Che lo si pratichi in poca acqua o in profondità, non è mai semplice poiché le variabili sono sempre tante. Occorre curare ogni dettaglio dell’azione, studiare il fondale e il percorso migliore, la posizione del sole e cercare di prevedere cosa si potrà incontrare. Servono fucili dal tiro lungo e dall’ottimo brandeggio e, soprattutto, una pesata perfetta
Roberto La Mantia
In questo secondo capitolo dedicato alle tecniche, parleremo di quella che più mi ha appassionato da giovane, ovvero l’agguato, un modo di pescare che mi diede (e mi da tuttora) tante soddisfazioni, regalandomi catture in quei fondali dove è molto impegnativo portare a casa qualcosa.
Il massimo che si può ottenere è arrivare a colpire la preda prima che si sia accorto della nostra presenza, quando, ancora intenta a mangiare, è distratta quanto basta per non accorgersi di noi, azione che sviluppa un certo compiacimento nell’ego di chi la realizza.
La strategia di caccia, per quanto possibile, dovrà essere pianificata prima di entrare in acqua, immaginando quella che potrebbe essere la direzione da prendere rispetto al sole e alla corrente, o seguendo un percorso che sfrutti a nostro vantaggio tutte quelle rocce e quegli avvallamenti che si trovano tra noi e la preda, così che ci possano nascondere non solo alla vista, ma soprattutto dall’individuazione delle nostre vibrazioni tramite la linea laterale del pesce, organo di senso che gli permette di percepire i movimenti di un eventuale predatore nei paraggi.
Per questo motivo risulterà determinante essere silenziosi, ma soprattutto “invisibili” sia per quanto riguarda le vibrazioni che produrremo che nel saper nascondere la nostra sagoma agli occhi della preda. Nel caso in cui, tra noi e il pesce, non esistano ripari, avremo due opzioni: restare fermi e con un aspetto cercare di incuriosirlo con dei richiami, oppure procedere lentamente nella sua direzione puntando tutto sui nostri movimenti e il nostro atteggiamento in generale, che non dovrà mai risultare aggressivo, al fine da rendere la nostra azione di caccia efficace; recitava così in un suo celebre video Giorgio Dapiran: “sarà come cospargersi di polverina magica che ci farà sparire alla percezione del pesce”.
Tuttavia, anche il nostro aspetto avrà una certa importanza. Ovviamente, se ci presentassimo con un lampeggiante acceso in testa faremmo fuggire tutto, quindi quantomeno avere una figura discreta può esserci d’aiuto, ma a volte ci si può spingere ancora più in là con la fantasia e un buon mimetismo potrebbe aiutarci a fare la differenza.
Personalmente, ritengo che puntare su questo non debba mai prescindere da quelle che sono le nostre abilità di cacciatori, quindi va assolutamente considerato un valore aggiunto alla nostra bravura e non la soluzione per arrivare prima e meglio all’obiettivo.
In commercio esistono mute con le più svariate colorazioni mimetiche, ci sono sia capi lisci che foderati con cromie di diversa ispirazione, perciò basta scegliere quella che ci piace di più o che riteniamo più adatta al fondale in cui peschiamo di solito.
Oltretutto, a completare il mercato per i più fanatici di questa teoria, alcune aziende hanno sviluppato accessori del tutto simili all’ambiente marino, con prodotti che spaziano dalle mute con le frange per simulare la posidonia ai cappucci di tessuto da indossare come un “passamontagna”, che riproducono la vegetazione del bassofondo; pinne con pale trasparenti o mimetiche e ogni elemento possibile con colorazione che ricordi il più possibile la natura bentonica. Certo, vestirsi così a volte può apparire stravagante agli occhi di un passante che ci incontra per caso durante la vestizione, ma se poi tutto ciò risulta davvero efficace, la vergogna ogni tanto si può anche mettere da parte.
In ogni caso si parla sempre e comunque di teorie e la certezza di sapere come vedono esattamente gli occhi dei pesci purtroppo non l’abbiamo e per decidere se farci prendere in giro o meno dallo spiritoso di turno, rimangono soltanto le certezze che ci suggeriscono le esperienze personali.
Ecco perchè dopo esserci preparati “esteticamente” come meglio crediamo, bisognerà concentrarsi sulla pesata da usare, preventivamente studiata in modo attento in base alla profondità a cui si intende andare. Infatti, andrà calibrata in base alla batimetria e allo spessore della muta che indossiamo, perché risultare troppo positivi o troppo negativi comprometterebbe la nostra acquaticità e l’efficacia dell’azione.
È anche possibile doverci dotare di uno schienalino in aggiunta per non gravare troppo sulla schiena, un accessorio che ci permetta di rimanere ben fermi sul fondo, soprattutto in caso di risacca.
Il fucile dovrà essere un’arma medio lunga, dotato di mulinello e allestito con la tahitiana; non necessariamente dovrà avere una massa importante, piuttosto punterei su un brandeggio più agevole.
Al momento della capovolta, è importante sapere già quale sarà il percorso da compiere e in quale direzione sceglieremo di proseguire e, come già accennato, meglio se ci darà la possibilità di avere il sole alle spalle.
Altra cosa da tenere in considerazione, è controllare l’andamento delle maree. Anche se non esiste una scienza esatta e il discorso è più complesso di quanto si creda (infatti, molti affermano che l’attività maggiore dei pesci è il risultato dell’interazione tra le maree e la contrapposizione sole-luna), qualcosa di vero in tutto questo sono sicuro che ci sia. Non per niente la presenza del pesce in un dato luogo non è costante nell’arco della giornata, ma varia a seconda dell’orario e, quindi, anche del movimento che le escursioni di marea creano sul fondale.
Se ci immergiamo in una zona di bassofondo con molti scogli affioranti, si può pensare di praticare un agguato cosiddetto di superficie. Sfruttando le rocce sarà possibile catturare un pesce anche senza immergersi. Le regole da seguire saranno sempre le stesse, ma le difficoltà per noi aumenteranno a causa della maggiore sospettosità della preda nel bassofondo.
In generale, la scelta migliore sarà quella di adattare l’agguato al contesto morfologico del fondale, passando da percorsi in superficie ad altri in immersione, sfruttando i possibili ripari. Alla direzione che decideremo di percorrere aggiungeremo anche l’essere entrati per primi in quel tratto di mare; questo ci garantirà che l’eventuale preda non sarà già stata disturbata dalla presenza di un sub che ci ha preceduti. Per questo motivo la decisione di immergersi alle prime luci dell’alba, anche se per molti come me potrebbe essere un sacrificio, è sempre preferibile.
La boa dovrà avere le dimensioni più ridotte possibile, però sempre con la bandierina ben visibile, con una sagola in nylon che non ci faccia notare o percepire tramite le sue vibrazioni e, quando possibile, sarà meglio pedagnarla per pescare nelle vicinanze. Purtroppo, agguato e pallone non vanno molto d’accordo e la possibilità che il filo si impigli tra le rocce durante gli spostamenti è elevata.
Possiamo incontrare anche prede di mole, come grosse lecce, cernie o dentici in caccia, ma più comunemente vedremo orate, saraghi, cefali e spigole. Insomma, le possibilità sono tante e cambiano rispetto alla stagione o al posto.
Preferisco dedicarmi all’agguato partendo da terra, a nuoto, in autunno o in inverno, possibilmente con mare formato e acqua torbida, meglio ancora durante una scaduta di mare (l’acqua pulita dalle mie parti rende il pesce molto sospettoso e la scarsa presenza di nutrienti, dovuti alla poca corrente, riduce anche la presenza dei predatori), ma nel caso si esca in gommone l’ideale è alternarsi con un compagno facendo staffetta. In questo modo ci metteremo nelle condizioni di poter ispezionare lunghi tratti di costa senza sovrapporci.
La presenza di mangianza ci aiuterà a volte a capire la zona migliore e saprà consigliarci se insistere in quel posto oppure indicarci la direzione da dove potrebbe sopraggiungere un pesce, ma non sempre sarà determinante e quindi va considerata a seconda della situazione. Ad esempio, se un sarago sgranocchia il suo pasto non spaventerà mai nessuna castagnola; anzi, potrebbe attirare sparidi più piccoli e meno scaltri di lui, che avvicinandosi diventerebbero loro indizi importanti per farci intuire la presenza di un pesce più grande nelle vicinanze.
L’agguato profondo sostanzialmente si avvale delle stesse regole appena descritte, a condizione che si comprenda nell’azione di caccia anche il momento della discesa, che dovrà essere sempre sfruttata a proprio vantaggio, cercando di avvistare la preda già in questa fase, così da essere pronti nella direzione giusta al momento dell’appostamento.
Imbracciando fucili più lunghi rispetto a quelli usati nella risacca, sarà possibile portare a tiro anche grossi serranidi, specie molto intelligente e scaltra soprattutto dalle mie parti, che poche volte ci permette di colpirla quando è fuori tana. Però, con un agguato a “regola d’arte” ciò diventa possibile e il recupero del serranide non avrà problemi.
Le variabili in ogni tuffo sono diverse e per interpretarle al meglio serve la solita esperienza e l’istinto venatorio del bravo cacciatore. I sensi devono essere sempre in allerta per cercare di anticipare il pesce e ogni dettaglio può risultare fondamentale ai fini della cattura. Urtare una roccia nel momento sbagliato o, piuttosto, essere rivolti dal lato opposto a quello di avvicinamento della preda, sono tutte cose che possono capitare e rendere vana la cattura. L’importante è non perdersi d’animo e imparare dagli errori; con la perseveranza prima o poi la gioia arriverà e sarà ancora più grande.