Diciamo sempre che il nostro mondo dell’apnea e della pesca è davvero piccolo, cosa assolutamente vera. Ma forse a volte non è abbastanza piccolo, altrimenti avrei saputo prima del fatto che un ottimo pescatore come Thierry Bevilacqua era in procinto di laurearsi in ingegneria con una tesi sulle pinne da apnea, in collaborazione tecnica nientepopodimeno che con la C4 e con Marco Bonfanti
Gherardo Zei
Tanti anni orsono quando Antonio Las Casas si era laureato in architettura con una tesi su un modello industriale di arbalete, lo avevo saputo con largo anticipo, al punto che avevo addirittura partecipato in prima persona (grazie al professore relatore, uomo di larghe vedute) alla seduta di laurea quale “esperto della materia”.
Questa volta, invece, non ne sapevo niente, quindi mi viene il dubbio che chissà quante tesi di laurea in materia di apnea e di pesca possono esserci state nel frattempo. Dunque, ho saputo della notizia solo leggendo un post scritto da Thierry su Facebook in cui raccontava della sua laurea e precisava l’argomento della tesi. A quel punto mi sono messaggiato subito con Bonfanti, il quale mi ha confermato la circostanza e mi ha anche detto che questo giovane gli aveva fatto una buona impressione e lo aveva inserito in un suo gruppo di lavoro.
Nulla di nuovo. Per quanto lo conosco, infatti, Marco ha dimostrato ancora una volta di essere interessato molto più all’aspetto scientifico che non a quello mediatico, visto che non aveva posto in essere alcuna iniziativa per utilizzare questa interessantissima notizia come veicolo di pubblicità.
Ma Marco lo conosciamo bene. Lui è il nostro scienziato e come tutti gli scienziati la sua mente è sempre indirizzata alla ricerca e privilegia l’essere piuttosto che l’apparire. Ecco perchè ho telefonato a Bevilacqua e gli ho chiesto di rilasciarmi un’intervista e lui, molto gentilmente, ha accettato.
Thierry buongiorno, ci puoi raccontare come ti è venuta l’idea di una tesi di laurea sulle pinne e, in particolare, sulle C4?
«Dalla mia passione per il mare e la meccanica è nata l’idea della tesi, che ho avuto modo di discutere presso la Facoltà di ingegneria della Sapienza di Roma, lo scorso mese di dicembre. Lo studio prende il titolo “pinne da apnea: studio qualitativo del comportamento in ambito fluidodinamico.” Anche il lavoro scientifico ruota intorno all’amore per il mare, l’apnea e la pesca. In veste di pescatore e laureando in meccanica, ho scelto di affrontare questo argomento di tesi concentrandomi sul comportamento delle pinne sia durante le fasi di dinamica sia nella fase di stacco dal fondo e nel corso di tutti i movimenti che si fanno durante una battuta di pesca. Grazie a Marco Bonfanti ho avuto la possibilità di approfondire nel dettaglio lo strumento pinna, che nel nostro sport ci permette ogni tipo di movimento. L’obiettivo della tesi è stato quello di comprendere la capacità propulsiva delle pinne e il comportamento delle turbolenze generate durante la fase di movimento. Ognuno di noi ha un personale approccio all’apnea, ma ciò che ci accomuna è l’attrezzatura. Maschera, boccaglio, pinne e arbalete».
Che tipi di approfondimento hai svolto nel tuo lavoro di ricerca?
«A oggi sul mercato vi sono un’enorme quantità di pinne che variano per lunghezza, materiale e forma. Ho avuto l’opportunità di provarne svariate tipologie durante le fasi di studio utili alla stesura della tesi. Dalla pinna che viene definita classica in tecnopolimero, che non abbandono mai nelle uscite sotto costa, fino ai modelli in carbonio all’apice del progresso. Ho quindi capito che fondamentale è la storia, per comprendere l’evoluzione che ha portato al progresso tecnologico di questo particolare strumento. Le prime pinne, le Rondini della Cressi, erano delle semplici scarpe palmate in gomma che venivano utilizzate dagli incursori delle Forze armate italiane durante la Seconda Guerra Mondiale. A oggi, invece, le pinne contemporanee vengono utilizzate per la pesca, per l’apnea dinamica e la profondità. Dalle pale in plastica con scarpetta in gomma che hanno comunque permesso ai grandi di questo sport di abbattere credenze sul limite umano, siamo arrivati fino alle attuali pinne che permettono all’uomo di raggiungere profondità inimmaginabili».
Ma, a parte la storia, dal punto di vista tecnico che tipo di analisi hai effettuato?
«La tesi, oltre a presentare la storia di questo attrezzo, descrive la biomeccanica della pinneggiata. L’analisi del movimento dell’atleta in acqua. La pinneggiata è caratterizzata da alcuni fattori: l’ampiezza, ovvero la distanza tra i piedi in massima apertura e la frequenza, oltre che alla forza generata dalla muscolatura e la postura. L’importante è capire la giusta tecnica per ottimizzare l’utilizzo delle pinne e, quindi, ottenere il massimo impiegando il minimo sforzo.
«Durante la pinneggiata possiamo distinguere due macro movimenti, definiti kick down quando spingiamo la gamba verso la parte frontale del nostro corpo e kick up, ovvero il richiamo dalla fase di kick down che riporta la gamba in posizione. Durante queste due fasi, da quanto emerso durante gli studi, la corretta pinneggiata, sia per la dinamica che per la pesca, risulta essere quella con la gamba completamente stesa e il ginocchio bloccato. Postura che permette all’atleta di ridurre al minimo la sezione resistente, ovvero quella che frena l’avanzamento in acqua e richiede di imprimere più forza. Inoltre, vanno essere valutate le caratteristiche fisiche di chi le calza: peso, altezza e preparazione fisica. Questi elementi contribuiscono a comprendere quali sono i punti su cui soffermarsi nel valutare i vari modelli».
Mi sembra di aver capito che soprattutto hai lavorato con le pinne C4. O sbaglio?
«Non sbagli. Lo studio si sofferma su una particolare tipologia di pinna composta da una pala in carbonio e dalla scarpetta 200, di casa C4. Una scarpetta particolare, che dopo studi scientifici di natura meccanica ha fornito risultati straordinari e tali risultati si sono mostrati estremamente performanti anche sulla pala e sui water rails. La pinna è composta da due elementi fondamentali: la scarpetta e la pala. A sua volta, quest’ultima ha varie parti che sono molto importanti, ossia i longheroni e i water rails. Possiamo differenziare i modelli di scarpetta in due macrocategorie: la classica scarpetta in gomma di differenti forme e rigidezza e la nuova tipologia, costituita da una scarpetta con la suola in plastica rigida coesa alla gomma. La prima, quella classica, risulta la più comoda e versatile, si adatta a ogni atleta e garantisce la performance senza pretese di alcuna natura. La scarpetta analizzata è però diversa. Non è quella classica. Ricorda la scarpetta della ormai anziana ma indimenticabile pinna Mustang. Un modello dalla calzata aderente ma non fastidiosa, con una particolarità: ha la suola in plastica rigida. Questo elemento garantisce l’integrale trasferimento di energia sprigionata dalla gamba alla pala. Ogni singolo gesto viene trasferito dal piede alla pinna con una sensibilità estrema. Si ha un “passaggio” dell’energia del 93%. La parte superiore è costituita da una gomma particolarmente morbida e avvolgente. Sembra di indossare delle pantofole. Inoltre, la suola è dotata di una serie di forature con boccole filettate che permettono di regolare il posizionamento della pala in tre differenti posizioni. Soft, medium e Hard. La scarpetta, infine, ha una geometria della suola che riduce notevolmente la turbolenza generata durante la fase di pinneggiata.
«La caratteristica fondamentale di questa tipologia di scarpetta è il sistema di fissaggio alla pala. Quest’ultima viene bloccata integralmente da delle viti, creando un unico elemento. La classica tipologia di scarpa in gomma - invece - ha la pala inserita in una tasca (facente parte della scarpetta) e poi fissata con dei bulloni per evitare che possa sfilarsi. Questo sistema rappresenta il punto di maggior dispersione dell’energia erogata. Essendo un fissaggio morbido tra un elemento in gomma e la pala in carbonio, dissipa circa il 35% della forza che le gambe esercitano. Al contrario, un accoppiamento rigido, con un fissaggio tra l’elemento in plastica dura e la pala in carbonio, permette un trasferimento pressoché integrale».
Chiara l’importanza della scarpetta. Ma quale è risultata dal tuo studio l’importanza della pala?
«Quelle in tecnopolimero garantiscono un discreto comportamento fino a circa 15 metri di profondità, ideali per le uscite sotto costa in quanto la loro rigidità permette un movimento reattivo e senza preoccupazioni in merito alla robustezza. Inoltre, hanno una galleggiabilità che permette di non assumere una posizione scorretta durante l’agguato e l’aspetto. Le pale in carbonio di casa C4 coprono ogni tipologia di attività e ogni profondità. Hanno un’elasticità estrema, garantita dalle tipologie di materiale utilizzato. Troviamo versioni con una rigidità maggiore, adatte per atleti con una costituzione più importante e versioni più morbide, per atleti esili. La caratteristica principale delle pale analizzate è il sistema di ancoraggio, come già detto in precedenza e la presenza di water rails a tutta lunghezza.
«I water rails sono l’elemento che dallo studio emerge essere il più importante in quanto costituisce i binari su cui lavorano le pinne. Infatti, permettono la canalizzazione dell’acqua durante l’azione consentendo di spostare più acqua possibile con meno movimenti. Inoltre, hanno un ruolo stabilizzante rispetto al rollio. Dallo studio è emerso poi che i water rails servono a tutta lunghezza e non solo nell’estremità finale, questo perché nelle moderne pinne in carbonio è l’intera pala a lavorare e non solo la parte terminale.
«In conclusione, i risultati ottenuti dallo studio evidenziano come, oltre alla pala, a fare la differenza risultano essere i water rails e la scarpetta. Tali elementi sono stati studiati accuratamente da Bonfanti che con il modello 200 ha dato vita a una scarpetta estremamente prestazionale e, allo stesso tempo, ottima per la dinamica, con una versatilità che permette l’utilizzo anche in battute di pesca lunghe e impegnative.
«A oggi, sotto la guida di Bonfanti e in collaborazione con C4, sto modellando un sistema aggiuntivo volto a migliorare e ridurre al minimo l’effetto turbolento che si genera durante la falcata».