono alle 22.30, a metà mattina e metà pomeriggio si fanno allenamenti in vasca. Eravamo divisi in squadre da 6, la squadra diventa il tuo miglior supporto, ci si aiuta a vicenda. Il clima che si assapora è quello di una famiglia, la disciplina è ferrea ma c’è anche un forte appoggio e spirito di spogliatoio volto a permetterci di affrontare le difficoltà con l’attitudine giusta».
E poi è arrivata la prova della profondità!
«Sì, a Sharm! Il mio tutor è stato Enrico Lupo, Vice Presidente di Apnea Academy e tra gli apneisti più eleganti che abbia mai visto in azione. Umberto e il suo team, quando sono sott’acqua, sono eleganti, belli, riescono a trasmettere il concetto di apnea. Durante le prove in mare, Umberto sbucava come uno squalo quando meno te lo aspettavi e ovviamente ogni suo consiglio è stato prezioso. La prova di profondità è stata resa un po’ più complicata dalle onde che non ci hanno quasi mai dato tregua. Durante il giorno non mangiavo per evitare la nausea, bevevo shaker di proteine, vitamine e maltodestrine... e una buona dose di xamamina. Ma sul cavo è sempre bellissimo, tra guardare il blu e le mattonelle di una piscina, c’è una bella differenza! È stato divertentissimo anche il variabile con Lorenzo Barsotti ed Emmerson Motta. Grazie a loro e a Lupo molte paure di una disciplina mai provata si sono dissipate».
Oltre al brevetto da istruttore cosa ti porti a casa?
«Certamente una grande sicurezza acquisita nella gestione delle criticità. È un po’ come se l’apnea fosse entrata in me. Io sono cambiata. Anche la mia emotività, il mio modo di pormi e le sensazioni che ogni tanto cerco, perché conosco un altro modo di percepire le cose oltre a quelle terrene e cioè la percezione che si impara nel mare. Tuffarsi senza occhialini mi faceva paura, tuffarmi nel nero mi faceva paura. L’apnea mi ha insegnato a cercare una tranquillità che prima non pensavo potesse esistere. Perché avere paura va bene, ma non deve essere un impedimento. E un tuffo nel buio è solo più scuro».
Cosa diresti a chi, come te, ha sofferto di attacchi di panico? A chi ha paura di approcciarsi all’apnea?
«C’è un momento in cui vieni portato in acqua e hai paura. È più che naturale all’inizio della sessione. Poi, dopo un po’ vedi negli occhi di chi sta sperimentando quel tipo di stess, che trovano degli istanti di calma, vivono il loro primo stato di flow… e l’apnea entra in loro. E anche loro iniziano a cambiare. E’ come se percepissero quella sensazione che solo chi fa il nostro sport conosce, uno stato di intensa pace, e proprio a quel punto arriva il momento giusto per esercitarsi. Un’evoluzione ne porta un’altra e sai già che quel percorso sarà una figata! Non respirare certe volte è la terapia migliore per imparare a farlo!».
Un’ultima domanda: progetti futuri?
«La mia volontà è di aumentare le quote di profondità. Per l’insegnamento mi sto specializzando su altre discipline e sulla compensazione, che mi affascina molto. Il mio vero obiettivo, però, è quello di stare in acqua il più possibile e di trasmettere agli altri tutto quello che l’apnea mi sta regalando, giorno dopo giorno».
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