Si è avvicinata all’apnea agonistica a 44 anni e in breve ha scalato le classifiche. In questa chiacchiarata ci racconta delle difficoltà di conciliare gare e allenamenti con il lavoro (è infermiera) e i 2 figli. E della sua voglia di “sudare”, di fare fatica in quello che fa di Stefano Tovaglieri
foto di Tatjana Skobo
«Non c’è alcun limite al potenziale che possiamo esprimere anche facendo determinate scelte di vita». Così esordiva Cristina Francone in occasione del World Apnea Symposium, a Lignano Sabbiadoro, lo scorso mese di dicembre. Proprio in questa affermazione c’è dentro tutto il mondo di Cristina: mamma, lavoratrice e atleta d’alto livello, come lei stessa ha sottolineato.
È stato un piacere conoscerla in quell’occasione e ancora di più condividere questa intervista. Intanto, va detto che Cristina è approdata all’apnea agonistica all’età di 44 anni; come dire? Non proprio in gioventù! Eppure, portava con sé anni di esperienza agonistica, di allenamento nel nuoto pinnato, e soprattutto un sogno. Quel sogno che da bambina la vedeva sul tetto del mondo per aver realizzato qualcosa di grande, qualcosa che nessuno aveva mai fatto prima: un record del mondo!
È così che ha deciso di riavviare una grande sfida con sè stessa. Tornata a gareggiare con i master di nuoto pinnato. La scintilla è scattata garzie all’incontro con Angelo Sciacca e Martina Mongiardino durante una gara di endurance; la gara dell’ora! «Mi sembrava tanto assurdo che quegli atleti trattenessero il respiro per tutte quelle vasche». Poi però, nel dicembre 2018, decide di avvicinarsi alla disciplina e incontra Fabio Benevelli, che da quel momento diventa il suo allenatore e dopo suo marito.
A febbraio 2019, solo 3 mesi dopo, cominciava a gareggiare in dinamica, «quella cosa lì, quella lunga che non finisce mai», che a un primo impatto l’aveva portata a dire: «non la farò mai»!
Fu così che dopo aver completato la trafila delle categorie di merito, Cristina esordì nell’élite chiudendo la sua prima gara a ben 212 metri! Da lì in poi tutti, nel mondo dell’apnea, soprattutto indoor, cominciarono a parlare di lei. Ecco cosa ci ha racconato.
«Pratico sport fin da piccola (ho iniziato a 4 anni con i corsi di nuoto e a 10 con l’agonismo): il mio sogno era “fare un record del mondo”. Non ho mai pensato a titoli o altro, volevo arrivare dove nessuno era ancora arrivato. Ecco il mio vero desiderio. Nel primo anno di apnea mi sono resa conto che, un po’ per il mio background sportivo, un po’ forse anche per predisposizione, questo sogno poteva essere trasformato in progetto e, poi, in realtà».
Quali sono i valori che ti hanno guidata fino a oggi?
«L’amore per lo sport, sostanzialmente. Sono cresciuta in una famiglia dove lo sport è stato rispettato quanto la formazione: mai una volta i miei genitori mi hanno tenuto a casa da allenamenti e gare perché “dovevo studiare” o per punirmi per i bassi voti a scuola. Lo sport è stato parte integrante della mia educazione e come tale richiedeva impegno e organizzazione (rammento di notti passate a studiare perché di giorno mi allenavo). Altri valori fondamentali sono l’impegno e la professionalità: per me sono molto motivanti la fatica e qualche sacrificio. Ciò per cui sudo mi gratifica maggiormente».
Cosa ti piace di più dell’apnea?
«Di base che è un modo di faticare molto diverso da quello che ho sempre conosciuto e praticato. Ogni sport ha il suo impegno mentale ed emotivo, ma nell’apnea questi aspetti sono davvero sfidanti, soprattutto perché hanno un peso importante nella performance. Come detto: apprezzo maggiormente ciò che richiede più impegno. Mi sono avvicinata all’apnea in un momento particolare della mia vita, molto caotico e stressante. Oggi riconosco che “mettere la testa sott’acqua” è stato un toccasana, oltre che a livello di soddisfazioni sportive anche per la mia salute, soprattutto mentale…».
Qual è la specialità che preferisci dell’apnea indoor?
«Ho iniziato a dicembre 2018 con l’Endurance, specificando al mio neoassunto allenatore Benevelli che “quella roba lunga e lenta sott’acqua” non l’avrei mai fatta. Come si dice: “mai dire mai”! A febbraio avevo già cambiato idea e cominciavo ad appassionarmi alla dinamica, ma “esclusivamente con la monopinna, perché le pinne lunghe - mi dicevo - mica saranno attrezzi seri!” Ancora una volta, un paio di mesi dopo, mi rimangiavo quanto detto e mi ritrovavo ad aver cambiato decisamente idea e a voler investire proprio sulle pinne per definire meglio i contorni del mio sogno. Oggi sono affezionata a entrambi gli attrezzi (monopinna e pinne), ma quando sogno ho sempre le pinne ai piedi».
E nell’apnea outdoor? Hai programmi in futuro per il mare?
«L’apnea outdoor la pratico, per ora, esclusivamente per diletto, finita la stagione indoor, quando c’è la possibilità. A Genova, organizziamo uscite ricreative sull’Haven. È un mondo che è troppo lontano dalle mie possibilità di coordinarmi con lavoro e famiglia, logisticamente e a livello di tempo. Quindi, per ora (ma mai dire mai), l’apnea di profondità è esclusivamente ricreativa».
Cristina Francone: atleta e apneista, ma anche donna, lavoratrice e mamma. Cosa significa per te essere tutto questo?
«Come accennavo, sono cresciuta imparando a organizzarmi per far funzionare aspetti molto diversi della mia quotidianità, anche a livelli piuttosto elevati. In molti mi chiedono come faccia, ma sinceramente non conosco altre dinamiche di vita. E’ la mia normalità, la mia routine quotidiana comprende attività diverse e impegnative che, però, ritengo si completino; di conseguenza, nessuna toglie qualcosa alle altre. Anzi, in qualche modo fa sì che si rigenerino le energie investite. I miei figli condividono e apprezzano questo nostro stile di vita».
Per te cosa sono e cosa rappresentano gli ostacoli e le difficoltà?
«Sono stimoli. Certo, poi devono essere commisurati alle energie disponibili del momento e, quindi, superabili: almeno in teoria! Solo in questo modo diventano sfidanti e trovo la voglia di confrontarmici. Vincere facile non è il mio mood; preferisco sudare per raggiungere l’obiettivo».
C'è un pensiero dominante che ti occupa la mente prima delle gare?
«Sì, e non è uno scherzo! Mi chiedo, per davvero: ma perché non vado a fare acquagym come tutte le donne della mia età? Poi però al “meno 3 minuti” si azzera tutto, la mente si calma e mi focalizzo sulla vasca, sull’acqua e sulle sensazioni che il liquido elemento andrà a restituirmi».
Ci racconti la giornata tipo di una mamma che si allena nell’apnea indoor? Quante sessioni, quali orari, che volume di lavoro…
«La mia giornata, come infermiera, inizia solitamente presto. Sveglia alle 6 e inizio a lavorare tra le 7 e le 8. I bimbi solitamente escono di casa con me, o poco dopo. per andare a scuola. Il mio turno finisce alle 17 circa (grazie al cielo ho un incarico specifico che mi permette orari e giorni di lavoro abbastanza stabili), a quel punto recupero i bimbi a scuola e ci “smistiamo” tra le varie attività sportive (loro karate e nuoto). La giornata finisce circa alle 21 quando finalmente ceniamo tutti insieme; poi di corsa a nanna. Ovviamente, quasi zero tempo per televisione e social… siamo rimasti nel passato, per noi le relazioni preponderanti sono ancora quelle in presenza, di persona, con i compagni di squadra e gli amici. Per quanto riguarda i piani di allenamento, dipendono dal periodo. Solitamente si tratta di 5 sessioni settimanali, quasi esclusivamente in acqua. Se succede qualche imprevisto che mi impedisce di andare all’allenamento, lo sostituisco con una sessione a secco, a casa. Di queste sessioni settimanali una, massimo due, le dedico all’apnea. Sono volumi in acqua importanti; mi alleno inaftti con la squadra ticinese di nuoto pinnato e si fatica parecchio».
Qual è la tua visione dell’apnea agonistica nei prossimi anni?
«Premetto: parliamo solo di apnea agonistica: in tal caso spero diventi uno sport a tutti gli effetti. Sarebbe bello non sentire più sul piano vasca battute del tipo: “pensa un po’, ho fatto x metri senza allenarmi”, come se allenamento e impegno non fossero un valore fondante di questa disciplina. Sentire certe cose non aiuta; lo ritengo irrispettoso verso atleti che ci si dedicano con sacrificio e dedizione, come nel mio caso e in tanti altri.
«Credo che siamo solo agli albori della disciplina e che i veri limiti si intravvederanno solamente quando si delineerà un atteggiamento davvero “sportivo”. L’allenamento paga sempre! Nel nuoto, ad esempio, chi si sognerebbe di dire: faccio un minuto e 10 secondi nei 100 stile libero e mi alleno solo una volta alla settimana. Sarebbe un vanto? Certo che no!
«Già oggi si stanno delineando metodologie di preparazione evolute; ritengo che la possibilità di confrontarsi e scambiare esperienze, sperimentare siano fondamentali. Per tutto questo, però, è necessario essere aperti al cambiamento. Bisogna avere il coraggio di lasciare la zona confort del: “così ha sempre funzionato”, e provare altre strade. Non preoccuparsi mai dei giudizi per eventuali cadute e sbagli. Personalmente, se mi passate la metafora, preferisco essere un vorticoso torrente con rapide e cascate, piuttosto che uno stagno».
Che consiglio daresti a una giovane donna che volesse avvicinarsi al mondo dell’apnea agonistica?
«Fallo, buttati, sperimenta, ma soprattutto ascoltati molto più dell’ascoltare gli altri. Al mio esordio ho ricevuto consigli e “si fa così” da tanta, troppa gente. Per carità, so che tutti erano in buona fede con i loro migliori suggerimenti. Ma questo ha un po’ inquinato la mia personale interpretazione e visione dell’apnea. Li ascoltavo e in questo modo, in parte volontariamente e in parte inconsapevolmente, ho snaturato il mio sentirmi in apnea. E’ stato poi difficile ritrovare i giusti filtri per recuperare naturalezza e piacevolezza, quello che mi veniva istintivo».
Quest’anno il Campionato del mondo indoor si disputerà in Kuwait. Ci sarai? Cosa pensi dello sport al femminile nei paesi islamici, di quanto sta accadendo in Iran?
«Sto preparando la stagione al meglio delle mie possibilità, i criteri di selezione sono davvero impegnativi, soprattutto visto che il mondiale sarà a inizio maggio. Ma soprattutto, Stefano, questa non è una domanda da fare a un atleta. La scaramanzia prima di tutto!
Venendo alla seconda parte del quesito, lo sport è sempre stato uno strumento di emancipazione, di espressione e di libertà. La vera rivoluzione ci sarà quando una donna mamma, lavoratrice e atleta non farà scalpore, ma sarà la normalità, come già è per l’uomo. Senza guardare ai Paesi islamici, che non conosco abbastanza per esprimere giudizi, e fermandoci all’Italia, ritengo che in generale fare sport per una donna sia ancora oggi più complesso che per un uomo. Sono ancora tanti pregiudizi e molto radicati. Viviamo in una società che troppo facilmente stigmatizza la madre che investe tempo ed energie sulla propria carriera (sportiva) anziché esclusivamente sui figli. Robe di un altro mondo!».