Emanuela De Lullo è tra le più forti atlete esistente, che ha dimostrato il suo valore durante il difficile Mondiale di Laredo, in Spagna. L’abbiamo incontrata per scambiarci quattro chiacchiere e farci raccontare qualcosa di lei e dei suoi progetti
Emiliano Brasini
Ciao Emanuela come stai? Ti vedo carichissima per la stagione alle porte. E’ così?
«Certo, quando la stagione decolla non ci si può far trovare impreparati. Quindi sì, diciamo che quando si tratta di uscire in mare, io ci sono sempre».
Raccontaci come nasce l’amore per la pesca subacquea e, soprattutto, per il mare!
«Credo che le abilità venatorie in mare o in terra siano una dote innata; l’istinto della predazione, l’attitudine alla sfida, al continuo superamento del proprio limite in un ambiente a noi innaturale, è un qualcosa che nasce dal profondo. Il mio legame con il mare è da sempre stato fortissimo, da piccola ho praticato nuoto a livello agonistico quasi da subito. Al mare non sono mai stata una bambina che giocava con paletta e secchiello, preferivo inseguire tutti i pesci e i granchi che incontravo. Ma la fiamma, quella vera, l’ha accesa mio marito 23 anni fa, quando ci siamo conosciuti da adolescenti. Da allora abbiamo coltivato un amore sviscerato per questo meraviglioso sport in ogni occasione, crescendo nella pesca giorno dopo giorno, anche come coppia: devo tutto a lui».
Quale è la tua tecnica preferita?
«L’aspetto senza ombra di dubbio, una tecnica che sento mia e che ho praticato per anni in via quasi esclusiva, però sono fermamente convinta che un buon pescatore debba conoscere e mettere in pratica ciclicamente tutti i sistemi per fare carniere. Devo dire che mi sto riscoprendo anche una grande appassionata di serranidi. Insomma, la pesca è un mondo magico, in ogni sua sfaccettatura».
E la tua preda preferita?
«Senza alcun dubbio il dentice. Adoro andare a cercarlo al calasole quando, immobile sul fondo, studio i suoi movimenti eleganti e ammiro quella livrea inconfondibile di colori che si palesa mano a mano che si avvicina come un fantasma, cercando di non commettere alcun errore. È la sfida più grande sott’acqua, lui è il re che decide arbitrariamente di concedersi o no, quel momento magico in cui rimani quasi ipnotizzato dal suo avanzare regale e prepotente allo stesso tempo. Sei indeciso se sferrare il dardo mentre cerchi di governare i battiti accelerati del tuo cuore. Ecco perché è per me l’essenza più profonda della pesca».
Sei la campionessa italiana in carica. Come ti trovi in un mondo dove da sempre la pesca subacquea è considerato uno sport maschile?
«Sono rimasta colpita dal modo cordiale con cui una donna viene accolta dalla compagine maschile. Sono cresciuta in mezzo a tanti pescatori uomini che mi hanno sempre supportata, incentivata e si sono resi disponibili dispensando correzioni e consigli. Poi - come è noto - c’è sempre qualcuno che non accetta l’avvento in rosa in un ambiente da sempre misogino, accade in tutte le realtà, e si oppone mentalmente all’idea che una donna possa essere una buona atleta. La pesca è fatta di tante ore in acqua, tutto l’anno, di fatica, sacrificio e tenacia che si ottiene soltanto se si è costantemente in mare con tutte le condizioni, con l’acqua gelida, con poca visibilità, con forte corrente e onda: che tu sia uomo o donna, non cambia».
Entrando nello specifico, cosa non ti piace del regolamento in essere e come lo cambieresti?
«Credo fermamente che i regolamenti vadano lasciati fare a chi è competente in materia, chi è un’istituzione del nostro ambiente e ha ore e ore, anzi anni di esperienza di gare a ogni livello. Non sono nessuno per giudicare l’operato altrui, e per carattere non lo faccio mai. Ho parlato più volte di questo argomento con il grande Massimo Scarpati; è accaduto nelle nostre cene e posso dire che la sua visione moderna di questo sport, regolamento compreso, potrebbe essere la chiave di svolta per dare nuova linfa all’ambiente. Ma non voglio fare mia l’esposizione di un concetto così interessante, magari se ne avrai voglia, in futuro, potrai invitarci per parlarne».
Piombo mobile si o no?
«Sul piombo mobile credo che vadano fatte delle profonde e serie considerazioni. Non sono contraria al suo utilizzo in generale, seppure sono soltanto 3 anni che lo sperimento. All’inizio lo guardavo con circospezione, poi grazie al suo battesimo per mano del campione di sempre, Nicola Riolo, ho potuto testarlo assieme alla sua pregevole assistenza e infinita conoscenza. Mi rendo conto di aver avuto un maestro che pochi possono vantare, lo ammetto e ne sono orgogliosa. Ora lo tengo in gommone per utilizzarlo, però con la giusta parsimonia. Di sicuro non va impiegato con l’obiettivo di superare le proprie quote operative, piuttosto per agevolare tuffi ripetuti sullo stesso spot, senza affaticarsi troppo.
Se devo essere sincera mi spaventa l’uso che vedo farne da numerosi giovani nell’ottica di inseguire il raggiungimento a ogni costo di profondità, che però sono alla portata solo di veri campioni. Quindi, credo si debba sensibilizzare molto sull’argomento, si può pescare a tutte le quote operative, ognuno alle proprie, senza esagerare nella ricerca della performance estrema. È importantissimo per il suo utilizzo possedere delle eccellenti tecniche di compensazione e, soprattutto, avere sempre un assistente a bordo che segua l’evolversi dell’intero tuffo».
Ti va di raccontare un posto magico magari legato a un evento particolare?
«Ne avrei tanti da raccontare, ma mi soffermerò su un posto magico che mi ha rapito il cuore. Erano i primi anni dell’università, nel periodo di sessione estiva di esami e sia io che mio marito eravamo impegnati nel superamento di due importanti prove. Finito l’esame (per fortuna andato bene a entrambi), Paolo riceve la chiamata da uno dei nostri migliori amici, Angelo, anche lui accanito pescasub, che gli dice, “che facciamo Paolè, domani andiamo in Sardegna a pesca?”. Senza neanche pensarci abbiamo detto sì; erano anni in cui, da studenti, non avevamo grandi disponibilità economiche, seppure non ci mancasse nulla, e così siamo partiti l’indomani per una “zingarata” di pesca che ricorderò per tutta la vita. Abbiamo passato una settimana accampati con le tende nella costa nord orientale della Sardegna. Avevamo solo acqua, olio e pasta. Bisognava pescare per vivere e devo dire che ci siamo difesi alla grande, anzi abbiamo avuto il problema contrario con il cibo. Svegliarsi per fare le albate immersi nella natura più selvaggia, oppure rientrare stremati pinneggiando nei colori del tramonto sardo e poi condividere con gli amici veri quei momenti, è stata un’esperienza che non dimenticherò mai. Nessun comfort, nessun hotel a 4 stelle, niente bagno, niente doccia calda, solo mare e sole. Che bastavano per essere felici».
Il posto che ti piacerebbe visitare?
«Sono anni che ho un’idea in mente che, per un motivo o l’altro, ho sempre accantonato. Ma ora più che mai, soprattutto dopo l’esperienza Mondiale in oceano, è tornata prorompente nei miei pensieri: pescare nel mezzo dell’oceano Atlantico, nell’arcipelago delle Azzorre. Mi hanno parlato molto bene anche di Ascension Island, sempre in Atlantico. Vedremo…».
Fai parte del team C4 Carbon. Raccontati cosa significa…
«Sono cresciuta maneggiando i primi fucili monoscocca della C4, il primo 75 è stato il regalo di mio marito per la mia maggiore età, e sognando di poter un giorno indossare quelle fantastiche pinne che all’epoca non erano prodotte con la scarpetta del mio numero. Rivedermi oggi parte di questo team è per me motivo di orgoglio puro. Sono sempre stata “C4 dipendente” e mai avrei immaginato che un giorno sarei stata parte di questa grande famiglia, con accanto Campioni indiscussi come Umberto Pellizzari, Marco Bardi, Oscar Cervantes Riera, Ahmed Ben Salah, Andrea Calvino, Mariano Satta, giusto qualche nome per rendere l’idea. In tutta onestà, è stato come un sogno che si realizza, non avrei mai potuto immaginarmi altrove. Ricordo ancora la prima volta che sono entrata in azienda, ad accogliermi la fantastica Natalia Bonfanti, cuore pulsante della C4, con Marco Bonfanti e Marco Ciceri, persone prima di tutto uniche quanto rare, ma soprattutto grandissimi fuoriclasse del settore; li definirei genio e fiamma. Aver avuto il pregio di seguire la filiera di produzione da vicino è stata un’esperienza esaltante, un po’ come un bambino che vince il biglietto d’oro per varcare i cancelli della Fabbrica di Cioccolato del signor Wonka ed entrare così in contatto con il suo magico mondo».