124 metri: nessuno più profondo di lui Ottenuta con la monopinna a Sharm el Sheik, è stato la miglior performance di quest’anno, un tuffo che gli avrebbe valso l’oro al Mondiale di Kas. I suoi protocolli di allenamento, il ruolo, fondamentale, di Paola, coach e compagna di vita e il progetto LIQUIDUM, che a breve verrà presentato al pubblico
di Stefano Tovaglieri
Homar Leuci un nome che riecheggia nelle piscine e nei campi gara dell’apnea fin dagli albori di questo sport. Grande temperamento agonistico, oggi, alla luce di una nuova consapevolezza, cerca la sfida con sé stesso prima che con gli avversari. Ma non è sempre stato così! Per chi c’era, agli inizi degli anni Duemila, lo ricorda come un atleta di ottimo livello, ma anche “borioso” e poco continuo. Allora le sfide nelle gare di apnea indoor erano, principalmente, tra due compagni di squadra: Leuci, per l’appunto, e Matteo Garaldi, ma non solo.
Mitica e indimenticabile fu quella in occasione del Campionato Italiano di dinamica a Trieste, nel 2005, quando Garaldi vinceva mettendo a segno il nuovo record del mondo in Dyn con 191,21 metri davanti all’amico ed eterno rivale Leuci, che con 183 metri si aggiudicava la piazza d’onore. Allora il regolamento prevedeva una gara organizzata in due momenti: le qualifiche e la finale tra la migliori otto prestazioni. Tutto nella stessa giornata! Una formula che istigava i concorrenti ad accendere sfide all’ultimo metro e in condizione di stress con effetti spesso discutibili per l’immagine della disciplina.
Insomma, come qualcuno ha scritto: “guardare al passato per capire il futuro”, niente di più vero in questo caso! Homar è sempre stato un combattente. E’ partito dalla “forza fisica” per costruire un’esperienza apneistica che oggi gli permette di esprimersi ai massimi livelli mondiali con il supporto dell’esperienza maturata in anni di competizioni ad alto livello. Quest’anno, complice l’assenza degli atleti russi, è stato il più fondo nella disciplina Cwt Monopinna.
Homar è un atleta che ha sempre privilegiato, sia in allenamento che in gara, un “passo” elevato, una velocità che spesso va ben oltre la media degli avversari. Performance veloci, ad altissimo contenuto atletico, portate sempre al limite, performance in cui la resistenza alla forza e la capacità apnoica supportano il gesto tecnico.
Per conoscere da vicino il pensiero più recente di Homar gli abbiamo rivolto alcune domande.
Da tanti anni sei sulla scena agonistica; ci racconti il tuo curriculum sportivo?
«Ho iniziato a gareggiare nel 2003, in dinamica. Dopo di che non mi sono più fermato. 20 anni di agonismo ad alto livello, durante i quali ho stabilito 34 record ufficiali tra mondiali e italiani, 20 titoli internazionali, 10 titoli italiani, in tutte le discipline dell’apnea sia indoor che outdoor, e poi 2 guinness world record».
Dal primo Mondiale outdoor a Ischia del 2015 a questo ultimo record. Come sei cambiato? E come è cambiata la tua apnea?
«Totalmente direi; innanzitutto non ho più sbagliato una gara da allora, e non ho più mancato un piattello. Quel mondiale seguiva a un periodo di intenso allenamento, ma i risultati furono davvero scarsi. Avevo sbagliato la programmazione; non avevo gestito bene l’ansia del primo Mondiale di apnea profonda e, solo dopo Ischia, mi accorgevo che l’avevo scaricata negli allenamenti. Per questa ragione non erano arrivati i risultati sperati. L’anno successivo ho cambiato strategia e programmazione; ho iniziato a competere in gare internazionali importanti, come il Vertical Blu, e da quel momento sono rinato agonisticamente. Avevo cambiato la programmazione annuale; in modo più scientifico e meno empirico avevo definito obiettivi e verifiche degli allenamenti. Sia a secco che in acqua, dando una solida struttura ai cicli di lavoro. Insomma, ho cominciato a investire ancor più le mie energie su attività mirate e orientate a precisi obiettivi».
In occasione del Campionato del mondo a Kas, in Turchia, del 2016, hai conquistato l'oro nel Cwt monopinna con 104 metri e l'argento nel Cnf con la bella quota di 74 metri. Lo scorso mese di ottobre, con 124 metri, hai ottenuto il nuovo record italiano di Cwt con la monopinna: 20 metri in più! È stato il tuffo più fondo con la monopinna di tutta la stagione agonistica. Al recente Mondiale di Kas ti sarebbe valso il titolo. Ci racconti come è andata?
«Da quel momento, indimenticabile, in cui sono salito sul gradino più alto del podio Mondiale, con tanto di inno e bandiera, sono “passati” 20 metri! Non è un caso (credo nella numerologia)! Era il 4 ottobre quando ho stabilito il nuovo record assoluto di assetto costante con 124 metri. A quanto pare il 4 è il mio numero!
«Questa performance si colloca infatti tra le 3 migliori di sempre in assetto costante con la monopinna, collocandomi sul podio virtuale nella storia dell’apnea. Mi sento come quando sono salito sul podio dell’Over all al Vertical blu (2018). Un record che ho preparato per lo più a terra e in piscina; ho eseguito solo 11 tuffi incrementali per andare un po’ oltre la quota record. Incredibile! Se l’avessi fatto a Kas, in occasione del Mondiale outdoor, anziché a Sharm el-Sheikh, mi sarebbe valsa la medaglia d’oro, non solo per me stesso, ma anche per l’Italia; il mio Paese, quello che comunque rappresento quando faccio sport. Questo mi inorgoglisce molto, ma, al contempo, mi dà anche amarezza».
Oggi cosa ritieni più sfidante nel mondo dell’apnea outdoor? Quali sono i tuoi prossimi obiettivi? E il sogno nel cassetto?
«A oggi ho raggiunto una maturità e un’esperienza tali che mi permettono di gestire la profondità in maniera puntuale e programmata. C’è, però, la variabile della profondità, che nessun uomo potrà mai eludere. Una variabile che si lega alla fisiologia umana, ecco perchè trovo invincibili gli scompensi iperbarici. Lo stress fisico, oltre che mentale, cui il nostro organismo è sottoposto alle alte profondità, supera ogni cosa. Oggi so che tra un tuffo ultra-fondo, mi riferisco a quote oltre i 115 metri, e il successivo, a me servono almeno tre giorni di recupero, di non profondità, per dar tempo ai tessuti di smaltire azoto e anidride carbonica.
«Dunque, la cosa più sfidante per me, oggi, è preparare le performance senza poter beneficiare di un tempo sufficiente per allenarmi in mare, in profondità. Non essendo un professionista, infatti, devo dedicarmi al lavoro, ai corsi di apnea estivi e al diving di Soverato, dove raccolgo parte delle risorse necessarie a gestire record e tutto ciò che ruota attorno. La mia sfida ora è focalizzata sullo stabilire il record in tutte le discipline indoor e outdoor; eccezion fatta per il No Limits, per cui ho una percezione del rischio troppo alta; è troppo pericoloso. Vorrei essere ricordato come l’apneista l’italiano che ha stabilito record in tutte le discipline.
«Il mio sogno nel cassetto, invece, è mettere tutto ciò che ho imparato in oltre 20 anni di apnea al servizio di questo splendido sport, per diffonderne la pratica e renderlo fruibile a tutti. Mi piacerebbe che le persone provassero quelle emozioni e quelle sensazioni che solo l’apnea può dare. Credo sia possibile farlo con un sistema di insegnamento semplice, di accessibilità immediata e innovativo. Ci sto lavorando assiduamente con un partner da oltre un anno e posso dire che adesso è già realtà. In anteprima, ecco il nome: “LIQUIDUM - istinto acquatico”; nelle prossime settimane verrà presentato pubblicamente. Grazie alla realizzazione di solidi canali di comunicazione e importanti partnership, il progetto LIQUIDUM permetterà a tutti di avvicinarsi all’apnea con naturalezza, divertendosi, sperimentando sensazioni nuove e stupendosi nello scoprire doti che non credeva di avere. Infine, voglio mettere a disposizione degli appassionati tutto quanto ho imparato sulla “scienza” dell’allenamento».
Allenarsi in profondità non è facile come nell’apnea indoor, in piscina. Ci racconti a grandi linee la tua programmazione annuale? Quanto ti sei allenato fisicamente? Quanto in apnea? Cosa fai nel periodo agonistico?
«La mia programmazione è molto semplice; ricalca lo schema di qualsiasi atleta professionista. La mattina sono in acqua, e alterno il nuoto all’apnea, nel pomeriggio mi alleno a secco per il potenziamento muscolare e l’incremento della resistenza. Vivo a Milano e la maggior parte del tempo che dedico agli allenamenti specifici è per la dinamica. Mi permette di condizionare gambe e apnea; naturalmente, bisogna poi aggiungere l’adattamento alla profondità e raffinare le tecniche di compensazione. A questa ultima parte dedico l’ultimo mese prima della performance. Insomma, ho sviluppato dei protocolli tali per cui anche un cittadino può andare in profondità con ottimi risultati».
«Ho iniziato a fare apnea dopo aver guardato il film Le grand bleu. di Luc Besson, in Francia, nel lontano 2001. Dopo aver visto le gesta dei due più grandi apneisti di tutti i tempi, raccontate in quella fiction, ho deciso di seguirne le orme. Oggi, a distanza di un ventennio mi commuovo a rivedere quelle immagini, E poi quanti ricordi, i miei record, il blu, gli amici di mare. Ho già realizzato il mio sogno stabilendo dei record negli abissi, ho potuto emulare quelle performance e chissà cos’altro farò ancora. Tutto questo mi realizza come persona, rinforza la mia autostima, mi fa star bene e sono sicuro che fa passare un buon messaggio attorno a me; un messaggio che mi auguro sia capace di spingere anche altri a cercare il benessere, e non parlo solo di quello fisico!».
Cosa pensi dell’esclusione degli atleti Russi dalle competizioni internazionali?
«Credo che lo sport debba sempre essere espressione di libertà e meritocrazia. Negli anni ho infatti provato sulla mia pelle cosa succede quando diventa invece espressione di logiche estranee al merito. Per questo, come atleta, voglio esprimere la mia solidarietà agli apneisti atleti russi esclusi. Stanno scontando ingiustamente colpe non loro e dovrebbero tornare a gareggiare il prima possibile. Quest’anno sono l’uomo più profondo nel ranking mondiale Aida, ma non sono pienamente felice perché sono mancati gli atleti più forti russi. Il mio risultato, seppur la terza profondità in costante di sempre, avrei infatti voluto raggiungerlo gareggiando con il mio rivale Alexey Molchanov. Ma così non è stato. Inutile immaginare come sarebbe andata al Mondiale se avessero gareggiato anche i russi...»
Tra gli atleti che hanno gareggiato al Mondiale di Kas, quali ti hanno impressionato maggiormente e perchè?
«Il mondiale Kas l’ho seguito poco a dire la verità, ero concentrato sul mio obiettivo, la cui programmazione cadeva proprio in quei giorni: i 124 metri in costante con la monopinna. In genere non guardo per non lasciarmi condizionare da eventi che potrebbero inficiare la mia concentrazione, come gli incidenti ad esempio. Chi però mi ha stupito è sicuramente il francese Arnaud Gerald. Davvero forte, è da anni sulla scena mondiale nonostante la giovane età. Poi mi stupisce la rapidità con cui molti “nuovi” atleti siano arrivati a quote importanti, o per lo meno alle stesse quote alle quali io sono arrivato con tempi decisamente più lunghi. Mi chiedo se si siano goduti davvero il “viaggio”. Sono invece sorpreso, in negativo, per i tanti, forse troppi blackout fondi che ci sono stati e anche sulla discutibile gestione dell’assistenza in alcuni casi. Anche l’apnea agonistica moderna è cambiata molto. Tutto il movimento è andato nella direzione della specializzazione, come era giusto che fosse, per cui oggi si gareggia indoor e outdoor. Ci sono gare e titoli per la monopinna e per le due pinne; io sono sul palcoscenico da 20 anni ormai e, se devo essere sincero, da una parte l’evoluzione dello sport agonistico mi entusiasmo, ma dall’altro vedere ancora tanti blackout non mi piace proprio. Credo che occorra lavorarci su e introdurre ulteriori misure tecniche che garantiscano gli atleti, la loro sicurezza e l’immagine stessa dell’apnea».
Accanto a te ormai da anni vediamo una donna che ti accompagna dappertutto, anche in mare prima della gara. Ci racconti chi è e quel è il suo ruolo?
«È la mia compagna di vita e anche la mia “coach”, intesa non come allenatore nel senso stretto della parola, ma comunque con un ruolo molto delicato e importante. Lei mi sta vicino sia fuori che dentro l’acqua, tiene i tempi, mi dà la scansione di avvicinamento al tuffo, mi scandisce il protocollo all’uscita; è il mio appoggio morale, mentale, la mia forza. Se qualcuno si dovesse chiedere quale sia il mio segreto, oltre che la costanza e la determinazione, è proprio lei. Io e Paola abbiamo cominciato a condividere questa esperienza per riempire il sentimento che ci lega nel 2016. Sapere che lassù, in superficie, c’è lei che mi aspetta mi motiva ancora di più. Riemergere con il cartellino e condividere insieme il mio ritorno è davvero importante per me. E per noi.
«Tutto ciò mi aiuta nella pianificazione dei tuffi di allenamenti. Abbiamo uno slogan: “un tuffo alla volta”. E poi, prima di ogni discesa, in allenamento come in gara, io mi giro verso di lei, e le chiedo: “cosa facciamo”? E la risposta è sempre quella: un bel tuffo».
Per l’esperienza che ti sei fatto in questi ultimi anni quanto è importante l’allenamento muscolare?
«Sia l’adattamento all’apnea che il condizionamento muscolare sono fondamentali. In 20 anni di pratica ritengo di avere codificato, con un buon grado di certezza, le relazioni esistenti tra l’allenamento così detto “generico” e quello specifico dell’apnea. Attraverso il progetto LIQUIDUM intendo condividere queste mie scoperte con tutti gli appassionati che intendono progredire in questa disciplina».
Che rapporto hai con la compensazione? Come la alleni?
«negli annio ho avuto la fortuna d compensare in tante maniere e di scoprire ogni segreto, ho avuto modo di conoscere i protocolli di apneisti molto fondi: atleti ed esperti del settore. Ho collaborato con tutti i grandi della compensazione. Fino al 2012, anno in cui ho realizzato l’ultimo tuffo in assetto variabile, a 131 metri, mi sono avvalso di una manovra compensatoria che per me era il Frenzel a bocca piena. Poi sono passato al mouthfill. Per i tuffi con gli allievi o di relax mi godo invece il piacere del mio “hands free”, che definisco “spurio” e che mi accompagna fino a quote interessanti, sui 60/65 metri. Come per l’allenamento, anche per la compensazione ho realizzato dei protocolli didattici finalizzati all’apprendimento in maniera naturale sia di quella che ritengo di base sia di quella che definisco avanzata. Presto saranno resi noti tutti i dettagli di questa mia iniziativa».
A chi dedichi questo nuovo record?
«A Paola, la mia compagna. Mai come quest’anno ho raggiunto la piena consapevolezza di non dover dire grazie a nessuno altro, se non a noi; lei è parte integrante di questo e di altri successi. Devo poi ricordare un amico che mi è stato vicino in questi ultimi due anni e che, con costanza, mi ha aiutato a costruire la mia prossima vita apneistica. Presto, alla presentazione ufficiale di LIQUIDUM, conoscerete anche lui».
Cosa vedi nel futuro dell’apnea agonistica outdoor?
«Credo che per favorire le persone e avvicinarle a questa disciplina bisognerà cambiare qualcosa nelle competizioni. E’ diventato davvero proibitivo scendere a queste profondità; quindi, se vogliamo che il movimento cresca, qualcosa bisogna fare. Fisiologicamente non è più sostenibile un tale incremento delle quote. Il corpo si può adattare a trattenere il fiato ancora più a lungo, potrà sfruttare il movimento muscolare più profondo, ma non potrà sfidare le leggi della fisica e della fisiologia, non può contrastare i gas e la pressione, né tanto meno può adattarsi all’infinito ai limiti della profondità».