Emiliano trapiantato in Sardegna, è tra i pochissimi pescatori professionisti dotati di licenza. La sua visione dell’agonismo e il rapporto con le aziende con cui collabora. L’amicizia con Umberto Pelizzari e le uscite a caccia di grandi prede nelle Bocche
Stefano Tovaglieri
Nel nostro mondo non sono molti i professionisti dotati di regolare licenza. Si tratta di persone che traggono sostentamento dal mare, dalle loro catture, dai pesci che pescano con il fucile e poi rivendono. Un’attività non semplice a causa della fatica, delle incertezze, dei rischi connessi a scendere a quote sempre più impegnative, della sofferenza di stare in mare tutto l’anno (non solo d’estate, quando fa caldo e l’acqua magari è più limpida).
Forse è proprio l’esperienza della sfida che ha spinto Raffaele Seiello a migrare dall’Emilia Romagna in Sardegna, Inizialmente al sud e poi al nord, davanti alle Bocche di Bonifacio, dove da un po’ di anni esercita la sua professione di pescatore in apnea.
Tanti anni, tanti giorni, tante ore trascorse in mare e infinite avventure da raccontare. Carattere schietto, ha una visione del nostro sport che non può prescindere dal valore etico sportivo. Ecco cosa ci ha raccontato.
Raffaele, ci racconti in sintesi il tuo curriculum sportivo e professionale?
«Non mi sono impegnato nell’agonismo più di tanto. Ho partecipato a qualche gare e qualcuna l’ho anche vinta ma, ben presto, ho capito che non faceva per me. Non riuscivo a condividere l’idea che per essere bravi bisognava ammazzare più pesci. Insomma, non mi piaceva l’idea che chi portava più pesci al peso era più bravo di un altro. Questione di etica. Rispetto chi è agonista, sia chiaro, però non ho mai abbracciato questa filosofia. Mi ritengo una persona sportiva; dedico ancora oggi tempo ad allenarmi per cercare sempre la migliore condizione atletica, oltre che per piacere e benessere anche per salute. Amo il tennis e, appena posso, partecipo ai tornei “turistici” che si svolgono a portata di auto. Questo per dire che mi piacciono le sfide, mi piace il confronto con gli avversari, mi piace giocarmela fino al limite, ma nel rispetto delle regole e dell’etica sportiva che, a parer mio, non deve andare oltre quella definizione che dice: “sport= finzione della realtà”. Una preda catturata in apnea è morta, non è come nelle gare di pesca al colpo che, con l’avvento del catch and release” la cattura viene poi rilasciata. Ciò non vuol dire che non amo la pesca in apnea, anzi! Fin dalle prime catture mi è sempre piaciuta la sfida per procurarmi un buon pesce da mettere nel piatto e, magari, condividerlo con gli amici.
«Nelle varie vicende della vita - prosegue nel racconto - ho scelto di fare quel lavoro che più mi piaceva. Stare in mare, vivere in mare, assaporare la pace del silenzio e il contatto con la natura è quello che cercavo, quello che più mi appagava; nonostante tutte le difficoltà e le fatiche di un rapporto così intimo e duro con la natura, ho scelto di fare il professionista. Per un po’ di tempo ho pescato per procurami la cena, ma soprattutto per capire se avrei potuto sostenermi economicamente. Così, nel 2016 ho preso la licenza e ho cominciato a vivere di questo».
Dal sud al nord della Sardegna. Cosa ti ha motivato in questa scelta?
«Al sud ho casa; ancora oggi. Al nord c’ero andato in più occasioni e me ne ero innamorato fin da subito; in particolare delle Bocche di Bonifacio. Un mare selvaggio, sferzato intensamente dal maestrale, difficile da vivere ma proprio per questo una garanzia di circolazione del pesce che, per la mia professione, è determinante. Per farla breve, al sud il mare è più povero, più battuto dai pescatori ed è più difficile realizzare carnieri apprezzabili. Al nord, proprio per le sue caratteristiche è sempre stato tutto un po’ più facile. Quindi, ho scelto il nord per la bellezza di questi luoghi e per questioni economiche. Certo che con l’istituzione della nuova Amp di Capo Testa la storia si sta complicando parecchio...».
Nel tuo lavoro hai scelto attrezzature di marchi diversi: parlo di mute, pinne e fucili. C’è una precisa ragione?
«Prima di diventare professionista mi arrangiavo da me. Sceglievo ogni pezzo sul mercato in base alle mie esigenze e credenze, maturate con l’esperienza. Poi, grazie anche ai social, c’è stata la possibilità di dare visibilità alla mia attività e così qualche brand ha cominciato ad avvicinarmi per propormi delle collaborazioni, anche da parte di chi produce magari una sola attrezzatura. Per questa ragione utilizzo la muta di un marchio, il fucile di un altro... Certo che adesso è un periodo per me favorevole. Ho diversi contatti e richieste di collaborazioni; insomma, le occasioni per testare attrezzature e aggiornare l’equipaggiamento da lavoro non mancano».
Sappiamo che prediligi i pneumatici. Ci racconti le ragioni e qualche aneddoto che ci faccia capire le ragioni della tua scelta?
«Come molti ho iniziato con gliarbalete. Non rinnego nulla. Ancora oggi, oltre ai pneumatici, utilizzo fucili a elastico. Il mio prediletto in certe situazioni è il Canova della Cetma. I lunghi pneumatici sono un’esigenza per il mio modo di pescare. Una giornata di lavoro comincia la mattina presto, all’alba e termina, a volte, il tardo pomeriggio. Il pneumatico mi garantisce sempre la stessa potenza e precisione. Con l’arbalete caricato dopo un po’ di ore, se non ho occasione di sparare, gli elastici perdono di potenza; in profondità poi… Altro vantaggio dei pneumatici, è che non hanno tutta la manutenzione richiesta dall’arbalete. Quando gli fai un “tagliando” una volta l’anno sai che in acqua saranno sempre affidabili, precisi e potenti; e questo anche pescando profondi, come sempre più spesso accade da quando hanno istituito l’Area marina protetta. Infine, con il riduttore di potenza è possibile impegnarsi in catture, come le corvine davanti alla tana, senza rimetterci l’asta. Per concludere, per il mio lavoro è certamente versatile e affidabile. Ci sono, come dicevo, situazioni in cui lascio il pneumatico e con un corto a elastico e la lampadaa vado a insidiare certe prede in tana; con il Canova, invece, che reputo un’arma micidiale, mi diverto all’agguato e, soprattutto, agli aspetti delle prede di mole».
Le pinne sono certamente una componente importante. Che caratteristiche devono avere per chi pesca fondo come te?
«Sarò sincero… oltre ogni limite! Se anche non fossi sponsorizzato da Cetma, me le comprerei. Non ho mai provato nulla di meglio. Spingono bene e non affaticano mai la gamba. Considerando che sto in mare tante ore, se avessi pinne più difficili e affaticanti ne risentirei parecchio nei recuperi tra un tuffo e l’altro. In estate e nella mezza stagione utilizzo sempre le Mantra. Spingono davvero bene e, per ogni falcata, sento la differenza rispetto a un qualsiasi altro modello. D’inverno, quando indosso mute pesanti e tanti chili di zavorra, passo alle Edge, che hanno una diversa rigidezza e mi supportano bene con tutto quel peso che mi porto addosso».
Ci racconti qualcosa di più delle tue collaborazioni con le aziende di attrezzature?
«Come dicevo, tutto è cominciato per caso. Mi piaceva condividere le mie esperienze sui social e considerate le catture, o forse il personaggio che mi sono inventato, la visibilità ricevuta mi ha portato al centro d’interesse di alcuni marchi. Da tempo sono responsabile commerciale Italia per la Cetma e oltre a esserne sponsorizzato per le pinne e i fucili collaboro per la messa a punto di nuovi prodotti. Per le mie uscite mi avvalgo della collaborazione con Marshall e con Suzuki. Vesto mute con un taglio davvero sartoriale, che mi fanno sentire a mio agio. Confort e protezione dal freddo sono in assoluto le caratteristiche dei capi di Marea, che Osvaldo Cordella, al di là del rapporto di amicizia, mi confeziona: sono davvero perfetti. Ogni dettaglio è curato e resistono all’usura nonostante gli stress test cui li sottopongo. Per la mia attività professionale, poi, mi avvalgo di altri fornitori con i quali ho un ottimo rapporto di amicizia, al di là del rapporto lavorativo. È il caso del negozio di di Carbonia, La barchetta nel blu, e del cantiere nautico MC Nautica, che mi aiuta per tutto quanto concerne la gestione del gommone».
Un buon pescatore si dice abbia bisogno principalmente di due cose: fiuto per le prede e una buona apnea. Il tuo pensiero?
«Certo. Concordo in pieno: fiuto per le prede e una buona apnea sono imprescindibili per ottenere risultati apprezzabili, ma a parer mio ce n’è una terza. Negli anni mi sono convinto che saper osservare ogni più piccolo dettaglio è importante per una migliore gestione delle strategie e delle tempistiche. Soprattutto è importante la curiosità. Sapersi interrogare e darsi le giuste risposte fa parte del mio lavoro, è necessario per creare sempre nuove opportunità. Amare il mare, amare questo mestiere significa amarne l’osservazione, rispettarne gli equilibri e carpirne i segreti. Ogni stagione ha i suoi movimenti, sia di acqua che di pesci. Saperli vedere, ricordare e prevedere significa avere quel piccolo vantaggio che, a volte, fa la differenza tra una cattura e una delusione. È quello che tanti appassionati indicano come l’abilità di saper leggere il mare. È vero, ma per me si tratta di andare anche oltre perché i movimenti della mangianza, che sono un ottimo indicatore della presenza di vita, va messa in relazione con la corrente, con il vento in superficie, e tutti questi dati vanno inseriti in un “data base”, la propria memoria, per essere rielaborati fornire risposte in futuro.
«In sintesi, significa l’esperienza del mare in ogni stagione. Per capirci meglio, faccio un esempio. Se su dieci pescatori in acqua lo stesso giorno, uno solo rientra con del pesce, significa che quello ha saputo meglio di tutti gli altri leggere e interpretare quel mare. La fortuna c’entra relativamente, soprattutto contano l’esperienza e l’intelligenza predatoria. Prendere pesci dove ce ne sono tanti e dove tutti ne prendono, è facile. Il difficile, la sfida, è trovare le prede e cattuarle là dove scarseggiano».
Oggi è sempre più attuale l’attenzione all’ambiente e all’interferenza dell’uomo con l’ecosistema. Come si concilia a tuo modo di vedere il prelievo ittico con la pesca in apnea?
«Argomento spinoso! È assodato che la nostra sia la forma di prelievo più selettiva in assoluto. È il pescatore che perlustrando il mare incontra e seleziona le sue prede e poi, magari, le cattura. Altro è la pesca industriale, che preleva dal mare tutto ciò che capita, senza distinzione di sorta; pensiamo alle reti a strascico oppure ai ciancioli. Questi ultimi in una calata possono ammazzare più di quanto un pescatore in apnea potrà mai fare in tutta la sua esistenza. Poi, come accade sulla terra ferma, anche in mare ci vanno persone senza scrupoli le quali, pur nella qualifica di “sportive”, ammazzano tutto quello che trovano, superando a volte i 5 chili previsti dalla legge; sparano a cerniotte che non superano il mezzo chilo e magari raccolgono un polpo che sta gestendo le uova in tana.
«In questi ultimi anni, con l’avvento dei social, vediamo pubblicare degli scempi veri e propri: collane di pesci assurdi e prede davvero sottomisura. E che dire degli “sportivi”, forse sarebbe meglio chiamarli bracconieri o pescivendoli, che vendono ciò che prendono in modo abusivo, illegale. È chiaro che tutte queste scorrettezze non porteranno mai credito alla nostra disciplina; anzi, è un modo per offrire sempre di più il fianco ad ambientalisti e animalisti.
«In merito alle Aree marine protette - ci spiega Seiello - condivido il fine, però sulla gestione ci sarebbe molto da dire. Non mi piacciono alcune regole che come sempre, ed è tipico italiano, privilegia certe categorie. La strategia è sempre quella: spostare l’attenzione del pubblico sui pescatori in apnea, che diventano il vero capro espiatorio del degrado ambientale. Un esempio su tutti. Nelle aree B e C è consentita la pesca “regolamentata” professionale e sportiva per un prelievo ittico fino a un massimo di 5 chili al giorno. I professionisti possono calare reti da posta, palamiti e via dicendo; gli sportivi pagano una licenza giornaliera e possono prelevare quel che capita all’amo. Insomma, ci possono pescare tutti, tranne noi. Me compreso, che sono in regola con le licenze. Sul piano etico vorrei che mi spiegassero qual è la ratio.
«Immaginiamo una barca da diporto che alla traina agganci un tonno. Se quel pesce (che non si potrebbe prendere) venisse portato a bordo, sarebbe ormai bello che morto. Però, se io fossi in mare e mi trovassi al cospetto di un tonno, sapendo di non disporre delle relative quote necessarie al prelievo, eviterei di spararlo. Spero di essermi spiegato. Ecco perché credo che una gestione diversa potrebbe essere più etica».
In ogni professione lo scopo è realizzare il maggior profitto. Anche l’industria della pesca è assoggettata a questa logica: realizzare utili e, quindi, un maggior prelievo rappresenta un maggior guadagno. Cosa ne pensi?
«Fintanto che la richiesta del mercato cresce, ci sarà sempre più impegno nella pesca. Anche il prelievo ittico risponde alle leggi del mercato. Dando uno sguardo ampio, a livello mondiale, sappiamo che la popolazione del nostro pianeta è cresciuta in modo esponenziale. Oggi siamo più di 8 miliardi, trovare strategie alimentari per rispondere al fabbisogno dell’umanità è un must imprescindibile. Credo che la carne realizzata in laboratorio o della farina di grilli vadano proprio in questa direzione. Gli allevamenti intensivi in mare di orate e spigole sono una risposta al mercato, Certo è che, in questa prospettiva, il prelievo industriale dovrà essere regolamentato diversamente. E forse ci sarà più spazio per un prelievo più selettivo, che è quello del pescatore in apnea».
L’etica della pesca e del prelievo in relazione agli strumenti usati. Ci racconti la tua visione?
«Come dicevo prima, il prelievo industriale è sempre più attrezzato e sofisticato. Il motivo è semplice: realizzare più catture. È sufficiente pensare alla pesca al tonno con le tonnare volanti, che si avvalgono degli elicotteri avvistare i branchi. Se a questo ci aggiungiamo che praticamente, tutto il tonno preso in Mediterraneo finisce in Giappone, non è difficile fare i conti con la CO2 prodotta per il trasporto! Credo che in futuro l’Europa dovrà rivedere alcune cose. Ma non è semplice. E’ come se le quote tonno, per restare in tema, debbano tutelare gli acquirenti esteri, come sempre a vantaggio dei soliti noti, pochi, e a svantaggio di tutti. Se si deve tutelare l’ambiente e la fauna ittica, lo si faccia, ma con regole che privilegino un prelievo selettivo e sostenibile. La pesca in apnea, per l’appunto!».
Chi sono i tuoi miti nel mondo della pesca e dell’apnea?
«Umberto Pelizzari! E non perché sia un amico. Sappiamo tutti che grande apneista sia stato, le sue imprese, i record realizzati. Insomma, ci ha insegnato molto; e poi con Apnea Academy ha contribuito e contribuisce ancora oggi a formare tanti nuovi apneisti e a divulgare questo sport per il benessere delle persone.
«Umberto, poi, è da sempre un grande appassionato di pesca e il suo contributo a rilanciare la nostra immagine è stato determinante. Credo sia stato il solo a condurre su Mediaset servizi interamente dedicati alla pesca.
«Alberto March è stato un’altra grande fonte di ispirazione. Grande profondista, mi ha sempre incuriosito per le quote che raggiungeva e per il fatto che realizzava catture a volte impossibili. Credo sia stato il primo a pescare a 40 metri. Quando lo seguivo nelle sue imprese, ero davvero ammirato e mi domandavo se mai ci sarei riuscito anch’io. Proprio la grande ammirazione e il sogno di arrivarci mi hanno spinto a provarci. In fin dei conti, mi dicevo: “… se c’è arrivato lui, ci posso arrivare pure io, si tratta di trovare la strada giusta”. E così è stato!».