Le Orate di Capde la HagueCi troviamo al vertice della penisola del Cotentin, in Normandia, dove, tra la foresta di laminaria spazzata dalla corrente, o nel frangente dell’onda, tra una miriade di affioramenti rocciosi, ci aspetteremmo d'incontrare solo spigole e poco altro... E invece, la sorpresa è dietro l'angolo
Alberto Martignani
La seconda tappa della vacanza normanna conclusa qualche mese fa prevedeva di spostarsi dalla zona di Cap d'Antifer, in Alta Normandia, verso sud, attraversare il maestoso estuario della Senna sul lungo e altrettanto imponente Pont du Normandie e, una volta raggiunta Caen, deviare a nord-ovest e risalire la penisola del Cotentin lungo la superstrada che ne costeggia il versante orientale, quello, per intenderci, che fu teatro del celeberrimo sbarco del '44.
Destinazione, dopo circa 200 chilometri, il Cap de la Hague, una penisoletta frastagliata che, passata Cherbourg, si protende nel canale della Manica. Una zona verdissima, caratterizzata dal cosiddetto "bocage" normanno, una scacchiera di campi coltivati, pascoli, stagni costieri e fitti boschi, intersecati ortogonalmente dai tipici muretti a secco e da siepi di rovo.
E la costa? Un susseguirsi di alte falesie intervallate da spiagge sabbiose e da tratti di litorale basso ma roccioso e frastagliato che erompe, poco al largo, in numerosi scogli affioranti o in vere e proprie isolette. Zone, queste ultime, apparentemente ideali per poter pescare partendo da terra, ma che nascondono alcune insidie.
La principale è rappresentata dal fatto che ci troviamo al cospetto di una delle correnti più forti al mondo. "Raz Blanchard", la chiamano, ed è determinata dalle escursioni di marea, che da queste parti possono superare gli 8 metri. L' intensità massima, sino a 20 nodi, viene raggiunta tra il promontorio di Goury e l'isola di Alderney (a sovranità britannica) ma la si sente intensamente lungo tutto il perimetro del capo. La direzione, in linea di massima, è oraria in fase di marea crescente, antioraria in fase decrescente, però possono determinarsi flussi anomali, localmente, legati alla morfologia della costa e del fondale, nonchè alla situazione meteo-marina nel Canale della Manica. Ovviamente, in prossimità dei picchi di marea e nei periodi di elevato differenziale ("grandes marées"), l' intensità tende ulteriormente ad aumentare.
La seconda insidia o, per meglio dire, incognita, riguarda il contesto meteo-climatico: ci troviamo infatti in una zona fortemente esposta alle perturbazioni atlantiche, di provenienza occidentale, con pochi ridossi. Una forte perturbazione che investa la penisola da ovest, evento non improbabile anche nei mesi estivi, renderà infatti impraticabili sia il versante settentrionale che quello meridionale di Cap de la Hague.
E' questa, per l’appunto, la situazione che trovo il giorno del mio arrivo, caratterizzato da venti fortissimi. La ricognizione, effettuata in auto attorno al capo, rende subito evidente l'impossibilità di scendere in acqua a causa del moto ondoso impressionante. Le grosse onde frangenti sulle scogliere, pur esaltando la bellezza selvaggia della costa, non promettono nulla di buono neppure per il giorno successivo, quando l'oceano è previsto in progressiva scaduta ma si dovranno verosimilmente fare i conti con le sospensioni sollevate dall'intensa risacca.
Una macchia dorata nel torbido!
Il mattino successivo è impossibile a scendere in acqua lungo il versante meridionale del capo, esposto direttamente ai venti, mentre a nord la parziale scaduta consente di immergersi in sostanziale sicurezza, con la sola incognita riguardante la trasparenza dell'acqua.
Tra la cittadina di St. Germain de Vaux, dove ho trovato alloggio in una deliziosa casetta in pietra circondata da un giardino di ortensie, e la più orientale Omonville la Rogue, individuo una stradina che conduce a un piccolo parcheggio sul mare. La zona sembra promettente: c'è roccia bassa, a terra, sulla quale l'oceano sta avanzando seguendo la marea in risalita, mentre al largo, a distanze comprese tra 200 e 600 metri da terra, molti isolotti affioranti, di varie forme e dimensioni.
Mi butto che sono trascorse circa 2 ore dal picco di bassa marea. Ci troviamo in una fase di "grandes marées", per cui il livello dell'acqua sta salendo rapidamente. In genere i piccoli e grandi predatori, in questa fase, tendono a seguire la risalita della marea, per cibarsi degli organismi catturati dall'acqua che risale. Non ho fatto tuttavia i conti con la torbidità causata dalle intense mareggiate e dalle piogge dei giorni precedenti, che hanno sollevato sospensione e dilavato i terreni.
La visibilità, in tutta la fascia a immediato ridosso della costa, è praticamente azzerata, e risulta impossibile pescare con il 90 con cui, con eccessivo ottimismo, sono sceso in mare. Come se non bastasse, una volta allontanatomi circa cento metri dalla riva e oltrepassato un grosso isolotto, vengo "catturato" da una forte corrente, diretta, come prevedibile, verso est. Cerco, per quanto possibile, di oppormi a essa, mantenendomi a ridosso del versante più esterno dell'isolotto, e provando a pescare nella foresta di laminaria bruna che ricopre il fondale.
Qui, agendo in controluce, qualcosa si riesce a intravvedere, in assenza tuttavia di prede appetibili, ove si eccettuino i grossi labridi ("vieille") che da queste parti sono un pò dappertutto.
Mi sto rapidamente scoraggiando quando una fugace apparizione, nel torbido, ridesta la mia fiducia. Un grosso sarago sbuca dalla laminaria e lo vedo per un attimo volteggiare davanti a me. Ma si dilegua prima ancora che possa persino ipotizzare di inquadrarlo e premere il grilletto. Riprendo a pescare con rinnovata lena tanto più che, mi sembra, la limpidezza dell'acqua stia leggermente migliorando mano a mano che mi sposto. In ogni caso, dopo un'altra mezzora a zero avvistamenti, decido di piegare verso terra, in maniera da sottrarmi al flusso di corrente e provare a rientrare pescando verso il punto di risalita.
Sono all’aspetto sulla laminaria, nel canale tra due scogli affioranti, quando, dal nulla, una spigola, di buona taglia, sorvola i grossi cespugli di vegetazione sopra la mia postazione, mettendosi in posizione ideale per essere centrata! Proseguo l'esplorazione passando, da una fascia caratterizzata prevalentemente da grossi cespugli di kelp, a un fondale più piatto, di roccia bassa e rada laminaria filamentosa.
Il livello della marea si è notevolmente alzato rispetto a quando sono entrato, e ora posso pescare all'aspetto su un fondale di 4 o 5 metri. Intravvedo qualche spigola di piccola taglia che alimenta la speranza d'incontrare qualche altra preda congrua. All' ennesimo aspetto sul fondo, seguo per un pò, con la punta del fucile, le evoluzioni di un merluzzetto ("lieu jeaune"), quando, per una specie di sesto senso, decido di ruotare il fucile di 60 gradi verso terra e proseguire l'aspetto in quella direzione. Una macchia scura si materializza all’improvviso. La lascio avvicinare e ingrandire per una frazione di secondo, prima di sparare frontalmente. Nell'istante stesso in cui ho premuto il grilletto, ho chiaramente percepito la macchia dorata sulla fronte. Non è una spigola, come avevo inizialmente pensato, ma un’orata di circa un chilo e mezzo, un pesce che, lo confesso, non credevo neppure esistesse da queste parti, non avendone mai prese nè viste prendere.
Il tempo di elaborare lo stupore e sono di nuovo in azione: gli ultimi tuffi prima di risalire. Intercetto una seconda spigola tra i cespugli di laminaria filamentosa e, benchè parzialmente ostacolato dalla vegetazione, riesco a centrarla. Esco quindi con un carniere più che soddisfacente, considerate le premesse tutt'altro che favorevoli.
Il “posto delle orate”
La mattina dopo (stesse condizioni di marea) sono nuovamente in zona. L'oceano, su questo versante del capo, si è notevolmente calmato e anche la trasparenza dell'acqua è molto migliorata. Vorrei approfittarne, corrente permettendo, per ampliare il raggio d'azione e portarmi maggiormente al largo per esplorare gli isolotti più lontani. Forzando la pinneggiata, in modo da contrastare la deriva prodotta dalla corrente, ci riesco.
La circolazione di pesce sembra a sua volta implementata rispetto al giorno precedente e, sia sui bassi fondali di roccia piatta e laminaria filamentosa e sia sulla foresta di kelp che circonda gli isolotti, avvisto almeno una ventina di spigole, isolate o in piccoli branchi. Tutte, però, inferiore al chilo, il che m'induce a non premere il grilletto.
Dopo due ore sono ormai rassegnato a un dignitoso cappotto e sto pian piano avvicinandomi al punto di risalita quando, circa nella stessa zona in cui avevo preso l'orata il giorno precedente, scendo sul fondo e improvviso un richiamo, percuotendo ritmicamente il calcio del fucile sulla roccia.
All'improvviso intercetto un movimento a sinistra. Un grosso pesce, di cui intravvedo a stento la sagoma, sta transitando ai limiti della visibilità, forse per identificare la sorgente dei colpi sordi che ha percepito. In una frazione di secondo brandeggio nella sua direzione e lascio partire il tiro, cui segue una forte trazione sul mulinello.
Dopo qualche secondo la trazione cessa. Il pesce, perfettamente insagolato, ha provato a rifugiarsi in un cespuglio di laminaria, su cui scendo per liberarlo dal groviglio e recuperarlo. Ancora un'altra, incredibile orata, ma in questo caso il peso sembra prossimo ai due chili e mezzo!
A questo punto la cosa non può più essere ritenuta casuale. Le orate ci sono, verosimilmente stanziali! Probabilmente si trovano a loro agio su quel basso fondale piatto, con rada vegetazione, ricco di cibo sotto forma di migliaia di patelle e, ancor più, di lumachine d'acqua.
La mattina dopo, stesso posto. Mi trovo a effettuare la vestizione in compagnia di tre ragazzi francesi (Alexis, Mathis ed Emilian) che abitualmente trascorrono qui le loro vacanze estive. Si fa amicizia e, dopo esserci a grandi linee suddivisa la zona di pesca (che è
potenzialmente assai estesa), si scende tutti in acqua.
Inspiegabilmente trovo molto meno pesce rispetto al giorno precedente. Dopo circa un'ora e zero avvistamenti, mi risolvo a sparare a un grosso cefalo e solo in “zona-Cesarini”, con la marea già alta, intercetto un branzino tra i filamenti di laminaria e lo catturo.
Nella "zona calda" delle orate ne intravvedo un terzo esemplare (decisamente più piccolo di quelli catturati precedentemente), ma passa largo e non ho la possibilità di sparargli. Una volta risalito, incontro di nuovo gli amici. Anche loro hanno visto poco o nulla e Mathis ed Emilian mi invitano, l'indomani, a uscire con loro in gommone, con l'obiettivo di visitare un paio di spot non raggiungibili da terra. Accetto con entusiasmo!
L'appuntamento è per la prima mattinata a Veauville, una località distante una quindicina di chilometri, con uno spiaggione chilometrico, scoperto, per una profondità di almeno 150 metri, dalla marea al culmine di bassa. Gli amici arrivano con il gommone al traino. Sarà necessario scarrellarlo a braccia sino all'acqua, programmando comunque il rientro entro mezzogiorno, affinchè le marea non risulti troppo alta da renderne difficoltoso la posa in secco.
Purtroppo la mattinata si rivelerà povera di avvistamenti. Praticamente nessuno sul primo spot, un isolotto che emerge, alcune centinaia di metri al largo, da un’amorfa distesa di grossa laminaria bruna. Cerco qualche pesce interessante sia nei dintorni dell'isolotto e sia allargandomi sulla laminaria, con tuffi sino a una profondità di 10, 12 metri. Nessun avvistamento, salvo quello di una grossa "vieille" a cui sparo quasi per frustrazione (si tratta di un pesce poco sportivo da catturare, ma comunque buonissimo da mangiare).
Probabilmente la marea era ancora troppo bassa per attirare i predatori attorno all’affioramento di roccia e cercare qualche preda dispersa nell’infinità della laminaria risulta davvero aleatorio.
Il secondo spot è più vicino a terra: un esteso panettone di roccia, che emerge solo con la sua porzione centrale, su cui la roccia frange, alimentata anche dalla marea ora in rapida e progressiva crescita. Qui, al primo aspetto, una bella spigola mi viene incontro tranquilla, e me la vedo già in sagola quando, inspiegabilmente, il pesce fa dietrofront e si dilegua. Riemerso, noto Emilian in superficie che, non essendosi reso conto della mia presenza, era praticamente giunto sulla verticale. Non vedrò nient'altro e solo Mathis riuscirà a catturare, rigorosamente a mani nude, come richiede la regolamentazione locale, un bel "Homard" (un astice). La giornata, pur scevra di catture interessanti, è stata comunque piacevole.
Le spigole di Pointe de la Loge
Al quarto giorno la situazione è la seguente: vento debole da sud-est, con oceano tranquillo su entrambi i versanti di Cap de La Hague e differenziale di marea in fase calante, con escursione non superiore a 4 metri. Ne approfitterò per esplorare uno spot posizionato quasi al vertice di Cap de la Hague. Si tratta di una "costellazione" di isolotti e scogli affioranti sino a 600 metri da riva, circa a metà strada tra due punte, Pointe de la Loge e Pointe des Groins. Con l'auto devo fermarmi a Pointe de la Loge, perché qui la strada finisce. Per avvicinarmi all’obiettivo è necessario proseguire a piedi per alcune centinaia di metri lungo un sentierino facente parte di quello "chemin des douaniers" che costeggia praticamente tutto il capo.
Appena entrato in acqua, come al solito un paio d'ore dopo il culmine di bassa marea, trovo un fondale di roccia piatta coperto dal kelp. Dopo una serie di aspetti inconcludenti, mi sono quasi convinto a tralasciarlo per dirigermi rapidamente verso gli isolotti al largo quando, incredibilmente, vedo dalla superficie due spigole scivolare pigramente in mezzo all'alga (un atteggiamento non inconsueto durante la bassa marea). Planata, convinto di non ritrovarle, e invece vado letteralmente a impattare contro un esemplare che scivola a sua volta lento in mezzo alla vegetazione. Sono rapidissimo a sparare, da molto vicino, sorprendendolo e portando a buon fine la cattura.
Allontanandomi da riva noto la comparsa di un certo flusso di corrente, tuttavia non così intenso come i primi giorni, allorchè i differenziali di marea erano decisamente più elevati. Raggiungo un primo gruppo di isolotti, disposti a formare una specie di ferro di cavallo con la concavità rivolta a ovest. Ne esploro l'interno, iniziando ad avvistare spigole, isolate o in branco, per lo più di piccole dimensioni, per cui mi trattengo dal premere il grilletto.
All’uscita dal “ferro di cavallo” incontro un discreto flusso di corrente, e qui comincio a vedere spigole di dimensioni maggiori sinchè, effettuando il periplo di un grosso scoglio limitrofo, un bel branco inizia un carosello attorno alla mia postazione, sinchè mi risolvo a mettere in mira e a centrare un esemplare. Avendo esaurito il bonus di due spigole giornaliere consentite, scelgo di rientrare, senza però essere riuscito a completare l’esplorazione degli isolotti più lontani.
E’ quanto mi propongo di fare l’indomani. La giornata è nebbiosa e piovigginosa e il moto ondoso in leggero aumento rispetto alla giornata precedente, soprattutto sugli isolotti più esterni, che raggiungo dopo una vigorosa pinneggiata. La corrente è presente, ma sostenibile. Devo però fare attenzione a non avvicinarmi troppo agli scogli, su cui le onde frangono con una certa violenza. La speranza sarebbe quella, dato il contesto, di trovare una spigola veramente grossa. Tuttavia, la taglia massima dei branzini che incontro, isolati o, più frequentemente, in branco, resta sempre attorno al chilo e due.
Ne centro un primo e solamente dopo innumerevoli altri incontri in cui non premo il grilletto, mi risolvo a catturare il secondo, sull’ultimo panettone di roccia, quello più lontano da riva. Rientro scarrocciando vistosamente a causa della corrente e del moto ondoso, che mi faranno prendere terra a una notevole distanza dal punto d’ingresso. Mi porterò dietro, oltre alle catture, anche le immagini, catturate dall’occhio elettronico della telecamera, dei caroselli di spigole e di quel contesto naturale così particolare e affascinante, di rocce incoronate di spuma e della foresta di laminaria piegata dalla corrente.