E’ arrivata l’estate e con essa (si spera) anche i nostri carnieri sono più ricchi. In questo numero il campione pugliese ci spiega nei minimi dettagli l’importante fase di conservazione del pesce, che deve iniziare subito dopo la cattura, così da mantenere il gusto inalterato nel tempo
Luigi Puretti
Siamo in estate e tutti voi sognate la grande cattura, quel dentice o quella ricciola che nuotano regali attorno al cappello di una secca al largo. Questo mese, però, non mi voglio soffermare su come insidiarli, su come sparargli o su quale fucile usare. Voglio soffermarmi sul dopo, su quando, tornati a terra trionfanti con la vostra preda, dovrete conservarla nel migliore dei modi per gustarla poi in compagnia di amici fidati.
Premetto che se farete tutto per bene, seguendo i miei consigli, avrete una qualità del pescato che neanche nel miglior ristorante o nella migliore pescheria riuscirete a ottenere.
Per riuscirci occorre prestare attenzione a due cose: il metodo di cattura e il rispetto della catena del freddo, che deve iniziare il prima possibile.
Ovviamente non prende neppure in considerazione i pesci di allevamento poiché nulla centrano con quelli presi in mare. Ma non solo. C’è da fare un distinguo anche tra quanto catturato con il fucile e quanto, invece, prelevato dai professionisti con, ad esempio, reti o palamiti. In questo caso tali strumenti vengono lasciati in mare per svariate ore e se un pesce ci finisce dentro subito, all’inizio, oltre a un grande stress muscolare (lo stesso accade pure durante i combattimenti con la canna) potrebbero subire un certo deterioramento delle carni a causa della lunga permanenza in acqua, soprattutto in estate, quando le temperature del mare sono elevate. Mentre il pescatore in apnea uccide subito o quasi la preda (tranne rare eccezioni) e altrettanto velocemente la recupera. Ecco perché sarebbe un peccato sprecare questa situazione ottimale facendo qualche errore durante la conservazione.
Per capire se il pesce in oggetto ha cominciato a subire un certo deterioramento guardiamo le branchie, che devono essere di un bel rosso acceso e non tendenti al rosa e sentiamo la carne, che non deve essere molle; lo stesso dicasi per l’occhio, che subisce un certo appannamento. Questi sono i chiari segni che il pesce non è ben conservato.
Dunque, appena presa una preda mettiamo subito fine alle sue sofferenze. A me non piace bucare il cranio, poiché si rovina, preferisco passare con la lama del coltello da sotto le branchie fino a incontrare il duro, spingere forte e uccidere all’istante l’animale. Da evitare anche l’abitudine di passare il cavetto negli occhi, che è davvero brutto.
Poi, si passa a eviscerare il pesce. Facciamolo in mare, che è molto più comodo, veloce e non sporchiamo casa. Basta infilare il coltello nell’apertura anale, procedere verso la testa passando tra le due pinnette ventrali fino ad arrivare alle branchie. A quel punto si tolgono gli organi interni e anche le branchie, che con gli organi sono le prime a deteriorarsi e dove prolificano anche i batteri dopo la morte, andando a contaminare le carni.
Consiglio inoltre di grattare con la punta del coltello la spina dorsale per rimuovere ogni residuo di sangue. Questo, infatti, ha un sapore sgradevole che potrebbe rovinare il gusto del nostro pesce.
Si può scegliere se tenere o meno le squame. Dipende dal tipo di cottura che andremo a fare. Se si tolgono c’è il vantaggio di poter mangiare la pelle (a chi piace); se si tengono, la carne mantiene maggiormente la cottura, non si secca e rimane più umida.
A questo punto si sciacqua bene il tutto, si asciuga e si mette subito in un igloo pieno di ghiaccio; così il pesce rimane fresco per una giornata intera. Evitiamo assolutamente di tenere le prede in cintura (se si dispone di un gommone) ed evitiamo anche di buttarle sul pagliolato poiché si accorciano enormemente i tempi di conservazione di qualsiasi pesce.
Arrivati a casa, per prima cosa vanno asciugati accuratamente, evitando ristagni di liquido soprattutto nella zona della pancia. Poi, con la pellicola trasparente si avvolge completamente il pesce andando a creare una sorta di umidificazione; questo serve poiché mettendo la preda in frigo le carni tendono a seccarsi. Quanto detto vale per prede di taglia medio piccole. Un procedimento che, se effettuato correttamente, consente di conservare il pesce anche per sei o sette giorni. Un’affermazione che potrebbe far storcere il naso a qualcuno; si dice infatti che il pesce va consumato da fresco. Ma è sbagliato generalizzare: dipende intanto dal tipo di preda. Alcune specie che hanno la carne molto delicata, come la mostella, la triglia, la palamita, vanno consumate fresche, il giorno stesso o l’indomani, ma per saraghi, dentici, cefali, orate e via dicendo vale quanto detto in precedenza. Anzi, per questi ultimi il consumo da freschissimo lo sconsiglio, a meno che non si tratti di esemplari di taglia piccolissima. Per gli altri occorre un certo tempo di frollatura per evitare quella stopposità poco gradevole; la stessa che si avverte ad esempio sulle grosse prede, come i dentici oltre i 5 chili.
Parlando con i vecchi pescatori ho capito che più il pesce è grosso e più cala il suo prezzo. Però, non ritengo che sia corretto. A patto di aspettare. Ricordo di avere preso una grossa cernia bruna e di aver riscontrato che se consumata subito, dopo uno o due giorni, è assolutamente immangiabile sia come sapore che come stopposità; dopo tre o quattro giorni diventa commestibile e dopo cinque o sei è ottima.
Per i pesci di grossa dimensione (dentici, ricciole, cernia) occorre rispettare la catena del freddo appena descritta e, arrivati a casa, si passa a sfilettare la preda (sul mio canale You tube potete vedere il video); i filetti vanno poi asciugati e infilati dentro delle buste per il sottovuoto. Per farlo servono macchine apposite; quelle non professionali si trovano a costi più che accessibili. Infine, si mettono in congelamento o in surgelamento. Nel primo caso si tratta di un procedimento più lento e si vanno a formare dei grossi cristalli di ghiaccio che tendono a rompere le fibre del pesce, mentre con il surgelamento (tramite un abbattitore) il processo è molto più veloce e la carne mantiene una qualità migliore poiché si formano solo dei micro cristalli di ghiaccio che non rompono le fibre. Non tutti sanno che i filetti che andremo a ricavare non sono uguali tra loro. C’è ad esempio la parte della pancia, che è più grassa e ricavarne la ventresca, la parte della coda, che è più fibrosa e adatta ad altri usi, e via dicendo.
Tenete poi presente che per il consumo di pesce crudo il surgelamento è obbligatorio per scongiurare il rischio di Anisakis, un parassita che causa problemi se ingerito.
Quando andremo a consumare i filetti è importante scongelarli gradualmente, senza sbalzi repentini di temperatura, che potrebbero provocare contaminazione delle carni. L’ideale è riporli in frigorifero la sera prima e, alla mattina dopo, aprire la busta e asciugare i filetti, eliminando i liquidi, poi rimetterli in frigorifero e toglierli solo prima di cuocerli. Vi assicuro che se avremo fatto tutto per bene sarà molto difficile riconoscere un pesce fresco da uno conservato per qualche mese.
A questo punto siete pronti ai fornelli per valorizzare il vostro pesce al meglio. Ma di questo ne parliamo in un prossimo articolo.