Partenza la notte del primo dell’anno, destinazione Spagna e precisamente Cadaques, un paese di case bianche situato in un suggestivo golfo incastonato nella roccia. Di fronte, un mare incredibilmente ricco di pesce bianco, di branzini in particolare. Attenzione alle zone di parco, la pesca, infatti, è consentita solo in alcuni punti
Gherardo Zei
Questa volta Massimo Repetto, che ormai i nostri lettori conoscono bene per le belle catture e per i viaggi di pesca effettuati in libertà con gli amici o con la famiglia, ci racconta di una “zingarata” molto particolare, iniziata subito dopo lo stappo della bottiglia di spumante nella notte del primo giorno dell’anno del 2024.
«Eravamo io e mia moglie - racconta Repetto - e siamo partiti nella notte tra il primo e il due di gennaio del nuovo anno. A mezzanotte ci siamo messi in movimento e in macchina (sono 800 chilometri da Genova a Cadaques) abbiamo fatto tutta una tirata e, infatti, alle 8,30 eravamo già sul posto. Cadaques ce l’ho nel cuore, è un posto dove, all’inizio degli anni Novanta, Silvano Agostini lo descriveva come un paradiso della pesca
«Silvano aveva scoperto Cadaques grazie ad Amengual, il quale glielo aveva descritto nel corso di una gara. “Era il posto dove - raccontava il grande Amengual - i branzini erano veramente tanti e grossi. Silvano a Cadaques ci andava a fine anni Ottanta e inizio anni Novanta. E quindi anch’io, con l’amico Federico, ci ero andato alcune volte con il gommone e il carrello. Pure all’epoca si viaggiava tutta la notte e appena arrivati si scarrellava e ci si buttava già dalla prima mattina. Per questo - memore di quei vecchi tempi - ho detto a mia moglie: ti porto a vedere un posto incredibile”. Infatti, Cadaques è un posto delizioso, un paesino di case bianche situato in un suggestivo golfo incastonato nella roccia. Bello al punto che Salvator Dalì aveva preso in questo luogo la sua residenza e oggi vi si può visitare un museo a lui dedicato».
Il viaggio, il permesso di pesca e l’alloggio
«Il viaggio per arrivare a Cadaques si conclude con una strada tutta curve e quando si arriva sul promontorio e si inizia la discesa si scorge questa sorta di paese delle fiabe, tutto raccolto in un golfetto come una bomboniera di case bianche che si affaccia su un golfo naturale. Praticamente un porto, che anticamente era usato dagli spagnoli come riparo per le navi perché allora i porti artificiali scarseggiavano.
«Il promontorio di Capo Creus ospita un parco naturale dove si fa trekking grazie a una grande quantità di sentieri percorribili. Ma non bisogna dimenticare che a Capo Creus si può camminare solo sui sentieri codificati ed è vietato mettere un piede fuori da quanto segnato perché altrimenti si rischia una multa. La stessa cosa in mare. Infatti siamo in un parco ed è consentita la pesca esclusivamente in alcuni punti. Inoltre, bisogna dotarsi del permesso che, per fortuna, si può ottenere sul posto.
«Per tutti questi motivi - continua a raccontare Repetto - immergendomi da terra non potevo praticamente pescare nella zona di parco più lontana e più bella perché per arrivarci a piedi sarei dovuto passare fuori dai sentieri, mentre percorrendo i sentieri tracciati si aveva possibilità di raggiungere il mare solo nella zona di riserva integrale. Insomma, un bel problema da risolvere. Comunque, per iniziare l’importante è andare a fare il permesso in un posto che si chiama “Motonautica Mavel”. Si può anche contattarli telefonicamente e anticipare dei documenti via email, in modo che, quando si arriva sul posto, non rimane che ritirare il permesso, il quale ha validità un anno e costa circa quaranta euro.
Con mia moglie abbiamo alloggiato in un ostello che si chiama Ranxo, dove si affittano sia le camere di albergo che gli appartamenti. Quando si contatta l’ostello al telefono si può anche chiedere il servizio per congelare il pesce, in modo da riportarlo poi a casa in Italia. La spesa per il soggiorno è meno di cinquanta euro a notte con tutti i servizi di camera d’albergo.
Il primo giorno
«Preso l’alloggio e ritirati i permessi, mi sono messo a letto verso ora di pranzo, perché avevo guidato sempre io. Ma poi, non riuscendo a prendere sonno, verso le 14 sono andato a pescare. Sono andato in una zona vicina, subito fuori l’abitato, verso Port Lligat, dove c’è un moletto. Lì si lascia la macchina e si entra in acqua.
«Si nuota sempre verso Port Lligat su un fondale formato da rocce e pietroni tra i cinque e gli otto metri di profondità al massimo. Qui tutto l’anno l’acqua ha il torbido giusto per i branzini, con quel leggero opaco sul verde. Ma quel giorno il mare era troppo calmo per insidiare bene le spigole. Ho visto un solo esemplare tra il secondo e il terzo tuffo, ma si è spaventato ed è fuggito.
«Inizialmente non ho sparato ai cefali perché ce ne erano tanti e io cercavo le spigole. Arrivato verso le prime lingue di roccia di Port Lligat, ho incontrato un bel dentice, stimato sui quattro chili. Ero all’aspetto e c’erano piccole tanute in lontananza e, subito dopo, ho avvistato questo pescione, però non si è avvicinato. Ho incrociato davvero tanti cefali e tanti saraghi piccoli Poi, sul rientro, ho tentato un paio di aspetti dove avevo visto il branco e ho sparato a un paio di cefaloni, pesci di quasi due chili. E uno aveva anche la bottarga».
Il secondo giorno
«Sono andato a Port Lligat, il paese dove c’è il museo di Salvador Dalì. Davanti vi è un’ampia baia con due grandi isole distanziate tra di loro dalla parte di levante, con un bassofondo che separa la terra dal mare aperto. Quel giorno c’era un po’ di vento che dava fastidio perché soffiava contro nella zona esterna all’isola, quella dove si poteva pescare. Ero andato in quel punto perché nello stesso posto, nel 2017, avevo preso un faraone di quasi due chili. Per fortuna ho comprato la sagola elastica della Salvimar per il pallone e quando c’è corrente come quel giorno e vento, la sagola elastica ti salva dalla forza del mare. Lo dico perché qualche volta, quando ero senza, mi è capitato di essere sdradicato dal fondale, mentre sappiamo tutti che con i branzini bisogna invece stare immobili. Insomma, la sagola elastica è davvero comoda,. In pratica, è come non avere il pallone.
«Come dicevo, c’era un po’ di vento e corrente contraria e ho visto i cefali, qualche sarago e due branzini piccoli. Poi si è accanita la sfortuna. Perché mentre ero a galla è arrivato dal fondo un branzino, stimato sui tre chili, che è scappato come un lampo dopo aver constatato che ero allo scoperto. Era il classico pesce che se fossi stato all’aspetto avrei catturato facilmente.
«Andando avanti ho catturato un sarago maggiore all’agguato su una risalita di roccia. Stranamente non ho visto saraghi faraoni che, invece, avevo sempre incontrato in questo posto. Fatto il giro dell’isola sono rientrato nel canale verso terra e ho effettuato il percorso di ritorno all’interno dell’isola dove, in un metro d’acqua, ho sparato a due cefali che continuavano ad arrivarmi».
Il terzo giorno
«Sono tornato nello stesso posto ma, invece di andare all’isola, ho percorso pescando la costa di sinistra, formata da una serie di punte in massimo dieci metri di fondo. Avevo una giacca da 8 millimetri in Yamamoto e 13 chili tra cintura e schienalino. Una muta davvero molto morbida. Il consiglio è che se si va in mare in questa zona a gennaio bisogna vestirsi bene perché l’acqua era a 13 gradi.
«In questo percorso si va da una punta verso l’altra all’agguato e all’aspetto. C’erano dei bei saraghi che giravano, anche se il mare era piuttosto piatto. Ho visto due o tre branzini sui duecento, trecento grammi, ai quali non ho sparato. In una baia di ciottolato facevo l’aspetto verso terra quando ho visto un dentice, sui due chili, che sembrava sul punto di arrivare a tiro, ma poi ci ha ripensato. Peccato. Dava l’impressione di avvicinarsi ulteriormente e io ho esitato, poi però non mi ha più dato occasione. Infine, dietro un’isoletta ho catturato un cefalone di due chili abbondanti dopo essere stato pulito».
Il quarto giorno
«Ho deciso di rientrare dal posto dove ero andato il primo giorno, però ho sbagliato strada e sono arrivato nella baia precedente che, tuttavia, mi è piaciuta. C’era un po’ di mare e sulla destra avevo questo isolotto triangolare che da Cadaques, guardando il mare, si trova sulla sinistra, verso levante. Non ci avevo mai pescato e ho pensato di fare il giro. Sui due o tre metri di fondo facevo mille aspetti. C’erano castagnole e acciughine schiacciate al terreno e, dopo poco, mi è arrivato un barracuda sui quattro chili, che mi ha colto di sorpresa. Purtroppo, mi sono reso conto subito che ero fuori tempo.
«Poi ho raggiunto finalmente l’isola, che nella parte esterna è molto bella nelle stagioni calde, quando ci sono i pesci di passo e i dentici, perché qui la roccia cade oltre i quindici metri sopra un piano pietroso con gorgonie.
«Ho visto subito del pesce. Dapprima due corvine piccole, ma ero troppo zavorrato e non mi sono spinto in basso per cercare le sorelle maggiori. Ho fatto il periplo dell’isola e dietro ho trovato un bassofondo che andava verso il paese. Erano caratterizzato da pietroni bianchi chiari e belli. Vedevo movimento: saraghi, mangianza, eccetera.
«Al terzo tuffo, dal nulla mi sono visto arrivare un pesce sui due chili e l’ho spiedinato per il lungo, dritto per dritto: era un bel branzino. Il tuffo successivo mi è passata un’orata da circa quattro chili, purtroppo lontana. L’ho vista bene, non era spaventata ma era distante e non mi ha filato per niente. «Sono rientrato verso terra fino ad arrivare alla baietta dove avevo parcheggiato la macchina e proprio lì vicino c’era una piccola punta sotto la quale ho deciso di tentare un ultimo aspetto. Davanti alla punta si scorgeva un terrazzino di roccia. Mi sono appoggiato, avevo la mano sinistra sulla roccia ed ero incastrato con il fucile verso terra. Appena mi sono appoggiato, con la visione periferica ho guardato in basso verso il ciottolato e proprio li c’era un dentice, stimato sugli otto chili, fermo sui piccoli sassi alla base di questa caduta. Sono rimasto disorientato.
«Mentre facevo tutti questi ragionamenti ho cominciato a girare il fucile. Però, continuavo a guardare il pesce mentre brandeggiavo. Lo vedevo concentrato perché era all’agguato anche lui. Ho continuato a girare il fucile e l’ho messo in mira, ma mi sono emozionato e ho squadrato troppo il pesce senza allinearlo bene. Risultato: l’ho colpito su un lato. In pratica, l’ho toccato senza mirarlo e pertanto ha dato una leggera scodata e si è liberato. Potete capire l’arrabbiatura…
«Insomma, mentre risalivo con una pietra piatta, che avevo bucato con il tiro, attaccata all’asta, è capitata un’altra sorpresa. Dalla parte giusta, dove poco prima ero appostato in mira, mi è arrivato un grosso branzino, sarà stato due metri dalla punta del fucile che, tuttavia, era scarico!».