Un’intensa e avvincente settimana navigando e immergendosi in uno degli arcipelaghi più spettacolari d’Italia e, forse del mondo, quello della Maddalena
Max Tavernari
Il nostro viaggio inizia con l’arrivo in porto a Olbia il 21 ottobre. La notte passata in cabina sul traghetto è stata gradevole e siamo belli riposati, giusto in tempo per uscire sul ponte e goderci il sorgere del sole che fa capolino dietro Tavolara. Sbarcati dalla nave e raggruppati tutti i membri dell’equipaggio, provenienti da imbarchi diversi, via a far colazione in uno dei tanti e carini bar sul lungo porto di Olbia.
La prima destinazione è la marina di Cala dei Sardi, dove siamo attesi per le operazioni di check-in dell’imbarcazione, un catamarano Lagoon 38, con 4 cabine doppie e due cuccette, in grado di ospitarci tutti e 9 comodamente. L’equipaggio è composto totalmente da appassionati di mare, apneisti e pescatori, ma anche da amanti della vela, donne e uomini desiderosi di scoprire le bellezze che la Costa Smeralda offre sia sopra che sotto la superficie. Il meteo prevede vento forte da ovest, sud-ovest per tutta la settimana, ma sicuramente la posizione dell’arcipelago e le tante isole che lo compongono garantiscono, per fortuna, la possibilità di trovare sempre un ridosso dove ripararsi.
“Svaligiato” il supermercato più vicino per approntare la cambusa e sistemata sull’imbarcazione tutta l’attrezzatura, siamo finalmente pronti a partire. Le giornate iniziano ad accorciarsi e avendo preso il mare per le 17, decidiamo di ormeggiare per la notte a Cala Liscia Rua, che è poco distante. Il silenzio intorno a noi è il primo segnale che ci ricorda l’inizio della vacanza e riempie le nostre orecchie “cittadine”, mentre il tramonto sulla baia diventa un richiamo irresistibile per il primo tuffo: in 5 minuti siamo quasi tutti in acqua.
GIORNO 2, Domenica – Isola dei Poveri
In catamarano le cabine sono confortevoli, ma è troppa la voglia di godersi lo spettacolo dell’alba per dormire e l’indomani ci ritroviamo tutti svegli presto. La prima tappa del nostro itinerario è l’Isola dei Poveri, nel canale tra il Romazzino, delimitato a sud da Punta Capriccioli e a nord da Punta Capaccia e la riserva marina delle Isole Mortorio e Mortoriotto.
Tutto intorno alle zone emerse, caratterizzate da basso fondale granitico e posidonia, sono presenti sulla carta e, a detta di amici, diverse zone interessanti. Sono però parecchio battute e caratterizzate da importanti salti di batimetrica. Le risalite principali sono delimitate a sud da un fanale a lampi bianchi posto su uno scoglio, mentre a nord da una meda cardinale in cemento, che risulta spezzata e che viene segnalata come pericolosa per la navigazione, in particolare di notte.
Che sott’acqua il fondale sia interessante lo testimoniano i due gommoni di pescatori che ci girano intorno appena arrivati sul posto. Decidiamo di dividerci in due gruppi in modo di soddisfare al meglio le varie preferenze, uno dedicato allo snorkeling e uno alla pesca. Noi pescatori prendiamo il tender in dotazione e ci dirigiamo verso una delle risalite che più ci colpisce.
La giornata è ventosa da ovest, però il mare è calmo e non ci sono problemi per il nostro 6 cv. Ancorati sul sommo più rialzato, una volta sceso in acqua rimango affascinato dalla bellezza del fondale: massoni granitici grandi come autobus che risalgono fino a 6 o 7 metri sotto la superficie, per sprofondare bel oltre i 20, 25 metri di quota lasciandosi intorno una varietà di pietre accatastate più piccole, che danno vita a interessanti spaccature.
La corrente è quasi assente, la temperatura dell’acqua è intorno ai 23 gradi e fin dalla superfice si vede una particolare attività di pesce, dalle castagnole ai branchi di salpe e saraghi fasciati. In zone come queste è sempre preferibile impostare da prima degli aspetti sulle parti più alte dei massi perché possono sempre arrivare delle sorprese e comunque è utile, vista la notevole visibilità dell’acqua, valutare la presenza o meno di predatori o di pesce che staziona più in profondità. Giuseppe e Antonio fanno i primi tuffi sui sommi più avanzati, mentre io li assisto. Mi confermano la presenza di pesce con l’avvistamento di un branco di corvine, non di grossa taglia e di icciolette.
Decido quindi per un tuffo un po’ più fondo, alla base della risalita. Durante la discesa, attirato dalla presenza di qualche sarago maggiore di taglia, mi dirigo verso una zona d’ombra tra due massi e con la coda dell’occhio noto una coda che si infila proprio nella parte più buia del sasso. Impugno la torca e vado a controllare. La tana è profonda all’interno e in una crepa intravvedo una cernia messa di taglio. Pedagno il punto e risalgo. Avviso i ragazzi di farmi assistenza e nel mentre prendo il mio fido 82 doppio elastico. Il tiro successivo, seppur lungo, è preciso e dopo il necessario doppiaggio, visto la mole del pesce, la cernia sale in gommone, diventando, con i suoi 8,5 chili di peso, l’ospite d’onore delle nostre cene nei giorni successivi.
Rientrati al catamarano, insieme con il gruppo snorkeling, è tempo per qualche foto di rito e per togliersi l’attrezzatura e riprendere la navigazione, rigorosamente a vela, verso la nostra successiva rada, che sarà Porto Palma, nella zona sud di Caprera, che con la sua tranquillità ci cullerà fino al giorno successivo.
GIORNO 3, Lunedì – Isola di Lavezzi
La giornata è di quelle importanti, non solo perché la nostra destinazione, il parco marino dell’isola di Lavezzi, è nelle aspettative la metà principale della nostra crociera, ma soprattutto perché le condizioni di vento teso, anche oltre i 30 nodi, e di mare formato, che ci aspettano nello stretto di Bonifacio, richiederanno l’impegno di tutti per gestire la navigazione a vela.
Dopo quasi 3 ore di bordi, di virate e strambate, arriviamo in questo paradiso, un piccolo arcipelago di scogli granitici emersi, di colore grigio chiaro, che riservono sott’acqua gli spettacoli più incredibili e che sono meta ogni anno di tantissimi subacquei e apneisti. Esiste addirittura una zona di secche, con il cappello intorno ai 18, 20 metri, denominata “Merouville” o “Case delle Cernie”, dove è possibile ammirare una trentina di cernie brune, di grosse dimensioni che, abituate alla presenza dell’uomo, si lasciano avvicinare senza timore.
Condizionati dal meteo, cerchiamo da subito una zona idonea dove posizionarci e disporre i cavi per l’apnea, in modo da poter conciliare un po' di allenamento e tecnica, alla vista dei bei pesci. Purtroppo, il vento è davvero forte e non garantisce i requisiti minimi per un lavoro in sicurezza, quindi siamo “costretti” (bel termine quando ti trovi in questi paradisi) a ripiegare su un’uscita di snorkeling, dopo aver ancorato a Cala Giunco.
Quello che abbiamo poi visto in mare è stato davvero unico, complici anche l’acqua cristallina e la temperatura gradevole che sicuramente hanno reso il tutto ancor più piacevole. Appena scesi in acqua, nella baia, siamo stati accolti da un grosso branco di Barracuda, circa 500, 600 pesci, stimati dal chilo ai 3 chili, che ci lasciavano nuotare in mezzo a loro quasi fossimo parte del branco. Proseguendo lungo la costa, tante le cernie, le corvine e ii saraghi maggiori, anche in pochi metri d’acqua. Un’ esperienza incredibile per tutto il gruppo, me compreso, che probabilmente risultavo essere il più abituato a certi spettacoli subacquei.
Ripresa la navigazione, approdiamo per la notte al porto di Bonifacio, un fiordo che si dipana profondamente all’interno della costa e che è caratterizzato da alte scogliere a picco, di roccia bianca. Scherzando (ma non troppo) le paragono sempre alle bianche scogliere di Dover, in Inghilterra. Qui riprendiamo un po’ il contatto con gli “altri” e con le luci cittadine, i bar, i ristoranti, anche se personalmente non mi mancavano quasi per nulla.
GIORNO 4, Martedì – “Merouville” E Porto Pollo
L’indomani il mare sembra leggermente calato, anche se le previsioni, nello stretto, danno vento da ovest che rinforza ulteriormente verso metà mattina. Così, di buon’ora, proviamo a dirigerci su “Merouville” per provare a fare un po’ di cavo in mezzo alle cernie.
Il mare permette una navigazione tranquilla e il vento, riparati dietro dall’Isola di Lavezzi, non è particolarmente fastidioso quindi, arrivati sulle secche nella parte nord-ovest dell’isola, ci prepariamo per una sessione lungo il cavo. Indossata l’attrezzatura e filata la cima, fin dai primi tuffi ci colpisce la suggestività del fondale, reso più scuro dalla mancanza del sole, ma la grande trasparenza dell’acqua e la visibilità di almeno 25 metri lascia intravvedere poco più spostati i grossi massi granitici della secca.
Subito un branco di ricciole sui 3/4 chili ci viene a far compagnia durante le nostre discese. I tuffi si alternano piacevolmente grazie alla quasi totale assenza di termoclino, peccato che le previsioni si rivelino corrette e improvvisamente, nell’arco di 10 minuti, le condizioni diventino insostenibili e ci costringano ad abbandonare la possibilità di salutare le amiche cernie.
Risaliti in catamarano, ci rendiamo subito conto che la traversata di rientro in Sardegna non sarà banale. Il vento aumenta minuto dopo minuto, fino a raffiche di 40 nodi e onde di 2 metri al mascone che ci investono di spruzzi salati, mentre l’adrenalina sale. L’arrivo per la sera a Porto Pollo, con la sua profonda insenatura riparata, finalmente ci regala un po' di pace, mentre fuori il vento non tende a placarsi, per la gioia dei kite surfers che si alternano in molteplici evoluzioni. Per noi, invece, è proprio il caso di dire, la quiete dopo la tempesta.
GIORNO 5, Mercoledì – Punta Sardegna e Capo D’Orso
Nella seconda parte della settimana, l’itinerario prevede di visitare le principali e più belle punte rocciose lungo tutta la costa, procedendo verso sud. La prima destinazione della giornata è Punta Sardegna, che domina il tratto di mare, al di fuori dalla riserva marina, tra l’isola di Spargi e Isola de La Maddalena. Dalla carta nautica e dalle informazioni ricevute, la zona si presenta interessante per la pesca, con tanti e repentini salti batimetrici, che permettono di raggiungere in un baleno profondità oltre i 30 metri.
Il vento è ancora forte, ma in questo caso ce lo troviamo al giardinetto e non ci dà particolari problemi in navigazione, purtroppo però rende impraticabile tutta la zona nord-est della punta, sicuramente quella più avvincente; non ci rimane che aggirarla a ridosso per ancorare il catamarano a Cala Martinella. Qui decidiamo di effettuare una prima sessione di apnea, sfruttando la profondità a disposizione e poi si dedicarci a un po' di pesca scorrendo il lungocosta verso la punta.
Purtroppo, da questo lato, il fondale si presenta abbastanza piatto, almeno fino a che non raggiungiamo una serie di grossi scogli emersi, subito prima del faro, che muoiono su sabbia e posidonia aduna profondità di 16, 17 metri. Questo particolare punto, segnalato anche per le immersioni diving, è davvero suggestivo e frequentato da grossi saraghi in movimento tra i massoni, che però non hanno alcuna voglia di farsi avvicinare. Decido di provare qualche lungo agguato e riesco a catturarne uno sul mezzo chilo con un bel tiro al volo.
Proprio durante un agguato, mentre aggiro uno degli scogli più esterni, capisco il motivo della rilevanza di questo punto per le immersioni. Infatti, posizionata sul fondale, scorgo una bellissima scultura, di almeno 2 metri di altezza, raffigurante una sirena. Proseguendo poi verso la punta, la corrente diventa insostenibile; pur pinneggiando non si riusciva ad avanzare nemmeno di un metro, quindi non ci restava che rientrare in barca.
Poniamo la prua verso la prossima meta, Capo d’orso, distante solo qualche miglia nautica, che si trova di fronte a l’Isola di Santo Stefano e l’isola di Caprera e che prende il nome da una roccia a forma di testa di orso che domina la cima più alta. Il vento forte continua a farla da padrone e seppur divertente per la navigazione a vela, sta condizionando di molto le nostre giornate, tanto che anche qui tutta la parte batimetrica più bella, a nord ovest del faro, non permette un ancoraggio sicuro. Così, complice l’orario e il ristoro caldo ricevuto sulla barca, dopo le precedenti immersioni, decidiamo di fare i “turisti” e goderci una breve discesa a terra per visitare il suggestivo faro, prima di dirigerci verso la baia delle Saline e ancorarci per la notte di fronte a Porto Mannu.
GIORNO 6, Giovedì – Capo Ferro
Quante volte ho sentito parlare di Capo Ferro, nei mitici video di Dapiran, finalmente potrò vederlo dal vivo. Infatti, pur avendo girato la Sardegna in lungo e in largo, la Costa Smeralda è l’unica zona che mi mancava e non vedo l’ora di scoprirne le bellezze sotto la superfice.
Dopo svariati giorni di alzate all’alba, decidiamo di goderci uno degli ultimi risvegli e delle ultime colazioni in barca con un pò più di relax. La nostra meta dista solo poche miglia di navigazione e verso le 11 arriviamo a est del faro, mettendoci alla fonda in una piccola insenatura ridossata dal vento, dietro la punta. Verso sud, Punta di Calagranu attira subito la mia attenzione. I grossi massi emersi che si susseguono in mare contraddistinguono un fondale che sulla carta nautica evidenzia una molteplicità di risalite che vanno verso il largo. Purtroppo, il catamarano non è dotato di strumentazione sonar in grado di leggere il fondale e quindi non ci rimane che basarci sulle nostre intuizioni e andare a verificare.
I gruppi si dividono, uno a riva nel sotto costa, mentre io e Linda, aspirante pescatrice, ci dirigiamo verso le risalite che avevo identificato precedentemente. Il fondale è davvero bello, con queste schiene di roccia longitudinali rispetto alla costa staccate l’una dall’altra, intervallate da posidonia e qualche masso isolato. Un posto ideale per il razzolo e mixare le tecniche principali.
Già alla prima sommozzata mi rendo subito conto dell’abbondanza di specie che caratterizza la zona, dentici, saraghi maggiori, grossi tordi e marvizzi si alternano davanti a me, ma sicuramente non mi aspettavo, a queste latitudini, di vedere anche un pesce pappagallo! La prima volta li avevo incontrati solo a Lampedusa nel 2005 e qualche anno più tardi in Sicilia, certo non avrei mai pensato di trovarli anche nel nord Sardegna, sintomo della tropicalizzazione che sta subendo il nostro mare.
I tuffi si susseguono, come alle catture, portando a un bel carniere variegato, per la gioia dei cuochi e dell’equipaggio. Verso le 16 rientriamo in barca e decidiamo di dedicarci un po’ alla navigazione a vela, risalendo a nord verso Caprera, dove passiamo dal Passo della Moneta fino ad arrivare a Baia Giardinetti per la notte.
GIORNO 7, Venerdì – Secca del Cervo e Isola delle Rocche
L’ultimo giorno, ahimè, è arrivato, mentre in realtà tutti vorremmo fosse di nuovo il primo. Il vento fuori ha ulteriormente rinforzato rispetto ai giorni precedenti, creando onde anche di 2,5 metri. In mare non c’è nessuno, è solo nostro. Per tornare verso Cala dei Sardi ci aspetta un lungo tratto di navigazione in direzione sud, costeggiando le suggestive coste rocciose di Caprera. Per fortuna, come da previsione, sarà quasi totalmente con vento e mare di poppa… anche se la cerata è d’obbligo.
Vento permettendo, le ultime mete del nostro itinerario subacqueo sono la Secca del Cervo e l’Isola delle Rocche. La prima è una secca estesa che si allarga molto verso il largo, proprio alla sinistra dell’insenatura di Porto Cervo, segnalata da una meda e caratterizzata da un fondale ricco di risalite, simile a quello trovato a Capo Ferro, quasi ne fosse un’estensione. La seconda, è un isolotto che dista solo un centinaio di metri dalla costa, subito a sud delle Isole di Li Nibani, che invece sono parco marino.
Peccato perché la Secca del Cervo risulta troppo esposta al forte vento, rendendo impossibile una gestione in sicurezza di ancoraggio e attività in acqua, per cui non ci rimane che dirigerci a ridosso, dietro l’Isola delle Rocche. Il fondale della punta a nord di Porto Liccia si presenta interessante, caratterizzato da franate e grossi massi granitici che si staccano dalla costa e cadono sui 18, 20 metri, intramezzati da qualche lingua di sabbia e rocce accatastate. Luogo ideale per insidiare più varietà di pesce, sia al libero che in tana, tant’è che avvisto dapprima un grosso barracuda in caccia, alla base dei massi più esterni, e poi una corvina, che però riesce a evitare la mia asta tra gli anfratti di uno spacco.
Alla fine il risultato della nostra uscita è uno scorfano e qualche polpo ma, limitati dalle condizioni di vento teso che si incanala nella baia di Porto Liccia e dall’orario di riconsegna della barca, ci riteniamo comunque soddisfatti, avendo procurato qualche altro buon pesce per la cena conclusiva della nostra vacanza.
In conclusione
Unire le passioni per l’apnea e per la pesca con la vela è sicuramente un’esperienza affascinante e bellissima, che permette di vivere a pieno le emozioni che il mare ci riesce a donare, tornando ad apprezzare il fascino delle cose semplici, a patto, però, di farlo con un gruppo di persone che si dimostrino affiatate e in grado di adattarsi.
Ora non ci resta che aspettare la prossima avventura salata.