In questo angolo di Calabria, a due passi dallo Stretto, i fondali cadono repentinamento nell’abisso e la visibilità (almeno sul Tirreno) è quasi sempre ottimale. Le cernie sono le protagoniste indiscusse, assieme ai dotti, mentre nel sottocosta entrano branchi di saraghi e di cefali. Mentre sulle risalite al largo incrociano dentici e ricciole. L’importanza di “studiare” le correnti di Gherardo Zei
Oggi vi parleremo di un tratto di costa che parte da Scilla e arriva fino a Palmi, passando per Bagnara Calabra. Si tratta della Costa Viola, un segmento di litorale di circa trenta chilometri situato nel basso tirreno calabrese. Comprende quattro comuni i cui territori, che sono situati in un vasto entroterra, si affacciano sul mare. La linea di costa è pertanto quasi incassata tra il mare e le montagne ed è caratterizzata da alte e frastagliate costiere che danno luogo a suggestive cavità, come ad esempio la grotta dello Sparviero.
Dal Monte Sant’Elia si possono scorgere le Eolie e l’Etna. Tutto il territorio è, inoltre, caratterizzato da terrazzamenti coltivati a vigneti a strapiombo sul mare, un po’ come quelli che si trovano a Pantelleria o al Giglio.
I litorali sono a tratti rocciosi, a tratti sabbiosi e a tratti ghiaiosi, dominati, come dicevamo, dalle montagne, come ad esempio l’Aspromonte e il Monte Poro. I fondali sono ricchi di coralli e si caratterizzano per una grande biodiversità. Suggestivo, in particolare, lo Scoglio dell’Ulivo, a Palmi e la spiaggia di Seminara Cala Janculla.
E’ la zona nella quale vado più spesso a pescare – ci racconta Claudio Marconcini, un ottimo pescatore di queste parti -. Ci riteniamo fortunati. Abbiamo infatti la possibilità di andare sia sullo Ionio che sul Tirreno, a seconda delle condizioni del mare: una grande comodità. Lo Ionio si sporca più facilmente a causa del fondale, che è parecchio sabbioso; ciò avviene soprattutto durante le sciroccate. Sul lato tirrenico, invece, essendoci più roccia, anche con le ponentate violente si riesce sempre ad andare in acqua già dal primo giorno di scaduta. D’estate, poi, ci sono spesso 25 ì o 30 metri di visibilità».
La Costa Viola è battuta sovente da forti correnti, che arrivano fino a sei, sette nodi nello Stretto di Messina. Sono correnti “alternate”, che hanno sempre una fase montante e una fase scendente e presentano, tra la montante e la scendente, una fase di stanca, che dura circa tre quarti d’ora e che rappresenta il momento migliore per andare a pescare. In pratica, la corrente montante porta l’acqua fredda da sud a nord, e il pesce sparisce. Mentre la scendente (da nord a sud) porta l’acqua calda e il pesce si avvicina a terra.
I pescatori locali regolano le loro uscite in base alle tabelle delle correnti, tabelle che, però, vengono “sballate” quando c’è bassa pressione, oppure quando piove o in altre condizioni particolare che vanno ad alterare il normale flusso. Ecco perché non si può mai essere del tutto sicuri.
Tenete presente che la zona di Scilla è quella che risente maggiormente delle correnti in quanto è quella più vicina allo stretto e, da quelle parti, ci sono giornate in cui non si riesce proprio a immergersi perché sembra di venir “catturati” da un fiume in piena.
Un’altra caratteristica è che il fondale degrada repentinamente, ragione per cui la fascia pescabile è abbastanza circoscritta. Ciò determina una notevole concentrazione di pescatori in quei primi settanta od ottanta metri dalla costa, dove ci sono meno di trenta metri di fondo. Per questo motivo il pesce è molto smaliziato. Inoltre, i punti dove si può entrare in mare sono pochi, fattore che favorisce ulteriormente la concentrazione di subacquei in certe zone.
L’ingresso in acqua da terra avvien alla fine della spiaggia di Marina Grande. È una conca naturale nella costa nonchè una spiaggia famosa e meta di tanti turisti. Alla fine della spiaggia, il fondale diventa subito roccioso e, staccandosi di poco dalla spiaggia, la zona è subito pescabile fin dai sette od otto metri, poi scende a venticinque e più con una serie di massoni granitici.
Qui si possono incontrare dotti e cernie, e anche pesce bianco quando la corrente porta l’acqua calda. Parliamo in particolare di orate e saraghi. Dal mare si gode della vista splendida del Castello Ruffo, incastonato nella roccia. Da queste parti conviene tentare aspetto e agguato, ma soprattutto con quest’ultimo, se si ha una buona apnea, si riesce spesso a sorprendere il pesce mentre mangia tranquillo tra le rocce.
Per quanto riguarda le cernie, talvolta vengono a tiro all’agguato oppure con la classica ricerca in tana; qualche volta, permettono perfino il tiro in caduta, ma abbastanza raramente.
Continuando a pinneggiare ci si trova sotto la galleria ad archi che costeggia il mare e, proprio davanti alla galleria, c’è un massone gigantesco che costeggia la montagna e che, partendo da un cappello situato a diciotto metri, scende fino a 40. Si tratta di un punto conosciutissimo per le immersioni con le bombole e, pertanto la zona è parecchio disturbata. Ecco perché conviene andarci alla mattina presto oppure alla sera.
Viene chiamato anche la anche “montagna” o la “canna”; il nome deriva dalla forma a cilindro (della grandezza di due macchine appaiate) che svetta dal fondo e poi cade verso l’abisso. Le pareti esterne sono costellate di gorgonie e l’acqua è sempre limpida, permettendo di scorgere un carosello di dotti stanziali di piccole e medie dimensioni. Quando ci si appoggia sul cappello si vedono spesso i dentici. Insomma, è un posto meraviglioso.
«Quel giorno – racconta Marconcini – ero immobile poco sotto il cappello, proprio dove ci sono un paio di appostamenti scomodi ma efficaci. Si intravvedeva la colonna di roccia che andava a cadere verso la sabbia bianchissima della base e si scorgevano come al solito i dotti, oltre a qualche cernia più profonda. Improvvisamente arrivarono dal blu quattro ricciole, tutte intorno ai venti chili, e ne catturai una. Fu un agrande emozione». (vedi foto ndr).
Superato il porto, incontriamo la zona di Chianalea e, specie guardando dal mare, si apprezza la bellezza delle sue case variopinte. Interessante il bassofondo che muore sulla posidonia. Con il mare in scaduta di ponente “entra” il pesce bianco, in particolare orate, cefali, spigole e saraghi. E’ una fascia di mare abbastanza ridossata dal muraglione del porto e quindi relativamente protetta dal mare e dalla corrente.
Continuando verso nord si entra nella zona di Favazzina, caratterizzata da un bassofondo roccioso con lastre e frangiflutti che in certi punti diventano soffolte. Conviene pescare all’agguato e all’aspetto al pesce bianco; un punto indicato per insidiare le spigole in inverno. D’estate, invece, è pieno di turisti, tra l’altro si trova tra il porto di Scilla e il porticciolo di Favazzina ed quindi sconsigliabile andarci, tranne che nelle prime e nelle ultime ore del giorno.
Al porticciolo di Scilla c’è un piccolo scivolo gratuito, ma è difficile da usare in quanto angusto e collocato con un angolo di manovra non semplice.
Marina di Bagnara è il rione che ospita i pescatori professionali che escono con le feluche, quelle caratteristiche imbarcazioni dotate di un altissimo albero (l’antenna) che ospita la vedetta (ha il compito di individuare il pesce) e di un lunghissima passerella strallata, protesa nel mare, che ospita il fiocinatore.
Questa zona di Bagnara è la più conosciuta per la caccia del pesce spada e dell’aguglia imperiale, che viene effettuata proprio con le feluche. Soprattutto ultimamente si cattura soprattutto l’aguglia imperiale perché negli ultimi anni c’è stata una flessione della presenza del pesce spada.
Superata la Marina vi è il Porto di Bagnara, dove c’è uno scivolo a pagamento per l’alaggio (10 euro). Da Bagnara iniziano, a circa duecento metri di distanza dal porto, le famose pareti di roccia della Costa Viola, che proseguono senza soluzione di continuità per tutto l’itinerario, tranne per l’ultimo tratto che porta a Favazzina.
Sotto le pareti il fondale cade subito a venti/venticinque metri e la mattina presto fermarsi a guardare la montagna che scende fino al mare, digradando dal Monte Sant’Elia con un gioco di colori incredibile, è uno spettacolo. Spostandosi di poco dalla parete, inizia la franata con massi di grosse dimensioni; incrociano parecchie cernie, specialmente in estate. Non manca il pesce bianco ma, essendo una franata con grandi massi e, di conseguenza, grandi tane, è il posto ideale per i serranidi.
Andando oltre c’è Cala Janculla, un’insenatura meta di turisti alla quale si arriva via mare. Al centro della cala c’è un grosso masso affiorante, nei pressi del quale si ormeggiano le barche. Nei pressi c’è anche la Grotta delle Rondini: un’impressionante spaccatura nella roccia dove si può entrare a vedere il gioco azzurro dei colori caratteristico delle grotte. Davanti alla grotta si apre una zona interessante con una franata dove le cernie fanno capolino, mentre i dentici volteggiano come fantasmi.
Sempre in direzione di Palmi incontriamo, incastonata nella roccia, una chiesetta costruita dai pescatori della zona. Denominata “della chiesetta”, la zona è frequentata da cernie di grosse dimensioni, che vivono in un fondale di massoni ciclopici. In pratica, in tutto questo itinerario c’è pochissima sabbia. Tranne a Favazzina e poca altra nei pressi di Cala Janculla. In linea generale il pesce bianco (cefali, spigole e saraghi) va insidiato vicino a terra, prevalentemente durante le scadute di mare. Più fuori, la roccia muore sulla sabbia sui trentacinque metri, dove si incontrano le cernie e i dentici.
E’ una grande e caratteristica baia ciottolosa. Ci si arriva in macchina fino a un’insenatura dove spicca un incantevole belvedere. Ai due lati di questa baia, altrettante punte rocciose: la punta che guarda verso Bagnara si chiama Arcorace, mentre quella rivolta verso Palmi si chiama punta della Motta. Un posto famoso tra i subacquei della zona e anche tra quelli che vengono da fuori (ad esempio dalla vicina Sicilia).
Non appena si entra in mare, il fondale è pescabile ed è composto da ciottoli di varia grandezza, che si trasformano in massi mano a mano che si esce verso il largo. Al centro della baia il ciottolato muore sulla sabbia a circa tredici metri e, in questo punto, talvolta incrociano le ricciolette e i piccoli carangidi.
E’ la punta rivolta verso Bagnara ed è costituita da una franata di massi che scendono a volte verticalmente. Quando c’è corrente calda, si vedono facilmente i dotti (esemplari anche di sei o sette chili di peso) e qualche cernie, ma riuscire a portarli a tiro è tutto un altro discorso…
«Si tratta di una zona caratteristica – racconta Marconcini -, dove capita di vedere cernioni giurassici di oltre venti chili fermi in candela. Qui ho catturato un pesce di tredici chili all’agguato. Era un pesce che conoscevo e che fino a quel mattino aveva sempre avuto la meglio. Ma quel giorno ho preparato bene il tuffo, sono sceso all’inizio della cigliata (sui sedici metri) e ho continuato l’agguato fino all’orlata, poi piano piano ho scapolato il masso. La cernia era lì davanti e l’ho colpita in testa, senza farla intanare. L’avevo presa così bene che l’ho recuperata dalla superficie. Pesci del genere se ne vedono e se ne prendono diversi, ma sono tutte catture difficili. Capita inoltre di vedere anche dentici e corvine.
La punta successiva, quella rivolta verso Palmi, si chiama punta della Motta. Qui il fondale scende a picco fino a 24, 25 metri e può capitare a tiro di tutto. Sulla Motta sono stati avvistati diversi tonni, soprattutto di recente, parliamo di pesci stimati oltre il quintale. E sono stati presi dotti grossi, cernie, saraghi e orate
Continuando si arriva alla Baia delle Sirene, che è caratterizzata da un masso centrale posto a un solo metro dalla superficie. E’ una meta classica dei diving della zona in quanto il fondale è davvero bello, con gorgonie di vari colori che formano una “quinta” ideale per scattare suggestive fotografie.
Davanti a questo massone c’è un ciglio che cade dal cappello di 14 metri fino a 35 e che è popolato dai dotti e frequentato dai dentici. Al largo anche da queste parti sono stati presi i tonni.
Una bella zona, accessibile da terra con una lunga scalinata che porta a un punto da dove si entra comodamente in mare. E’ un posto che conosco benissimo – racconta ancora Marconcini – perché qui organizziamo le selettive del mio circolo. Si tratta di un bassofondo abbastanza esteso, adatto per pescare al razzolo scostandosi dalla riva di un sessantina di metri. In inverno, quando batte il mare, entra il pesce bianco; va insiduito all’agguato e all’aspetto.
Al largo della punta ci sono formazioni rocciose che richiamano parecchio pesce: i locali li chiamano i “Pauroni”. Fanno il cappello a 18 metri e cadono fino a 35 “a salti”, come se ci fossero giganteschi gradoni. Sembra che precipitino addirittura a settanta metri e in un punto passa un tubo di ferro: qui il pesce è davvero numeroso. Barracuda, ricciolette e dotti grossi. I massi formano piccoli cappelli e guglie che offrono validi nascondigli per l’aspetto.
Superati i Pauroni, il bassofondo continua arrivando a una baia ciottolosa di fronte alla quale il fondale muore sulla sabbia. Proprio nelle secche presenti nelle immediate vicinanze vivono le cernie bianche (è forse l’unico posto di tutto l’itinerario).
Anche da queste parti si arriva in macchina; specialmente fuori stagione è facile parcheggiare ed entrare in acqua in corrispondenza di questo suggestivo scoglio, sulla sommità del quale vive un ulivo che sembra direttamente radicato alle rocce.
Ci si immerge in prossimità dello scoglio dell’Ulivo e si nuota verso Bagnara. Siamo al cospetto di una delle più famose franate della zona, dove vivono cernioni nascosti tra i massi, dentro tane spesso inespugnabili. Infatti, qui i massi sono accatastati su diversi strati di roccia e danno luogo a tane spettacolari, veri e propri labirinti, con cunicoli e camere dove il pesce ha spesso la meglio.
Facendo l’aspetto si possono insidiare anche le ricciole. Inoltre, i carangidi (che arrivano fino a circa tre chili di peso) sono numerosissimi in autunno. Le grandi lecce sono invece abbastanza rare visto che di solito entrano soprattutto nella zona di Bagnara e di Cala Janculla).
Dove scarrellare il gommone: a Scilla e a Bagnara
Tecniche: Da giugno fino a settembre/primi di ottobre, ci si deve dedicare alle cernie, ai dentici e ai dotti. Le catture saranno più facili e più frequenti a inizio di stagione, poi mano a mano diventano sempre più difficili in funzione del progressivo smaliziarsi del pesce di entrata. Nel periodo invernale qualche cernia capita di prenderla solo nelle tane “storiche”, per il resto ci si dedica al pesce bianco, specialmente durante le scadute di mare.
Traffico nautico e divieti: In estate il traffico è tale che diventa praticamente impossibile pescare dopo le nove del mattino. Le barche, uscendo dai porti, viaggiano lungo la linea costiera e il rischio di trovarsele sopra la testa è elevato. Finito il periodo estivo, comincia (purtroppo per noi) il periodo della traina e i diportisti continuano a essere un pericolo fino a novembre. Poi, fino a primavera il mare è abbastanza tranquillo. I divieti sono quelli ordinari della legge e delle Ordinanze.
Periodo migliore: giugno, luglio (sarebbe meglio saltare agosto) e settembre per le cernie e i dentici. Ottobre e novembre per il pesce bianco.
Venti e correnti: I venti dominanti sono quelli di ponente e maestrale (quest’ultimo viene chiamato “vento di canale”). I migliori per pescare sono la scaduta di ponente e, per la ricerca in tana, lo scirocco.
Taglio freddo: Quando c’è corrente montante il termoclino si assesta indicativamente sui sei metri; sotto è il deserto. Con la corrente scendente (che è calda) il termoclino scende spesso fino a diciotto, venti metri e, anche in questo caso, sotto il taglio il pesce sparisce.
Visibilità: difficilmente scende sotto gli undici, quindici metri.
Chi è Claudio Marconcini box
Ottimo agonista, Claudio è figlio d’arte. «Ricordo – racconta Marconcini – che a fine anni Ottanta seguivo le pinne di mio padre. Poco più che ragazzino, ho iniziato con la classica fiocina a caccia di polpi e seppie. A diciotto anni ero un appassionato spettatore delle splendide videocassette di Dapiran, che spiegava l’aspetto e l’agguato in poca acqua, avvalendosi di magnifiche riprese effuttuate da Pisciottu le quali, nonostante il miglioramento della tecnologia, rimangono ancora quasi inarrivabili.
«A Punta Tellaro, in una secchetta sulla sabbia in cinque metri d’acqua, ho catturato la mia prima preda vera: una cernia di un paio di chili. Il primo pesce importante è stata invece una ricciola di otto chili, presa all’aspetto su un fondale di venti metri. Ricordo che è arrivato all’improvviso un branco numerosissimo di pesci sugli otto chili e altrettanto rapidamente se ne stavano andando. Infatti, ripresomi dalla sorpresa, sono stato in grado di sparare solo all’ultima ricciola del branco che, colpita alta, ho rischiato anche di strappare. Da qualche anno mi sono dedicato all’agonismo. Le gare mi piacciono e vorrei continuare con gli amici del mio circolo, l’Adps Mimmo Arena di Palmi. Superato lo sbarramento delle selettive sono da poco entrato nelle categorie più alte. In prima categoria ho trovato più tensione, ma ci si diverte lo stesso.
«Quello di Castelsardo è stato il mio secondo assoluto. Il primo è stato quello di Porto Palo, dove mi sono classificato nono (nella prima giornata ero quinto). Invece, quest’anno in Sardegna ho svolto una preparazione non eccezionale e non sono andato altrettanto bene. Comunque ho concluso al ventesimo posto e sono rimasto in prima categoria».