Valtellinese, ha alle spalle un breve trascorso con le gare, ma è soprattutto una pittrice che traduce su tela emozioni, sensazioni e pensieri dei suoi viaggi subacquei. Nei laghi alpini così come nei mari di tutto il mondo
Stefano Tovaglieri
Arianna Romeri è un’apneista atipica. Intanto per la sua origine valtellinese e poi perchè non ha avuto modo di esprimersi in ambito agonistico più di tanto, anche se in quelle poche gare ha raccolto risultati apprezzabili.
Arianna vive lontana dal mare, ma ha saputo cogliere l’essenza dell’esperienza apneistica fino a farla diventare parte integrante del suo stile di vita. Una vita in mezzo alle montagne. Uno stile improntato alla ricerca del benessere e, soprattutto, della continua scoperta e conoscenza del proprio corpo, dei pensieri e delle emozioni che governano la vita anche là in mezzo alla natura e, per lei in particolare, anche la sua professione.
Già, perché questa giovane valtellinese è un’artista, una pittrice che traduce su tela emozioni, sensazioni e i pensieri dei suoi viaggi in apnea. Nei laghi alpini della sua Valtellina, ma anche nei mari di tutto il mondo.
L’apnea per lei non è solo uno sport, è anche e soprattutto un atto creativo che diventa più intenso proprio quando trattenendo il respiro incontra la parte più recondita e silenziosa della sua anima; quando immagini, sensazioni e suoni prendono forma e colorano il mondo e le sue tele.
Ci racconti in sintesi il tuo curriculum sportivo e apneistico?
«Pratico sport da quando sono piccola, in particolare il nuoto e lo sci (che da buona valtellinese non può mancare). Da ragazzina insegnavo nuoto, tralasciando però le competizioni; ero tecnicamente brava, ma restava un divario fisico con le avversarie. Brevetto dopo brevetto l’insegnamento è diventato anche un lavoro. L’apnea invece è arrivata tardi e per gioco. Dopo due anni di corsi e i conseguenti due gradi di apnea sono arrivata alle prime gare e alle prime vittorie. L’élite e i primi campionati italiani sono datati 2017. Non ero ancora consapevole di come l’apnea mi avrebbe cambiata sia a livello fisico che mentale. Negli anni successivi mi sono concentrata su allenamenti più specifici, che nonostante un difficile infortunio mi hanno portata a raggiungere il secondo posto agli Assoluti nel 2022, nella specialità Dnf».
Come nasce la passione per l’apnea; soprattutto, come evolve la tua idea di apnea e come interagisce con la tua professione?
I primi ricordi che ho di me in acqua risalgono all’infanzia, quando seguivo in mare aperto le bolle d’aria di mio padre in immersione, sognando di crescere al più presto per poter andare con lui. Così è successo, finché, per una casualità, o forse per una particolare attrazione, transito dalla corsia dei subacquei a quella degli apneisti. Fino a quel momento avevo pensato all’apnea come alla sola e faticosa “mancanza di respiro”, ma è bastato uscire dalla zona di comfort per capire quanto potente sia una condizione così precaria.
«La passione è nata quando il gioco è diventato allenamento, quando le ore di preparazione sono diventate silenziose. Non ho mai praticato sport di squadra e forse l’obbligo di confidare solo sulle mie forze ha rafforzato la mia individualità, accrescendo la conoscenza del mio corpo e la consapevolezza delle mie potenzialità. Insomma, un corpo nuovo, vestito di nuove sensibilità capace di percepire in modo diverso anche l’ambiente circostante. Più tecnicamente: un nuovo schema corporeo.
«L’apnea nei suoi aspetti più rilassanti è un ottimo modo per approcciare gli allievi meno acquatici all’abbandono e alla distensione del corpo per poi, con più facilità, insegnar loro le tecniche di nuotata. Non a caso ho chiamato un mio corso Fell the Water; per preparare al meglio chi ha interesse di proseguire con corsi di nuoto o chi, nonostante sappia nuotare, non si sente tutt’uno con l’acqua».
Qual è la forma di apnea che preferisci: indoor e quindi statica, o in movimento (dinamica senza o con attrezzi) oppure outdoor in profondità?
«Amo stare all’aria aperta e questo renderebbe la risposta ovvia, ma il luogo dove abito rende difficile l’apnea profonda. Allenarsi in piscina è perfetto per essere in sicurezza sempre e migliorare continuamente la tecnica, ma sono brava a trovare allenamenti al di fuori che variano dalla corsa in montagna allo scialpinismo, all’apnea nei laghi alpini...
«Le prove senza attrezzi, indoor e outdoor, sono decisamente le mie preferite. Contare esclusivamente sulle proprie forze e sulla tecnica a rana senza troppa attrezzatura e alcuna costrizione è per me la forma più pura e autentica di apnea. Credo siano le discipline in cui il senso di libertà venga meglio valorizzato».
La tua creazione artistica attinge anche al mondo del silenzio. Un mare di vita e di colori entrano nelle tue opere. Ci racconti come e perché accade?
«La montagna la vivo tutti i giorni. Il mare, invece, è qualcosa che mi porto dentro e l’unico modo per viverlo quando voglio è dipingerlo. I miei quadri sono colori su una tela pronti a dialogare con chi ha l’animo per sentirli. Jacques Mayol diceva che l'apnea ha a che vedere con il silenzio... il silenzio che viene da dentro. Nella mia ultima mostra ho invitato gli ospiti che avevano già dato un primo sguardo ai quadri, a uscire e rientrare dalla sala espositiva suggerendo loro di ripercorrerla in silenzio, solo con loro stessi, esattamente come in apnea, con il fiato sospeso, lasciandosi guidare solo dalle proprie sensazioni. Quest'idea è stata molto apprezzata, si sono sentiti coinvolti e sono entrati nel mio mondo, sentendo il mare come lo sento io, solo stando davanti a dei quadri. Io dipingo per questo, per ritrarre le emozioni e riviverle ogni qualvolta voglio.
«Per me la vita è colore, e i colori sott’acqua sono tanti e variabili grazie alla luce e al movimento: non c’è tavolozza al mondo per contenerli tutti. Possiamo solo osservarli con i nostri occhi e se mentre osserviamo delle bavose entrare e uscire dalla loro tana ci dimentichiamo di respirare, allora ci siamo fusi con l’elemento».
Arianna, si dice che ogni apnea sia un po’ come un viaggio fuori dal tempo. Ci racconti, se c’è, quale connubio esiste tra l’arte di trattenere il respiro e la tua arte?
«Per quanto mi riguarda, la scarica di emozioni nell’apnea la sento dopo la pratica, ed è un mix che illumina l’anima. Nell’arte, invece, la mia creatività nasce e si evolve dalla continua osservazione e si riordina prima di andare a letto, nel buio e nel silenzio le idee trovano il loro posto. Si può dire che la pittura è diventata, come l’apnea, un mezzo per estraniarmi ed essere il più concentrata possibile. Rido e scherzo pochi minuti prima della partenza, ma quando è il momento tutto si ferma, intorno a me scende il silenzio ed esiste solo la riga nera delle piastrelle e una lotta da combattere».
Chi sono i tuoi miti?
Nel 2018, al trofeo Veneto, ho avuto l’onore di gareggiare con due apneiste formidabili della nazionale croata: Mirela Kardasevic e Lidija Lijic. Sapevo chi erano e con chi stavo per confrontarmi. L’ordine di partenza prevedeva che sarei partita subito dopo Mirela. Era lì davanti a me! Ricordo di aver osservato la sua professionalità nella preparazione dei minuti precedenti il top time. Si era completamente estraniata; era come in una bolla imperturbabile. Poi la partenza: sicura e decisa, con una nuotata perfetta, composta ed elegante. Poi la mia partenza. Ero ancora incantata dalla sua perfezione. Non me ne resi subito conto ma stavo portando con me, metro dopo metro, la stessa serenità che avevo visto impregnare ogni attimo della sua preparazione. Ero talmente assorbita da quello stato di flow che conclusi con una performance pulita a pochi metri da Lidija. E finii sul terzo gradino del podio. Amo la bellezza che stupisce e amo stare con il fiato sospeso. Perciò, preferisco la perfezione del gesto sportivo a qualche metro in più fatto male. Mirela, come la nostra Alessia Zecchini, è uno dei modelli da ammirare, non solo in ambito sportivo. Quello che più apprezzo degli apneisti in genere è che hanno avuto e hanno il coraggio di seguire questa passione ancora di nicchia, andando oltre i pregiudizi e gli sguardi perplessi di chi non conosce questo sport».
A chi venisse in Valtellina a fare apnea cosa consiglieresti? Dove lo porteresti?
«Come è già successo lo porterei a vivere un’esperienza a tutto tondo con la natura. Non esiste altro modo che mettere uno zaino in spalla e imboccare il sentiero verso il lago. Vivere ogni istante con tutti i sensi che abbiamo affinchè il tuffo diventi la fantastica conclusione del viaggio. Ogni lago è diverso, cambia la dimensione, la profondità, il fondale, l’altitudine, il colore dell’acqua, fauna e flora, la scenografia intorno, la luce... e di nuovo, tutto questo cambia ogni giorno in ogni stagione. Durante gli anni della pandemia, viaggiare è stato difficile e la Valtellina iniziava a starmi stretta; così ho trovato un modo per apprezzarla con occhi diversi e mi sono dedicata a questo progetto di esplorazione dei laghi alpini che tutt’ora porto avanti. Si tratta di raggiungere specchi d’acqua in quota esclusivamente raggiungibili a piedi, con l’attrezzatura in spalla, dove probabilmente nessuno prima di me si è mai immerso. Per ora la maggior altitudine l’ho toccata al lago Nero, in Val Belviso, a 2073 metri. Non faccio preventivamente dei sopralluoghi, ma scelgo il percorso, la distanza, la quota e l’orario che potrebbe, in base alla disposizione del lago, renderlo più fruibile e affascinante. Mi è capitato di partire la mattina presto verso la Val Masino, sapendo che poche ore dopo avrei trovato il laghetto affollato dai turisti, oppure di raccogliere rapidamente il necessario per non perdere l’occasione di una buona luce. Ma rimane sempre l’incognita data dall’imprevedibilità della montagna, non si sa mai esattamente cosa si troverà finchè non si è sul posto, come in Val Venina dove il lago nasce in primavera e scompare in estate: è il lago Zappello, un lago glaciale».
Rana subacquea, pinne, monopinna?
«Sono cresciuta con le pinne ai piedi, mio papà mi ha sempre portata in piscina perchè allenava i ragazzi del nuoto pinnato. Per l'apnea indoor non sono mai riuscita a trovare la pinna adatta a me, al mio fisico; finchè, grazie alla collaborazione con Cressi e i continui feedback del team, è nata la Gara Carbon Dyn; flessibile e reattiva, mi permette di spingere in kick and glide con il minimo sforzo. La monopinna è la specialità che alleno meno, ma l’apprezzo molto soprattutto per la versatilità del gesto; nel pinnato utilizzavo una nuotata più ampia e sinuosa; nell'apnea lo stesso attrezzo lo uso diversamente, con il minimo dispendio di energie».