Non parliamo di pesci, bensì di posti. Possono essere una piccola diga in acqua poco profonda così come una bassa golena di sabbia e fango, una piatta distesa di posidonia come un vecchio pontile abbandonato. Zone anonime, trascurate dalla maggior parte degli altri sub, dove mai immagineremmo di vedere qualcosa di interessante e dove, magari, ci siamo capitati per caso o per disperazione. E invece… di Alberto Martignani
Vi era un tempo in cui i pescatori non erano così numerosi e costituivano un’elite privilegiata, avendo la possibilità di immergersi in un mare, se non vergine, perlomeno ancora piuttosto ricco di vita. In quell’era felice vi erano pochi problemi di concorrenza e anche il sub che partiva da terra aveva buone possibilità di trascorrere un paio d’ore in santa pace togliendosi le sue belle soddisfazioni
Poi le cose sono cambiate e, quasi senza accorgercene, ci siamo ritrovati in un’epoca in cui, a un impoverimento generale del mare, ha corrisposto, paradossalmente, un incremento progressivo del numero dei praticanti. In conseguenza di tutto ciò, si è sviluppata una specie di dicotomia tra due categorie di pescatori: la prima è composta dai cosiddetti “campioni”, una casta di atleti molto attivi e allenati, in grado di scendere anche a profondità elevate e dotati dei mezzi per raggiungere quei posti isolati e lontani (secche e rimonte) ove le possibilità di fare pesce sono ancora ottime. Questi personaggi hanno risentito solo in parte della congiuntura negativa e, pur non potendo più contare sui carnieri spropositati di una volta, non patiscono certo la carenza di catture di prestigio.
Poi, vi è la categoria dei pescatori “normali”, ai quali appartiene la maggior parte di noi: gente che si immerge quando può, dove può, spesso da terra e che magari deve percorrere parecchi chilometri per ritagliarsi una pescata fugace. In questo articolo parleremo soprattutto di loro e dei due sottogruppi che si sono andati a formare
Un primo sottogruppo è rimasto legato a schemi tradizionali e poco fantasiosi per quanto riguarda la scelta dei luoghi. Ha continuato a immergersi sempre e soltanto nei medesimi posti, nei medesimi orari e nelle medesime condizioni di sempre (in genere mare calmo e limpido), perché quelli sono i fondali più belli e quelle altre le condizioni meteomarine in cui scendere in acqua è più facile e piacevole, ma senza tenere conto di due fattori: che quei posti e quelle condizioni sono le preferite anche dalla maggior parte degli altri sub e che i pesci lo hanno ormai imparato e tenderanno a disertare tali aree, se non in momenti e in situazioni particolari. Si tratta pertanto di una categoria di subacquei destinata, salvo isolate eccezioni, a raccogliere risultati modesti, e che peraltro, in molti casi, lo sanno e lo accettano. In quante occasioni ho sentito dire: “massì, vengo qui perché il posto è bello, è comodo e mi ci diverto, anche se so che pescherò poco…”
Ci sono però altri subacquei che ragionano diversamente. In loro prevale uno spirito più “pratico”, che a fondali leggiadri ma ormai sterilizzati, li porta a preferire angoli più nascosti e defilati, con acque magari torbide e fangose, ma caratterizzati da potenzialità di cattura più elevate. In tanti casi, poi, non è neppure la brama di far carniere a portare a questi ragionamenti. Può esserlo semplicemente il legittimo desiderio, durante la pescata “settimanale”, di un po’ di sano isolamento.
Eccoli qui, dunque, i cultori del cosiddetto “posto brutto”, coloro che amano sguazzare alle foci dei fiumi e dei canali, ai margini delle spiagge e delle distese di fango, sulle dighe o su altri manufatti disseminati sul fondale in poca acqua. Pescatori, penserete voi,destinati a sonori cappotti. Ma invece no. Spesso infatti risalgono con carnieri di tutto rispetto, realizzati dove altri mai neppure si sognerebbero di scendere.
Il modus operandi, per la verità, cambia leggermente se ci si trova nei propri territori di caccia abituali, oppure in zone poco conosciute. Vediamo di che cosa si tratta!
I posti “sotto casa”
Tutti noi abbiamo, nel “mare di casa”, i nostri posti preferiti, e non di rado saranno quelli meno in vista e appariscenti ma, appunto per questo, meno conosciuti e frequentati da altri.
Potremmo averli trovati per caso, vedi ad esempio il grosso masso, caduto dalla chiatta che lo stava depositando, una decina di metri fuori da una diga sommersa. Il sasso giace isolato in una buca di sabbia, avvolto nel torbido e invisibile al subacqueo che si limiti a procedere parallelo alla scogliera.
Noi l’abbiamo individuato per caso, un giorno che, a causa della corrente e della cattiva visibilità, avevamo perso i riferimenti della soffolta, sbagliando il tuffo e atterrandoci sopra per pura fatalità. Un insperato colpo di fortuna che ci ha fatto trovare quello scoglio vergine e isolato, attorno al quale, nella giusta stagione, i grossi cefali vorticano con regolarità e le spigole non mancano quasi mai. Increduli, ne abbiamo prese le mire e da allora lo frequentiamo, regolarmente ma non troppo spesso, sempre attenti e guardinghi a non farci scoprire da casuali osservatori.
Non sempre si tratta di pura fortuna. Frequentavo da anni, in una località dell’Adriatico, una serie di frangiflutti che raramente mi aveva dato grosse soddisfazioni sinchè un giorno, raggiunta la punta dell’ultima scogliera, una specie di intuizione mi spinse a proseguire gli aspetti, sulla sabbia, ben oltre l’estremità della diga.
Dopo una ventina di metri buoni di sabbia e fango, e senza vedere alcunche, mi resi conto che lo sbarramento proseguiva sott’acqua con una serie di sacchi di materiale sintetico (a volte utilizzati come basamento per le scogliere artificiali) dispersi sul fondo e ormai colonizzati da spesse incrostazioni e da colonie di mitili.
Già al primo aspetto un trio di spigole mi venne incontro aggressivo e la più grossa finì sul cinque punte.
Proseguendo, mi accorsi come sacchi analoghi giacessero sul fondo in ordine sparso, coprendo una superficie di una decina di metri quadrati. Infatti, poco dopo, ulteriore aspetto e seconda spigola trafitta. In realtà il posto, che frequento tuttora, consente non più di tre o quattro tuffi, ma penso che sia del tutto sconosciuto dal momento che negli anni vi ho sempre trovato le spigole.
In altri casi, il posto “magico” non è affatto così nascosto. In realtà è perfettamente visibile e l’abbiamo avuto sotto gli occhi per una vita, ma risulta talmente “brutto” tanto da essere mai stato preso in considerazione. Può trattarsi della scogliera semi-interrata che muore in pochi decimetri d’acqua, della diga che delimita una darsena, della foce fangosa di un piccolo corso d’acqua.
Probabilmente in passato vi abbiamo dato un’occhiata distratta nel momento sbagliato, non vi abbiamo visto nulla di interessante e, delusi, non ci abbiamo più pensato per anni. Finchè, sospinti da una specie di sesto senso, vi siamo tornati, con la marea, la corrente e le condizioni di mare giuste, e ci siamo trovati davanti a una specie di acquario.
Ovviamente, ciò che rende questi posti ricchi di vita è il fatto di essere sconosciuti, completamente o in parte, agli altri sub. E bisogna che ciò rimanga tale. Meglio allora evitare, se possibile, i fine settimana, le festività e la stagione estiva, allorché la possibilità di essere notati da occhi interessati risulta maggiore.
E se proprio non resistiamo alla tentazione di fotografare e “pubblicare” il nostro carniere, facciamolo solo dopo essere risaliti in auto e aver cambiato località e sfondo. Ciò consentirà non solo di non dare indicazioni utili all’individuazione dello spot, ma addirittura di depistare potenziali concorrenti.
Nonostante tutte le precauzioni, potrà tuttavia capitare che il nostro posticino segreto venga scoperto da qualcun altro, vuoi perché abbiamo commesso qualche errore, vuoi perché l’altro ci è arrivato semplicemente da solo.
A questo punto, se i “colleghi” si comportano intelligentemente, gestendo la zona con oculatezza, potremmo anche continuare a usufruirne entrambi con profitto, gli uni all’insaputa degli altri. In caso contrario, il posto è da ritenersi “bruciato”.
Mi capitò qualcosa del genere anni fa con il solito, piccolo agglomerato di massi sommersi e non visibili dalla superficie, che avevo sempre ritenuto una mia esclusiva sinchè gli scoglietti, dall’oggi al domani, cessarono di far pesce. Mi ci incaponii per più uscite, tutte improduttive, sinchè un bel giorno non vi rinvenni un corto pneumatico, ancora carico, evidentemente perduto da un concorrente e non più ritrovato a causa del torbido.
In circostanze del genere è inutile insistere e bisogna rassegnarsi. Tuttavia, a distanza di qualche mese, o la stagione successiva, conviene sempre tornare a fare un tentativo (non si sa mai…).
Sorprese in trasferta!
Lontani da casa, in località scelte per un’occasionale vacanza e dove forse non torneremo mai più, è ovvio che tutte le accezioni riguardanti la “segretezza” dei posti buoni decadono. Resta il problema, soprattutto se non abbiamo contatti in loco e non abbiamo una barca a disposizione, di decidere dove provare a immergersi.
In questi casi la “Legge del posto brutto” può funzionare, nella misura in cui risulti elevata la densità di. Anche in trasferta, e magari all’estero, vigerà infatti sempre la regola per cui meno un posto è appariscente, meno sarà frequentato da potenziali concorrenti.
Ovunque vada ho ormai sviluppato un certo grado di diffidenza nei confronti delle zone troppo amene e facilmente accessibili, e una delle prime cose che faccio, prima di partire o appena giunto sul posto, è quella di “mappare” le possibili alternative, applicando possibilmente un briciolo di fantasia. Facciamo qualche esempio.
Le barriere artificiali. Non sono “posti brutti” a prescindere, dato che spesso ricreano ambienti sottomarini suggestivi, oltre che ricchi di vita, ma certamente una lunghissima diga di tetrapodi che si stacchi da un gigantesco porto commerciale non può essere considerato il paradigma della bellezza. Senza contare che parrebbe strano impegnarsi in una trasferta di centinaia di chilometri per finire in un posto del genere. Eppure può convenire farlo, chiaramente dopo esserci accertati delle normative vigenti e dell’assenza di divieti specifici.
Personalmente. gli antemurali mi hanno salvato più di una vacanza. Ricordo ad esempio un periodo trascorso a Tenerife, dove ebbi modo di visitare fondali vulcanici bellissimi ma letteralmente deserti e solo negli ultimi giorni individuai un lungo molo, in una località del nord, ben popolato da grossi saraghi sia maggiori che faraoni. Ecco perché, a prescindere da tutto, se vedo una diga artificiale, un tuffo cerco sempre di farlo.
I fondali di sabbia e fango. Generalmente vi capitiamo per caso, per errore o per mancanza di alternative. Su questo tipo di fondali il cibo non manca, grazie all’abbondanza di detriti organici frammisti alle particelle di sabbia e fango ma, in assenza di precisi punti di aggregazione, il pesce rimane disperso e la zona può risultare difficile da interpretare. Però, in circostanze particolari avvengono insolite concentrazioni di pesce.
Due inverni fa, ad esempio, durante una trasferta in Costa Azzurra, mi immersi da terra per raggiungere un promontorio roccioso. Distava cinquecento metri e per raggiungerlo avrei dovuto attraversare un esteso bassofondo sabbioso. Una semplice marcia di trasferimento, tant’è che non avevo neppure caricato il fucile. Ma mi sbagliavo.
Percorsa qualche decina di metri, cominciai infatti a vedere centinaia di grossi cefali sfilarmi sotto la pancia, nell’acqua limpidissima. La zona ne era letteralmente infestata. Trascorsi l’intera uscita a sparare ai cefaloni o, semplicemente, a godermi i loro caroselli. Il giorno dopo tornai e li ritrovai.
Qualche anno fa ero in Murcia, una regione del sud della Spagna. C’era movimento un po’ dappertutto, ma le pescate più belle le feci ai margini di una spiaggia frequentata da parecchi turisti. La mattina prestissimo mi immergevo sulla sabbia, a pochi metri da riva, e catturavo quasi sempre qualche orata, forse attirata dal cibo smosso dai piedi dei bagnanti la sera prima.
Una decina di anni fa in Grecia, nell’isola di Evia, avevo affittato una casa in riva al mare. Con il gommone ormeggiato proprio davanti a casa, su un fondale prevalentemente fangoso, assieme alle motobarche dei pescatori locali. Scoprii ben presto come il fondo fosse ricoperto da ogni genere di rottami e relitti e brulicasse letteralmente di pesce, probabilmente attirato dai residui della pulitura delle reti e delle nasse. Vi presi di tutto: dalle mormore alle orate, dai cefali alle spigole, dai serra alle ricciolette. Un bel giorno, all’aspetto, arrivarono dal nulla tre ricciole sui quindici chili. Nei centrai una che, purtroppo, si strappò dopo un breve combattimento
Gli scarichi a mare. Conosco subacquei che non fanno scrupoli a spingersi a ridosso degli scarichi fognari, ma qui si esagera! Oltre a mettere a repentaglio la propria salute e a catturare pesci dalla dubbia commestibilità, si infrange la Legge, in quanto si tratta sempre di zone non balneabili. Gli scarichi a cui alludo, sono invece quelli degli allevamenti di pesce e delle industrie conserviere. Ad esempio, due anni fa, esplorando il litorale siciliano tra Marzamemi e Capo Passero, mi imbattei nell’immissione a mare delle acque, infarcite di nutrienti, reflue dalle vasche di un allevamento ittico. Vi era un cartello che vietava l’immersione a meno di 25 metri dagli scarichi, ma anche rispettando tale limite, nel flusso di corrente prodotto dallo scarico, viaggiavano branchi immensi di cefali e qualche spigola. Insomma, c’era da divertirsi.
Nessun divieto vige invece in Norvegia attorno agli sbocchi delle condotte che riversano in mare, ad alcune centinaia di metri da riva, gli scarti di lavorazione delle numerose industrie conserviere di prodotti ittici, soprattutto granchi. Il tutto avviene a una certa profondità, in genere non meno di 20, 25 metri e richiama una gran quantità di pesce, in particolare i grossi merluzzi. Ci sono stato qualche mese fa con amici del luogo e sicuramente non si tratta di posti ameni: l’acqua è torbidissima e il fondale biancheggia di scheletri di granchio, ma se si riesce a raggiungerlo nonostante l’acqua gelida e le mute pesanti, si ha la possibilità di sparare a merluzzi sino a 15, 20 chili di peso.
Ponti e pontili. Uno dei primi consigli che viene dato, dai locali, a chi si spinge nel Nord-Europa (Norvegia, Irlanda, Gran Bretagna) è di cercare ponti e pontili (i cosiddetti piers), sotto le cui strutture, specie in presenza di forte corrente, non mancano mai spigole e merluzzi. In Norvegia, in particolare, i ponti a cavallo dei fiordi rappresentano spot tra i più interessanti in assoluto nonostante l’ambientazione sia resa spesso inquietante dalla torbidità dell’acqua.
Lo stesso dicasi per i pontili di attracco delle imbarcazioni, nelle darsene, sotto la cui ombra possono stazionare in agguato grossi predatori. In questi Paesi, peraltro, le cose sono facilitate dalla sostanziale deregolamentazione della nostra attività, per cui non esistono limitazioni specifiche per le immersioni. Ad esempio, due anni fa, in Norvegia, ho potuto persino immergermi nelle immediate vicinanze di un grosso bacino di carenaggio: sul fondo, disseminato di rottami metallici, giravano parecchi merluzzi di taglia.
In Mediterraneo risulta più difficile usufruire di strutture simili a causa di una normativa che generalmente ne impedisce l’accesso. Non sempre tuttavia, come quando mi è capitato di scendere, tre anni fa, sotto il pontile abbandonato della salina di Punta Alice, in Calabria. Tra i grossi pali infissi nel terreno giravano grossi cefali e fuori incrociavano branchi di ricciolette.
Ricordo anche diverse catture invernali di cefali e saraghi effettuate in Provenza, sul versante occidentale di Cap Negre, dove sul fondo giacciono, disordinatamente, le infrastrutture in metallo e cemento di un vecchio pontile crollato ormai da molti anni. Se capitate da quelle parti fateci un salto. Ne vale assolutamente la pena…