Abruzzese di Lanciano, classe ‘82, entra a fare parte delle storia dei parasport apneistici grazie a 2 medaglie d’oro nella prima edizione del Mondiale di apnea e nuoto pinnato indoor per persone con disabilità
Filippo Carletti
Ciao Ilenia, raccontaci com'è andata questa competizione…
«Ho partecipato e vinto in dinamica con pinne e senza. La competizione è iniziata con il Dnf (dynamic no fins). Tieni presente che la mia specialità è la dinamica con pinne, perciò è stato tutto subito in salita, anche perché non avevo mai provato una vasca da 50 metri. Inoltre, erano tante le atlete presenti e competitive. A ogni modo, la storia dei parasport è fatta di carattere e di tenacia, perciò non mi sono data per vinta, ho cercato di non farmi prendere dal panico e di vivere il tutto con un mindset da allenamento, cercando di proiettarmi in un contesto che conoscevo e dove mi sentivo più a mio agio. Ho sofferto molto i 50 metri percorsi con solo le braccia, ma il mio obiettivo era girarli e uscire. Quindi l’ho fatto, superando le altre e così è arrivato anche il titolo mondiale. Forse avrei potuto continuare, ma alla luce di questo grande successo è andata bene così. E’ stata la decisione giusta. Il giorno dopo, invece, ho gareggiato con la mia pinna. Sono subito partita con una sicurezza e una grinta completamente differenti. Anche la mia concentrazione era differente e mi sono da subito piaciuta per come stavo pinneggiando, per l’assetto perfetto. Ho quasi coperto 111 metri con una sola pinna. Mi sto piano piano avvicinando ai maschi, e ora questo sta rientrando tra gli obiettivi che mi sono data. Magari con il tempo riuscirò pure a riprendere Fabrizio Pagani, mio caro compagno di squadra che mi ha dato la forza. lui è stato tra i primi a iniziare l’apnea per disabili e oggi detiene un personal best di 135 metri».
Vuoi dirci qualcosa di più riguardo al mondo apneistico parasportivo?
«Posso dire che questo risultato arriva in un contesto in grande crescita. A questi mondiali partecipavano 9 nazioni, ma ci sono state molte richieste che però non sono riuscite a concretizzarsi per via dei tempi molto corti. La sensazione è quella di far parte di un movimento che sta aumentando. È bello sentirsi portatori di una cultura che, di fatto, prima non c’era e di una sensibilità, una visibilità e una consapevolezza completamente diversa circa le disabilità nel mondo dell’apnea. Speriamo tutti che questo possa essere un trampolino di lancio per i World Games in Cina e, chissà, magari anche per le Paralimpiadi.
Quello che stiamo facendo aiuta e rappresenta una comunità di persone con disabilità che invece di fermarsi abbattono un muro, e ci riescono scoprendo la competizione in un ambiente come l’acqua, dove il movimento diventa espressione delle proprie potenzialità.
Vedere tante ragazze che completano 80 metri in dinamica, scegliendo di provare perché magari hanno visto me, mi riempie il cuore. Penso di parlare a nome di tutti se dico che partecipare a queste competizioni per tante di noi è come un viaggio sulla luna, una realizzazione che permette di scoprire la forza e le capacità, specialmente in uno sport come l’apnea, che accomuna tutti gli esseri umani per il tipo di sforzo mentale e per quella capacità di trattenere il proprio respiro, disabili e non».
Come è iniziato questo tuo viaggio nel mondo dell’apnea?
«Quando nacqui mia mamma era malata di toxoplasmosi, perciò venni al mondo con una cecità completa dell’occhio sinistro. Sono sempre stata una sportiva e un’agonista. Correvo i 400 ostacoli, ero forte e mi piaceva gareggiare. Quel tipo di disabilità non è semplice da gestire, ma sono sempre riuscita a condurre una vita regolare. Soffro di ipoacusia bilaterale, arrivata dopo, che mi ha portato a perdere l’udito. Questo mi ha causato sofferenza, sia per l’acufene insistente che da lì è scaturito, sia perché stare tra persone e ascoltare i discorsi con gli apparecchi è estremamente stancante. Inoltre, nel 2015 un incidente in moto mi ha causato una lesione alla gamba destra e parte del braccio destro. La gamba è stata salvata, ma ho riportato parecchi danni, tra cui la caviglia completamente bloccata, così come femore e ginocchio. E sono persistenti anche i vari dolori scaturiti da artrosi, artrite, osteoporosi e altro. È una disabilità che ti porta a convivere con un certo dolore. Nel 2016 ho iniziato la terapia, ed è stato proprio lì che il mio ortopedico, già pescatore, mi ha suggerito di provare l’apnea. La mia voglia di competere mi ha portato ad approcciare le gare già dopo appena un anno, e grazie all’allenatore Piero Tomeo mi sono così affacciata a questo fantastico sport».
C’è qualche altro atleta che ti ha impressionato?
«Qualcuno c’è. È una ragazza di nome Dafne. Ha paralisi in tutto il corpo. Fino ai 20 anni era normodotata, ma poi un tumore al cervello le ha stravolto la vita. È stato di grande ispirazione poter vedere lei, ma anche la famiglia, partecipare a questo mondiale. Ha concluso una vasca di 50 metri a nuoto pinnato. Dopo quel momento ogni mio pensiero è sempre stato rivolto a quella incredibile dimostrazione di forza e coraggio. Penso che tutti dovrebbero vedere un’atleta così e anche una competizione così almeno una volta nella vita, perché di fatto cambia prospettive, pensieri e anche la concezione stessa di cosa sia possibile o impossibile. Ci sono stati altri atleti poi molto bravi, come i danesi e i russi».
Quanto conta l’approccio mentale e come lo alleni in una disciplina difficile come la dinamica?
«Per me l’80 per cento di tutta una prestazione in dinamica è mentale. Questa parte la consolido con letture, informandomi, partecipando a stage e non smettendo mai di approfondire respirazione, pranayama e altre componenti tecniche. Quando si parla di profondità, che è forse la disciplina più famosa dell’apnea, il desiderio di respirare per un momento scompare nella maniera più assoluta. Nella dinamica, invece, si può uscire quando si vuole, e questo mentalmente è la scintilla di un combattimento aspro con l’istinto di sopravvivenza e lo stimolo stesso di tornare in superficie. Affrontare la prima parte di contrazioni e continuare la prestazione da quel momento in poi, non è per niente semplice, ma io lo affronto portando con me tutte le persone con disabilità incontrate lungo il mio cammino. Penso a chi non può gareggiare, a chi non c’è più e mi concentro sul rendere possibile i miei obiettivi».
Come ci si prepara fisicamente e tecnicamente in una sfida mondiale per para atleti?
«Ho chiesto aiuto a varie aziende per materiali come la muta e le pinne, che non possono certo essere come quelle utilizzate da altri agonisti. Per la muta ho bisogno di avere le braccia estremamente libere, e utilizzando una sola gamba devo poter spingere nel modo più efficiente con una pinna studiata appositamente per quello. Ho lavorato tanto in palestra per riuscire a farlo, integrando anche sessioni di nuoto e apnea. L’apnea la alleno 3 volte a settimana, adattando le schede alle mie esigenze, che per forza di cose sono diverse rispetto ad altri. Il mio preparatore mi fa allenare anche con la squadra, e questo per me rappresenta uno stimolo enorme, che permette di confrontarmi con gli altri apneisti normodotati, adattandomi a diversi ritmi».
Perché hai scelto l’apnea? Quali sensazioni ti spronano a dare di più e a dedicargli sempre più tempo?
«Io odiavo l’acqua. Avevo paura del mare. Oggi ti dico che è il posto dove mi trovo più a mio agio. Nel momento che immergo i piedi spariscono i dolori alla caviglia e al ginocchio. Con la testa sott’acqua sparisce l’acufene ed entro in un mondo morbido e ovattato. Provo una sensazione di rilassamento e di tregua dal continuo sforzo e dolore. Così riesco ad andare molto oltre alla sensazione di non respirare. Riesco a concentrarmi sulla sensazione della freschezza sulla pelle, sullo scivolare e lo scorrere in acqua. È un mondo con meno barriere che mi fa desiderare di trascorrere 50 minuti di macchina per recarmi all’allenamento!».
Che rapporto hai invece con la profondità?
«Amo la dinamica e mi piace l’agonismo. Quando mi sono avvicinata per la prima volta alla profondità non scendevo neanche 3 metri. Poi, ho studiato la compensazione con Giovanni Bianco perché volevo riuscire a ogni costo. Tutti parlano di profondità e io volevo assolutamente provare quelle sensazioni. Alla fine, sono riuscita a scendere fino a 37 metri. Non appena ho raggiunto la fase di caduta, ho capito cosa intendessero le persone quando raccontano che in mare è tutta un’altra storia. Ti sembra di volare sulla luna ed è assolutamente una delle sensazioni più belle che abbia mai sentito. Tuttavia, non è ancora una disciplina che sono riuscita a fare mia, perché non sono di mare, e non ho ancora sviluppato intimità con questo ambiente. Romanticamente però ne sono attratta, come allo stesso modo mi piace ammirare i pescatori e vorrei provare il tiro subacqueo. Il mare, la pesca, la profondità. Sono tutti elementi che voglio capire meglio e che studierò per riuscire a comprenderli di più».
E invece come va con l’apnea statica?
«Questo è il vero tasto dolente! Quando sento parlare di statica mi viene l’ansia. Riesco a stare più sott’acqua in dinamica che stando ferma! In allenamento faccio stop and go da 4 minuti e mezzo, eppure, da ferma, ho problemi a non respirare per più di 3 minuti. Forse questo è anche, almeno in parte, legato alla mia disabilità. In dinamica hai sensazioni, rumori e percezioni completamente diverse, mentre appena mi fermo il mio acufene diventa molto forte. Devo trovare un approccio e un modello da seguire».
Quali sono i prossimi obiettivi?
«Per continuare a fare profondità devo procedere con l'operazione di chiusura del forame ovale pervio, che già in passato mi ha causato delle ischemie cocleari e a seguito delle quali ho perso l’udito. In 5 mesi dovrei essere a posto, tra giugno e luglio potremmo anche pensare di provare qualche nuovo record verticale! Sicuramente un altro obiettivo è il Cmpionato italiano di apnea paralimpica che si terrà il 20 e 21 aprile a Torino, presso la piscina Trecate, organizzato dalla Asd La Salle Eridano su incarico della Fipsas. Inoltre, il mio desiderio è quello di partecipare ai World Games che si terranno ad agosto 2025 in Cina. Potrebbe essere un trampolino di lancio per le paralimpiadi del 2028 per la dinamica. Staremo a vedere!»
C’è qualcuno che ti senti di ringraziare?
«Sicuramente un grandissimo aiuto è arrivato dai miei sponsor. MolaMola e Cetma mi hanno aiutato e sostenuta, dandomi una muta su misura che permette grande libertà di movimento alle braccia, e una pinna Taras più larga e performante. Non solo non ci hanno pensato due volte, ma hanno creduto in me, in questo progetto e nel nostro mondo da subito, prima di questo riscontro mediatico. Anche la banca Bcc mi ha aiutato sostenendo i miei allenamenti in piscina, e a quanto pare mi accompagnerà lungo tutta questa fantastica avventura per arrivare ai World Games. E ovviamente un grandissimo ringraziamento va ad Apnea Team Abruzzo di Vasto, che mi ha permesso di allenarmi in modo adeguato, mantenendo sempre grande fiducia in me e nelle mie possibilità».
Vorresti lanciare qualche messaggio a chiunque si approccia allo sport?
«È fondamentale vedere il bicchiere mezzo pieno, sempre. Io ci punto tutta la forma mentis su questa metafora. Inoltre, come diceva il mio allenatore di atletica, “la gara finisce sempre un metro dopo l’arrivo, mai prima”. Non bisogna mai fermarsi, e per ogni traguardo inizia sempre una nuova sfida. Di tempo per riposare ne avremo in abbondanza».