L’agonismo sta riscuotendo un notevole successo, nonostante ciò non mancano alcune criticità, che riguardano soprattutto i giovani, che sono pochi e la comunicazione, che va migliorata
Mimmo Blanda
Stefano Tovaglieri non ha bisogno di presentazioni. Nel mondo dell’apnea, oltre ai sui trascorsi agonistici con il bronzo ai mondiali nel 2006 a Tenerife e il suo ruolo di Direttore Tecnico delle squadre Nazionali outdoor dal 2013 al 2018, è conosciuto per il significativo contributo dato all’evoluzione della disciplina, per i libri scritti a quattro mani con Umberto Pelizzari, per i suoi articoli di tecnica, di cronaca delle gare, per le sue interviste ad atleti e personaggi che hanno segnato profondamente la storia di questo sport e che sono stati pubblicati dalla nostra rivista.
Grande appassionato di sport, fin da giovanissimo ha fatto gare di sci per diventare poi maestro nel 1978, all’età di soli 19 anni, mentre per la subacquea è istruttore Ara fin dal 1990 e poi di apnea dal 1998. Diplomatosi all’Isef di Milano nel 1984, ha insegnato per oltre quarant’anni scienze motorie nelle scuole superiori e, ci tiene molto a ricordarlo, nel liceo scientifico sportivo del Collegio Castelli di Saronno.
Padre di due giovanissimi atleti: Luca di 14 anni (2010) e Francesco (2007) avuti da Valeria, anch’essa ex atleta del Club Azzurro, che convocai in occasione del Campionato mondiale del 2006 a Tenerife dove, però, non gareggiò perché pochi giorni della partenza per la trasferta mondiale scopri di essere in cinta proprio di Francesco, il primogenito.
Questa intervista vuole esplorare i vari aspetti della carriera sportiva di atleta, di allenatore e di padre per concludersi con un’analisi dell’evoluzione agonistica della disciplina.
Stefano, ci racconti in sintesi cosa ricordi della tua esperienza agonistica e cosa, secondo te, è cambiato rispetto a oggi?
«Non è facile riassumere in poche righe le emozioni e le sensazioni che mi hanno accompagnato in tutti questi anni. Ho cominciato a gareggiare nel 1999, a quarant’anni suonati. Un’età in cui nella maggior parte degli sport gli atleti lasciano per “vecchiaia”. Nell’apnea, invece, qualche primavera in più sulle spalle, spesso, risulta essere vantaggiosa per la forza mentale che accompagna la crescita, al netto delle qualità motorie condizionali, come forza, resistenza, rapidità/velocità. Quello che mi è rimasto, che mi sono portato nel cuore fino a oggi e che mi ha guidato come CT negli anni in cui ho seguito la Nazionale outdoor, è un’idea semplice. Là sotto, nell’abisso ma anche in piscina, quando trattieni il respiro l’atleta deve sempre sentirsi accompagnato dai compagni di squadra, dai suoi allenatori, dal CT che ti ha in carico in quel momento. Potrà sembrare banale, ma è proprio così! Io lo ricordo bene. E’ una forza straordinaria in più, quando c’è. Una forza che ti porti addosso e che ti permette di andare oltre, di superare il limite, di potenziare il tuo “io”.
« per il resto, tutto è cambiato. I regolamenti sono cambiati, il numero dei partecipanti alle gare è cambiato, le attrezzature sono cambiate, e tanto altro. Per fare un esempio: nel 2006, quando vinsi la medaglia di bronzo nella gara di Jump Blue, il mondiale si disputava in mare con il Jump Blue e in piscina con la dinamica. Oggi ci sono due campionati del mondo: indoor e outdoor, con le quattro discipline legate alla profondità, mentre il Il Jump Blue non esiste più, ha finito la sua storia. Allora non c’era distinzione tra gare con le due pinne e monopinna. L’apnea agonistica che conosciamo oggi, che distingue le gare in piscina da quelle in mare, che dà valore alle due pinne come alla monopinna, è stata fortemente voluta e promossa dalla Fipsas con il progetto “apnea Italia” portato all’attenzione della commissione sportiva della Cmas già nel 2014, oltre dieci anni fa. E’ così che dal 2015 si distinsero i due campionati mondiali: in mare e in piscina e ci fu l’introduzione delle gare con le due pinne distinte dalla monopinna sia nell’indoor che nell’outdoor.
Nel 2013 hai avuto l’incarico di guidare il nascente Club Azzurro outdoor verso il primo Mondiale che si sarebbe poi disputato a Ischia nel 2015. Ci racconti com’è andata e come il progetto “Apnea Italia” ha cambiato il mondo dell’apnea agonistica?
« Ricordo molto bene una telefonata di Alberto Azzali, allora presidente del settore, durante la quale, tutto arrabbiato, mi spiegava che il progetto “Apnea Italia”, portato al bureau della Cmas in Portogallo, era naufragato, anzi, affogato! Mi raccontava la sua delusione, il rammarico perché posto in coda all’ordine del giorno non aveva raccolto l’attenzione dei membri Cmas. Insomma, da buon combattente, non accettava l’idea che le sorti dell’immersione in apnea affidate a un foglio tradotto in inglese, finissero nel cestino. E così mi chiese di partecipare a una call con il bureau della Cmas, che la stessa Fipsas avrebbe organizzato, per spiegare cos’era il progetto Apnea Italia. Rimasi colpito da quella richiesta, ma detti la mia disponibilità. Era il 2013! Un anno che poi si rivelò di grande fermento per lo sport dell’apnea. Quel giorno, dopo una sintetica presentazione del progetto Apnea Italia in inglese, tutti i membri collegati non trattennero l’entusiasmo. Si discusse dell’opportunità di creare due mondiali/europei/ distinti tra indoor e outdoor e delle discipline “profonde”, oltre il Jumb Blue. Soprattutto, fu accolta l’idea delle gare bipinne distinte da quelle con la monopinna, in prospettiva di favorire l’avvicinamento al mondo agonistico dei marchi più importanti di attrezzature sportive e riaccendere l’attenzione di potenziali sponsor. Da subito fu chiaro che con le due pinne in piscina avremmo immediatamente aperto la partecipazione a un potenziale di migliaia di corsisti. Fu così che la Cmas approvò e, grazie a quella call, si dette inizio all’organizzazione della prima edizione del Campionato del mondo outdoor che la stessa federazione organizzò a Ischia nel 2015.
«Mi fu affidato l’incaricato di direttore tecnico. Mi fu chiesto di presentare un progetto per selezionare gli atleti più forti e per preparare il Club Azzurro in vista del Mondiale. E tutto ebbe inizio. Nel gruppo c’erano nomi di grande esperienza, sia indoor che outdoor, come: Davide Carrera, Michele Tomasi, Alessia Zecchini, Andrea Vitturini, Aldo Stradiotti, Michele Giurgola, Vincenzo Ferri, Chiara Obino, per citarne alcuni. Tante competenze che, se condivise, avrebbero dato tanta energia al gruppo. Ma anche tanti personalismi, tanti modi di intendere la vita, l’apnea, l’agonismo, la squadra. Tenerli tutti assieme e valorizzarli, lo sapevo, non sarebbe stato facile, ma ci credevo. Era la mia sfida. Mi chiesero di presentare un programma di preparazione del Club Azzurro e così mi misi al lavoro considerando che Y – 40, a Montegrotto Terme aveva appena aperto, e che la sola location per garantire allenamenti sei giorni su sei, durante tutto l’anno, e facilmente raggiungibile dall’Italia era il Mar Rosso.
«Gli allenamenti a Montegrotto furono un successo. Si era creata una buona collaborazione tra gli atleti; nessuna gelosia ma una forte condivisione dell’esperienza. Poi, gli allenamenti in Mar Rosso di aprile e maggio furono una vera e propria esaltazione del team. Scoprii, con grande gioia, che quel clima positivo di collaborazione, di amicizia, di solidarietà era davvero funzionale agli allenamenti, alla crescita tecnica del singolo e alle prestazioni. Tutti confermarono i loro massimali già ad aprile, qualcuno addirittura incrementò le profondità che il mese seguente diventarono il punto di partenza del nuovo collegiale per realizzare nuovi personal best. Fu un’esperienza davvero tosta per me e, credo, per tutto il team. Tirando le somme, alla fine dell’anno gli atleti del Club Azzurro erano cresciuti davvero tanto e, in previsione del mondiale, dell’anno a seguire, ognuno stava maturando prestazioni sempre più competitive, per quel che si sapeva…
«Sulla scorta dell’esperienza fatta quel primo anno la federazione ci confermò il nuovo programma per il 2015 che ricalcava, grossomodo, l’impostazione di quella prima stagione del Club Azzurro. Ai mondiali di Ischia fu un successo: ben dieci medaglie, di cui quattro record mondiali: 5 ori, 4 argenti e un bronzo. Alessia Zecchini conquistò ben tre ori, gli altri due ori furono di Chiara Obino e di Michele Giurgola».
Nell’ultimo anno e mezzo sei tornato a calcare il piano vasca per seguire le gare di tuo figlio Francesco. Che cosa ti ha colpito di più del mondo agonistico odierno rispetto a quando lo avevi lasciato anni fa?
«Mi vengono i brividi se ripenso a questi due anni da allenatore di mio figlio. Non è proprio facile essere padre e allenatore! Francesco esordì al Trofeo Roda, a Bergamo. Era il 21 maggio del 2023. Ho trovato davvero tanti cambiamenti. Forse il più importante è stato quello legato all’esplosione delle iscrizioni alle gare che ha richiesto a giudici, organizzatori e Fipsas di aggiornare i regolamenti; d’informatizzare iscrizioni e programmi per le classifiche, per la gestione delle gare e via dicendo. Trovarsi a competere con le liste d’attesa per le iscrizioni da un lato indispone gli appassionati, che ci tengono a esserci perché si allenano tutto l’anno per quelle gare e vedersi esclusi per eccesso di partecipazione li avrebbe lasciati con l’amaro in bocca. Dall’altro lato, invece, la crescente partecipazione testimonia che l’anea assume connotati sempre più importanti a livello agonistico, ma anche ricreativo. Insomma, mi sono fatto l’idea che è stato messo in atto un gran lavoro dalla Commissione apnea per l’evoluzione dell’agonismo, ma che è necessario diversificare la partecipazione alle gare per evitare il sovraffollamento. Creare competizioni di diverso livello/importanza con la partecipazione limitata a certe categorie di merito aiuterebbe a ridistribuire i partecipanti. L’evoluzione tecnologica, poi, potrebbe favorire le partenze in batteria, aumentando così la gestione di numeri maggiori di iscritti nella stessa gara. La nota dolente colta sul campo riguarda, invece, le categorie dei giovanissimi, che sono praticamente assenti. Dovendo provvedere a mio figlio, alla sua voglia di cimentarsi in questa disciplina con il mio benestare, ho trovato una circolare normativa vecchia, forse risalente al 2006, quando ci mise mano il compianto Maurizio Bellodi. Regole che di certo oggi non avvicinano gli junior alle gare, anzi, così come sono, li tengono a distanza, disincentivandone la partecipazione. Un esempio su tutti: nelle prove di statica non sono previste le premiazioni degli junior perchè associati ai senior in un’unica classifica. Un ragazzo di 16 anni che gareggia in statica, può vincere nella sua categoria, ma non è prevista la premiazione. In dinamica, invece si! Davvero mi sfugge il criterio di discriminazione delle due discipline. Soprattutto, lo ritengo svilente per un ragazzino che già si trova a gareggiare non con i suoi pari e in più non gli viene riconosciuto alcun merito con una classifica riservata alla categoria di appartenenza per l’età. Insomma, una stortura.
«Altro esempio. La circolare normativa propone, per la partecipazione agli italiani di statica, un tempo minimo di accesso di 4 minuti per gli junior come per i senior, che gareggiano con atleti del calibro di Gaspare Battaglia e via dicendo. E ancora, dai 14 ai 18 anni non sono suddivisi in categorie distinte ogni due anni, come avviene di regola in quasi tutti gli sport, e comunque in considerazione della loro crescita psicofisica. I quattordicenni gareggiano a sé con limiti prestativi che probabilmente, oggi, dovrebbero essere rivisti. Negli under 18, gli junior gareggiano assieme ben tre anni: quindicenni, sedicenni e diciasettenni. Nell’anno del compimento del diciottesimo anno di età entrano nella categoria senior e si confrontano con atleti capaci di esprimersi a livello internazionale anche dopo i 50 anni! Atleti ultracinquantenni che fanno parte del Club Azzurro nonostante le tante primavere sulle spalle, sono una realtà che la dice lunga sull’evoluzione/maturazione degli atleti. Prerogativa di questa disciplina che, forse, avrebbe bisogno di altre due categorie: gli under 21 e, addirittura, gli under 25, come suggeritomi da Zecchini, per mantenere motivati tali atleti. Insomma, con buona pace degli addetti ai lavori, spero e credo che sia necessaria una totale revisione di questa parte della circolare normativa in modo da favorire la partecipazione dei giovanissimi, perché credo che questo sia il futuro dell’apnea agonistica. Ci tengo a precisare che tutte queste considerazioni le ho maturate seguendo Francesco nella passata stagione. Mio figlio ha gareggiato in statica, agli Italiani primaverili a Cagliari e a Lodi, in quelli estivi, praticamente da solo.
Come vedi il futuro dell’apnea agonistica?
«Come detto, sono convinto che “svecchiare” l’intero movimento sarà determinante per garantire un futuro importante all’apnea. Ecco perché sarà determinante cambiare i regolamenti in prospettiva di una decisa apertura dell’apnea ai giovani, riconoscendo alla nostra disciplina tutta la dignità necessaria a infiammare la passione di adolescenti e, perché no, in futuro anche dei giovanissimi. Recuperare quel progetto del talento che in passato, pur nella brevità del tempo, ha saputo raccogliere e motivare giovani atleti che ancora oggi gareggiano con prestazioni d’eccellenza, potrebbe diventare, di nuovo, una risorsa per la federazione.
«In merito all’evoluzione delle gare o, meglio, dell’organizzazione, sarà fondamentale lavorare sulla visibilità delle prestazioni, sfruttando tutta la tecnologia di cui si dispone oggi. Nell’apnea indoor, probabilmente, arriveremo presto a istituire gare per le categorie di merito distinte da quelle per la prima categoria e per gli élite, maschile e femminile, ma soprattutto sarà determinante la capacità di organizzare competizioni con le partenze in batteria per le categorie di merito. Sul piano dell’immagine, avere riprese subacquee, come quelle del mondiale disputato la scorsa estate a Belgrado, con una grafica accattivante che mantenga sempre viva l’attenzione dello spettatore, farà la differenza, assieme a una buona cronaca.
Nell’outdoor l’istituzione di gruppi di apneisti specializzati nella gestione della sicurezza che si allenano per questo ha migliorato di molto le cose. Certi incidenti gestiti da questi uomini, di recente hanno permesso di risolvere positivamente emergenze che in passato, probabilmente, si sarebbero conclusi diversamente.
«Un’ultima considerazione sul livello e sull’evoluzione delle prestazioni. I numeri attuali, sia indoor che outdoor, non permettono più l’improvvisazione. Non è più sufficiente costruire le performance solo su qualità tecniche e mentali. La preparazione fisica, la costruzione dell’atleta è sempre più importante per cui il solo modo per raggiungere certi risultati sarà allenarsi, allenarsi e ancora allenarsi oltre che tecnicamente anche atleticamente!».
Cosa cambieresti o implementeresti sia a livello nazionale che nella Cmas?
«La risposta riassume in pratica quanto detto in questa intervista. Ma la cosa che più sarà utile è la visibilità e, quindi, l’allestimento di sistemi capaci di produrre e portare le immagini delle gare dentro i device con cui tutti oramai comunichiamo. In sintesi, e in ordine d’importanza, eccoti quattro idee raccolte in altrettante parole: sicurezza, regolamenti, giovani, comunicazione».