Dopo anni di gare ad altissimi livelli, ha deciso di smettere con l’agonismo, ma ha continuato a immergersi con regolarità, trovando nuovi stimoli ed emozioni. Ora scende spesso con il piombo mobile a quote importanti perché «nel basso e medio fondo le prede sono drasticamente diminuite»
Emiliano Brasini
Raccontaci qualcosa di te. Quando hai iniziato ad andare sott’acqua e quando con le gare?
«Ho iniziato a immergermi a sei anni con una fiocina a mano e ho capito immediatamente che il mare era il mio elemento e che mi sarei sentito a casa solo standogli il più vicino possibile. Con le gare ho cominciato nel 2000 partecipando alle selettive e ho smesso definitivamente nel 2021».
Come si è trasformato il rapporto tra agonismo e la tua vita da pescatore?
«L’agonismo mi ha formato come pescatore. La preparazione dei campi gara, che all’inizio odiavo, con il passare degli anni ho imparato ad apprezzarla. Mi ha infatti insegnato a leggere i fondali e a capire dove scovare i pesci. La forza mentale che ho oggi in acqua la devo tutta all’agonismo; senza di questo sarei un pescatore mediocre. Ora però non sento più il bisogno di gareggiare, anzi cerco la solitudine e un rapporto intimo con l’acqua. Ma il mare è come una belva feroce, puoi avere l’illusione di addomesticarla, poi però, un bel giorno, quando meno te lo aspetti, ti mangia vivo. A volte mi sono chiesto, all’alba in gommone in mezzo al mare, se avessi la bacchetta magica per cambiare qualcosa nella mia vita che cosa avrei fatto? Assolutamente niente, volevo essere esattamente dove ero: all’alba solo in gommone in mezzo al mare…».
Come nasce il tuo rapporto con la famiglia Ciceri?
«Nasce nel 2003 quando, grazie a Marco Bardi, entrai nel team Omer. Conobbi Marco Ciceri al primo raduno del team e fui colpito dalla sua energia e dalla sua capacità di infondere entusiasmo nelle persone. Poi, nel 2006 è nato un rapporto di lavoro che è proseguito fino ai nostri giorni con C4. Marco è un vulcano di idee e basta parlarci pochi minuti per capire che nel suo settore è semplicemente il migliore».
Il più bel ricordo di quando gareggiavi?
«E’ legato alla vittoria della seconda giornata al Campionato Assoluto nel 2011, sul campo di gara del Biscione a Marsala. Feci la partenza su un segnale e poi tutto il resto del tempo scorrendo e razzolando, pura improvvisazione basata sull’istinto. Risultato: 13 pesci e 5 specie, e primo posto finale di giornata».
Come ti piace pescare adesso?
«Pesco quasi esclusivamente fondo e a segnale perché, diversamente, non mi divertirei visto che nelle mie zone i pesci in acqua bassa sono diminuiti spaventosamente o, comunque, sono presenti solo in rari e ben precisi momenti. Ma se potessi scegliere, la mia tecnica preferita sarebbe l’agguato con il mare mosso».
I fondali più belli che hai mai visto?
«Corsica occidentale e nord della Sardegna».
Se tu fossi a capo della Fipsas cambieresti qualcosa neiregolamenti?
«Secondo me il regolamento deve essere esattamente identico a quello delle gare internazionali. L’unica modifica che farei sarebbe fornire un paio di wild card ad atleti del passato (che abbiano vinto almeno un Campionato italiano) che avessero voglia di mettersi di nuovo in gioco».
Come vedi il futuro del rapporto tra pescatori e apneisti?
«Mi rendo conto che negli ultimi anni i pescatori hanno ricevuto tanto dall’apnea pura in termini di tecniche di compensazione, di respirazione, di approccio al mare in generale e questo è molto positivo. Tanti apneisti sono diventati pescatori anche bravi, quindi le due strade si sono avvicinate e incrociate parecchio. In futuro non so, mi auguro solo che ci sia collaborazione e rispetto reciproci».
Il pesce che ti dà più soddisfazioni?
Non c’è una preda in particolare che mi colpisce più di altre. Dipende tutto dalla difficoltà della cattura in quel momento. Ti faccio un esempio. Una cernia, un dentice o un’orata anche di modeste dimensioni ma presi in una giornata difficile, con condizioni totalmente avverse, mi regalano mille volte più soddisfazione di un pescione catturato in condizioni ideali. Come diceva il grandissimo Carbonell, il vero pescatore lo vedi quando c’è corrente, mare mosso e acqua torbida, cioè quando il gioco si fa duro».
Il tuo rapporto con la pesca profonda?
«Ho iniziato a scendere oltre i 30 metri in costante intorno al 2003 e solo da 4 o 5 anni ho cominciato sistematicamente a usare il piombo mobile, quindi adesso pescare alle stesse quote in variabile non mi comporta alcuna fatica. Sono profondità che ho fatto mie nel corso di venti anni di attività. Ti posso dire, però, che dopo la morte di Bruno De Silvestri non sono più riuscito a ritrovare la totale serenità mentale che avevo prima».
In tutti questi anni trascorsi in mare cosa hai imparato?
«Che più vai in mare e meno certezze hai. Quando pensi di avere trovato una regola, poi il mare ti smentisce e ti rimette al tuo posto. Ragion per cui mi ha insegnato l’umiltà di osservare la vita sottomarina con occhi curiosi, attenti e senza pregiudizi. Questa è una cosa meravigliosa, ma che forse da giovani non si apprezza a pieno».