Campione italiano in carica (ancora per un mese), il forte atleta sardo ha una vera e propria passione per i serranidi e anche per la pesca profonda. Il suo parere sul piombo mobile e cosa cambierebbe del regolamento gare
Emiliano Brasini
Siamo andati a scambiare quattro chiacchiere con il Campione italiano in carica, Fabio Dessì, titolo che andrà a difendere alla fine di questo mese.
«Sono appassionato di mare fin da bambino, quando rimanevo in "ammollo" per ore con maschera e boccaglio, anche se non ho mai avuto un fucile. Infatti, mi arrangiavo con il retino sugli scogli o con la canna da pesca. Crescendo, ho avuto la possibilità di comprarmi l'attrezzatura completa e ho iniziato a immergermi. I polpi e piccoli tordi avevano la peggio, ma non ero soddisfatto, mi avevano detto che c'era gente che tirava su grosse cernie a profondità impensabili... Rimasi affascinato dal racconto di un serranide di 10 chili sorpreso all'imboccatura di una tana a più di 30 metri. Per me era pura fantascienza soltanto il pensiero di scendere a quelle quote, figuratevi catturarci un pesce! Da lì partì la mia passione per le cernie e per la profondità; Mi informai e mi dissero che c'era un ragazzo (Alessio Perra) che pescava e si allenava in piscina, lo contattai e da lì iniziai pure io ad allenarmi. Frequentai un corso di apnea e, subito dopo, uno di pesca. Le gare arrivarono di lì a poco».
Come ti alleni?
«A parte la piscina nel periodo invernale, i miei allenamenti coincidono con le uscite in mare. Con l'arrivo di mio figlio Leonardo ho meno tempo da dedicare a palestra e mountain-bike; quindi, in base alle condizioni meteo marine, decido se pescare a Sant'Antioco oppure se andare più a nord, verso Portoscuso/Carloforte».
Cos’è per te la pesca?
«E’ qualcosa che scorre dentro le nostre vene. Non é una passione, non è uno sport, è di più. E’ qualcosa che abbiamo nel nostro Dna. Il nostro istinto primordiale da predatore esce e non ci abbandona più. Vengo da una famiglia di cacciatori, io sono la pecora nera! Ci ho provato, ma la caccia non è riuscita a trasmettermi le stesse emozioni che il mare sapeva regalarmi. Una giornata in mare con un capotto clamoroso, era più soddisfacente di una bellissima giornata di caccia. Riuscire a trasmettere le emozioni, l'adrenalina che provo nel catturare una cernia dopo aver fatto un agguato da manuale, credo sia impossibile. Bisogna provarlo. Noi non siamo pescatori solo quando ci immergiamo, ma lo siamo nella vita, stiamo sempre pensando a quel pesce che ci ha fregato, a come riuscire a essere più furbi, a che fucile utilizzare, a quale percorso scegliere per non essere sentiti dalla preda, e non solo...».
Hai sempre voluto fare agonismo?
«Da ragazzo no, non sapevo neppure dell'esistenza di un Campionato Assoluto! Ma appena ho conosciuto questo mondo, mi sono trovato a casa, quello era il mio ambiente. Non ero capace, però ero competitivo. Infatti, dopo il primo anno di selettive ho capito come funzionava e l'anno dopo ho vinto il titolo di campione regionale. Al Campionato di seconda categoria ho capito che c'era un mondo ancora più vasto da esplorare e mi ci son voluti diversi anni per adeguarmi alla grandezza dei concorrenti. Poi, per questioni personali, ho dovuto prendermi una pausa, ma dentro di me ardiva una fiamma che mi ha fatto tornare, fino a conquistare il titolo di Italiano lo scorso anno».
Secondo te come definiresti un buon pescatore?
«E’ colui che regolarmente riesce a realizzare belle catture, mentre un agonista, oltre a essere un buon pescatore, è colui che in qualsiasi circostanza riesce a fare la differenza. Mi spiego meglio, quando un buon pescatore dice "non c'era niente" oppure "oggi non era giornata", un agonista riesce a leggere la situazione e fare scelte che lo portano a catturare qualcosa in più rispetto agli altri. Credo che la razionalità e il sangue freddo siano tratti distintivi degli agonisti».
Qual è la tua tecnica preferita?
«La pesca profonda. Agguato, tana, aspetto, non ha importanza, basta che si scenda il più possibile. Dico questo perché un semplice motivo. Mentre in acqua bassa mi sento impacciato e con poco fiato, in profondità sono a mio agio e carico come una molla. E infatti riesco a concludere agguati o aspetti lunghi senza sforzare. Riesco a ispezionare le varie entrate di una tana in un unico tuffo e se trovo pesce cerco di catturarlo ed estrarlo subito. L’azione di caccia parte da quando sono in gommone. Con l'ecoscandaglio cerco le rocce che mi piacciono, guardo se c'è vita lì sopra e poi mi immergo. Nei primi secondi di discesa nel blu sogno la cattura della vita, subito dopo inizio a guardare verso il terreno per individuare la zona che ritengo più interessante; infine arriva il momento più delicato, l'approccio al fondale. Se vedo i dentici rallento e mi dirigo nella direzione opposta, mentre se incontro una cernia cerco di immaginare la direzione che prenderà per tagliarle la strada. Se, al contrario, non vedo nulla mi dirigo sulle rocce più interessanti. In questo caso seguo sempre uno schema: piccolo aspetto per capire se ho incuriosito qualche predatore che nuota nelle vicinanze; se non c’è nulla, parte l'agguato verso le rocce interessanti e se continuo a non trovare nulla inizio la risalita osservando sempre il fondale. Al contrario, se c’è la cernia cambia tutto: rallento e cerco un tiro risolutivo. Se capisco che il tiro non risolve la situazione, lascio intanare il pesce per tentare la cattura in un secondo momento. Il tuffo successivo, con un fucile corto, un 70 doppia gomma con asta da 7, è quasi sempre risolutivo. Prima vi avevo parlato dei dentici, con loro è più semplice. Trovato il nascondiglio migliore parte l'aspetto. Punto sempre alla cattura dell’esemplare più grosso. Infatti, non sparo anche a pesci di buine dimensioni per tentare la cattura del capobranco. A volte va bene, altre volte rimango a bocca asciutta. Ci sta, va bene lo stesso».
E la preda?
«Credo lo si sia già capito: è la cernia. Mi ci sono dedicato talmente tanto all'inizio della carriera che è diventata un’ossessione; dopo viene il dentice. Tornando ai serranidi, amo catturare tutte le specie, cernia bruna, bianca, dorata dotto; con maggior frequenza prendo le brune, sarà per la maggior diffusione nella mia zona. Fatto sta che ho una media molto alta. Tanti anni fa trovai uno spacco dove, al suo interno, entrarono 5 cernie enormi. Quel giorno non riuscii a catturarne neppure una, ma in seguito presi prima un esemplare di 15 chili, poi un altro poco più piccolo e così via... Una volta portai un amico, che catturò la più grossa, un pesce di 19 chili. Una grande soddisfazione. Rimaneva solo una cernia, ma non si fece prendere; era più astuta degli altri. Passai tutta l'estate cercando di catturarla, ma ogni mio sforzo fu vano; credo che riconoscesse anche il rumore del motore. Ogni volta che andavo era sempre allarmata e non mi concedeva il tempo di mirare. Tante volte avrei potuto spararla a centro corpo e tentare l'estrazione, però non mi sono mai fidato. Spesso sono sceso e fuori c'erano altre cernie, stimate poco sotto gli 8 chili, ma non mi interessavano, volevo lei! Arrivai ad andare anche due volte al giorno per cercare di fregarla. Alcuni mi consigliarono di prendere un ancora, legarci un amo con un metro di lenza, innescare un polpo e posizionarla a qualche metro dalla tana. Ma non lo feci, era diventata una sfida tra me e lei, dovevo riuscire a prenderla "lealmente". Provai in caduta, con agguati da lontano, ma niente. Infine, maturai una decisione, non ci sarei più passato per almeno un mese. Erano i primi di settembre e io riandai a novembre. Era una mattina calda, il mare insolitamente piatto, una di quelle giornate calme che preannunciano l’arrivo dell'inverno; la giornata ideale per un tuffo fondo. Parto con il mio King 490 e arrivo vicino allo spot, mi preparo e faccio qualche tuffo di riscaldamento. L'imboccatura della tana è uno spacco orizzontale a 33.3 metri, alla base di un gradino che sale fino a 27; solitamente la cernia staziona sui massi che ci sono all'ingresso di questo anfratto, insieme con delle corvine enormi. Mentre mi ventilo, immagino il tuffo, il programma è quello di scendere a ridosso del gradino, tentare un piccolo agguato e affacciarmi lentamente per cercare di coglierla di sorpresa. Sono pronto, ultimo respiro e parto. Dopo pochi metri vedo già il gradino, lo punto ma sono leggermente spostato. Inizio a vedere i massi bianchi, ma c'è una sagoma chiara sopra: è lei! Ferma a 3 metri di distanza, comincio ad allineare il fucile; il serranide si muove leggermente ma ormai l'asta è già partita. Presa perfettamente, non mi rimane che risalire. Avevo vinto la mia sfida personale, quella cernia mi aveva fatto dannare, l'avevo quasi odiata, ma da quel momento in poi sapevo che non l'avrei più ritrovata. Un po' mi manca il pensiero di non vederla più. Però, negli anni a seguire in quella tana ne sono entrate tante altre, ancora adesso. Non vi ho detto la cosa principale! Pesava 13 chili e l'ho cotta intera! Una maxi cena con amici e parenti. Ci sono volute 4 ore sul fuoco e devo dire che forse è stata la più buona che abbia mai mangiato!».
Parliamo di un argomento parecchio controverso. Il piombo mobile…
«Partiamo dal presupposto che ne consiglio l'utilizzo, però c'è da fare un ragionamento importante: usarlo a quote dove peschiamo abitualmente ci aiuta a prevenire rischi, mentre se diventa uno strumento per andare oltre, allora diventa molto rischioso. Per esperienza personale, posso raccontarvi qualche aneddoto. Ero ragazzo e inesperto, allenato fisicamente e pronto a mettermi in gioco. Pescavo regolarmente in costante tra i 35 e 45 metri con una media di almeno 50 tuffi al giorno. Durante un’uscita il mio compagno incastrò una cernia e iniziammo ad alternarci nei tuffi per cercare di estrarla. A causa di una correntina e della profondità di circa 40 metri, ci volle parecchio tempo per aver ragione del serranide. Fin qui tutto bene, ma il problema arrivò durante gli ultimi tuffi quando l’amico iniziò a sentirsi strano; uscì dall’acqua mentre io continuai fino all'estrazione della cernia. Pure io a quel punto non mi sentivo sul giro giusto. Ci eravamo beccati un taravana! Da lì la trafila tra ospedale e camera iperbarica, per fortuna tutto si risolse in breve tempo. Da quel momento, cambiai il mio modo di pescare. Aumentai i tempi di recupero, mi idratai più regolarmente e cominciai a utilizzare la zavorra mobile. Subito mi accorsi dei benefici, la sensazione di benessere che mi accompagnava in tutto il tuffo era fantastica, sul fondo ero decisamente più lucido e la risalita era molto più leggera. La sera dopo un’intera giornata passata in mare, ero ancora carico di energie, mentre prima ero uno zombie incapace di ragionare. Inconsciamente, con il piombo mi spinsi più fondo, ma mi resi subito conto che aumentavano i rischi, mentalmente non ero più lucidissimo e non mi sentivo a mio agio. Nonostante il mio corpo potesse andare oltre, tornai sulle mie quote abituali e li acquisii maggior sicurezza e tranquillità».
Raccontaci del team di cui fai parte.
«Mi contattò Massimo Quattrone per conto della Salvimar alla fine del campionato in Puglia nel 2023 per complimentarsi dell'ottimo risultato ottenuto. Da lì a breve abbiamo iniziato a sentirci più spesso parlando di un’ipotetica collaborazione; nei mesi a seguire abbiamo buttato giù un contratto ed è iniziata la mia avventura con loro. La Salvimar mi è venuta incontro quando gli dissi che non volevo abbandonare gli sponsor artigianali che mi avevano aiutato a crescere quando non ero nessuno. Perciò, poco prima dell’Assoluto a Portoscuso abbiamo ufficializzato la nuova collaborazione».
Cosa cambieresti degli attuali regolamenti?
«Prima di tutto consentirei la cattura di una cernia bruna oltre i 5 chili a giornata. Poi, diminuirei a 7 prede della stessa specie il numero massimo catturabili e aumenterei il bonus applicato. Aumenterei anche il numero di gronghi e murene e aumenterei il loro coefficiente. Questo per quanto riguarda il pescato. Per la regola sulle distanze minime da terra, la abolirei consentendo di immergersi nella schiuma in poca acqua, permettendo a tutti di potersi esprimere al meglio delle proprie capacità. Ovviamente sarei di parte permettendo l'utilizzo del motore di prua e del verricello per recuperare il piombo mobile, ma se ci pensate, visto che già il piombo lo recupera il barcaiolo, non vedo perché debba compiere questo sforzo enorme quando potrebbe benissimo usare le sue energie per vigilare al meglio sul suo atleta».
Episodi che ti sono capitati in tutti questi anni di mare?
«Ce ne sono diversi che non scorderò mai. Un giorno, al termine di un’uscita in mare, vidi una sagoma scura a pelo d'acqua a qualche centinaio di metri da me. La feci notare al mio compagno, Nicola Fadda; pensai a un grosso spada in superficie. Caricai immediatamente il fucile e mi diressi nella sua direzione, lo spazio si accorciava e la sagoma era sempre più visibile, sempre più nitida, fino ad arrivare a circa 10 metri. A quel punto, con grande stupore, capii che non era uno spada, ma una foca! Ricordo chiaramente quel buffo muso con i baffi mentre finiv adi mangiare un pesce; istintivamente cerco la videocamera e la prendo, volevo immortalare quel meraviglioso avvistamento, però la foca, proprio in quel momento, si è immersa facendo perdere le sue tracce. Una curiosità? A distanza di anni, nello stesso punto vedo nuovamente una sagoma scura in superficie, subito mi armo di videocamera e mi immergo, questa volta riesco a filmarla, ma non è la foca, è una bellissima manta!».